“Animacion para adultos” recensisce “The Wedding Cake”!

Veramente felice di questa recensione di “The Wedding Cake” da parte del sito spagnolo Animación para adultos che mi rallegra non solo per il suo importante contenuto ma anche per il voto altissimo che mi ha attribuito, 8.5/10!

Voglio ringraziare di nuovo sia Mikael Moiner che ha realizzato le immagini che Adriana Rosati, che ha curato le scenografie, entrambe messe giustamente in risalto nella recensione. Il corto è in programmazione online questa settimana allo splendido FICC – Festival de Cine de Cartagena.

Qui una traduzione del testo dallo spagnolo:

The Wedding Cake racconta il dramma di una donna costretta a prostituirsi per evitare il carcere che l’attende se non paga i debiti del marito, che è scappato lasciandola sola con i suoi due figli. La storia scioccante è illustrata con pupazzi Playmobil, quindi si crea un enorme contrasto tra l’innocenza e l’inespressività delle foto con l’asprezza della narrazione. Ci sono, invece, allestimenti brillanti, come la scena del matrimonio-parto, e quella che mostra le disumane sessioni di prostituzione a cui è stata sottoposta la protagonista.
Il corto solleva anche il dibattito sull’animazione o meno, perché sebbene utilizzi una tecnica di ripresa identica a quella dello stop-motion con i pupazzi, la lentezza con cui si sposta da un fotogramma all’altro impedisce che si crei l’illusione del movimento. Ritengo si tratti di animazione, una sorta di stop-motion lento e sperimentale, ma capisco che ci sia chi non è d’accordo. In ogni caso, invitare a questa riflessione sulla sua natura non è altro che uno dei tanti aspetti pregiati di The Wedding Cake, sebbene il principale resti quello della sua denuncia delle reti di tratta delle donne, piaga della società contemporanea contro cui è necessario continuare a combattere.

Recensione “Di morire libera” su Cancello ed Arnone blog

Una bella recensione di Pasquale Iorio del mio romanzo “Di morire libera” sul blog Cancello ed Arnone!

Quota 3220 metri s.l.m.

Addizionare tutti i mesi che ho passato nel paese di montagna dell’Agordino dove ho casa da quando sono nata, e scoprire che la somma equivale a circa sette anni. Sui miei quarantotto. Sono moltissimi.
Sette anni: un settimo della mia vita. E ogni giorno vissuto lì – se le nuvole me lo hanno permesso – ho chiuso la giornata guardando il tramonto verso il Civetta, o “la” Civetta.
Ho sempre detto “il” Civetta, usando il maschile a sottintendere “monte”, anche se non è quello che ho fatto con altre montagne dal nome femminile: ho sempre detto la Marmolada, le Tofane o l’Auta, ad esempio. Ho capito solo ora che dire il Civetta era un modo per darle del lei.

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