The unpronounceable symbol (later dubbed “Love Symbol #2”) [fonte Wikipedia]
Qualche giorno fa scrivevo un
articolo sul rapporto con il corpo e la quantità di odio che riserviamo alla nostra apparenza fisica. Mi rendo conto che un capitolo a parte di questa riflessione è quello legato a una recente narrativa, cosiddetta “di genere”, che agisce come nuovo supporto di rifiuto del corpo, in una maniera a ben vedere subdola, e a servizio di una visione ancora una volta patriarcale.
La discussione spesso verte sul punto della “identificazione” con un dato sesso, in opposizione a quello con cui si è nati da un punto di vista cromosomico (XX o XY, salvo i più rari casi di persone intersessuali). La conclusione a cui si arriva è che se si hanno certe preferenze o un certo carattere, si appartenga a un dato genere piuttosto che a un altro. Un bambino che ami giocare con le bambole, indossare vestitini rosa o portare i capelli lunghi viene definito “effemminato” (in modo da neutro a dispregiativo) mentre una bambina a cui piaccia la matematica, giocare a calcio o coi soldatini è un “maschiaccio”. Continua a leggere→