Recensione di “Spiaggia libera tutti” di Chiara Valerio

Che piacere recensire questo libro così bello dell’immensa Chiara Valerio!  

La rece è appena uscita su LPELS (ripresa anche da slowcult), eccola qui:

La Macondo di tutti i sud del mondo

“Spiaggia libera tutti” di Chiara Valerio (Laterza) è un docufilm cartaceo su Scauri, il posto dove l’autrice è nata e cresciuta: galoppata nel far-(spaghetti)-west a cui questa giovane e ipertalentuosa scrittrice dedica un canto d’amore affettuoso, letterario, letteraturoso e molto comico, ma col patetico a fil di groppo.
Scauri come Macondo, il paese sudamericano dove è ambientato “Cent’anni di solitudine” di G. G. Marquez; Scauri raccontata con una prosa a metà tra Roberto Bolaño e Jerome K. Jerome – l’autore di “Tre uomini in barca”. E come nel capolavoro di Marquez questo libro porta nello sguardo complessivo il significato di un passaggio di consegne generazionale tra padri e figli, un lascito di continuità storica, morale, emotiva e sociale tra figli e genitori, nonni, bisnonni, e quelle persone che – pur non essendo parenti – appartengono dell’anima di un luogo al punto da esprimerne contenuti condivisi tra tutti, come antichi aedi. Continua a leggere

Ancora Andrea Chimenti: recensioni di Tempesta di Fiori

Ho scritto altri due pezzi su Andrea Chimenti, uno per La poesia e lo spirito, l’altro per Slowcult e TNT. Un po’ come è stato per Altai di Wu Ming, parlare di questo sorprendente e magnifico musicista è diventato quasi un esercizio di stile per me, con l’instancabilità che da sempre contraddistingue i miei ascolti di ottima musica.

Andrea Chimenti: Tempesta di Fiori

È uscito da poco “Tempesta di Fiori”, l’ultimo album del musicista aretino che si è già meritato recensioni vibranti e sentite: come nel suo stile, il raffinatissimo Andrea Chimenti ha prodotto ancora un lavoro estremamente ricercato e all’insegna di un’orchestrazione di suoni che abbraccia strumenti classici (corde, fiati, percussioni, vibrafono, clavicembalo, accordion, per citarne alcuni) con quelli più tradizionali del rock, non ponendosi alcun limite espressivo o melodico: ogni strumento, ogni partitura, addensano la cifra emotiva e stilistica di ogni brano rendendolo unico e diverso dagli altri, efficace.
Eppure c’è un’unità stilistica molto forte in questi dodici pezzi, una risposta forse all’imperioso divieto contenuto nel titolo del suo album precedente: “Vietato morire” (2004). Vietatissimo, perché la vitalità e la rabbia gioiosa di esistere con cui “Tempesta di Fiori” contagia chi ascolta è un antidoto a ogni pessimismo e spleen, dove anche nei pezzi più cupi emerge un’energia potente, più convinta e omogenea che negli album precedenti. Continua a leggere

Andrea Chimenti raccontato all’Unità online

Sono innamorata della sua musica e di tutto quello che fa. Andrea Chimenti lo conoscevo molto superficialmente da molti anni (una cosa che ha del misterioso e dell’incredibile per me, anche contando la collaborazione con David Sylvian, uno dei miei pilastri musicali, e la mia venerazione quasi trentennale per Gianni Maroccolo), fino a che il 14 maggio scorso il grande Tamagnini di Radio Città Aperta ha passato la sua cover di “Vorrei incontrarti” e dal primo attacco di quella chitarra distorta, quel piano e quel canto sono corsa davanti alla radio per sentire chi fosse quel musicista, quella voce. E ora sono pronta alla laurea in chimentologia, ma ne vale davvero la pena, “Tempesta di fiori” è il bell’album di quest’anno, qualsiasi cosa esca da oggi in poi, ma tutta la sua discografia è potente, densa, viscerale, splendida.

Ed è quindi con una certa emozione che vi propongo il mio pezzo uscito ora per Unità online. More to come, stay tuned…

Chimenti, tempestoso e felice
Di Monica Mazzitelli

Ci sono voluti cinque anni perché uscisse il nuovo album, ma l’attesa ci ricompensa: “Tempesta di Fiori”, il cd di Andrea Chimenti uscito il 30 aprile scorso, è un piccolo scrigno di capolavori. Ascoltatelo tutto quest’album, per tre volte, e tornerete a farlo: ogni pezzo vi chiamerà con la sua storia, la sua atmosfera, come la miniatura di un mondo da scrutare sotto una lente di ingrandimento. Continua a leggere

Mare fuso: la natura secondo Mimmo Jodice

Una lettura della mostra monografica dedicata al grandissimo fotografo Mimmo Jodice che si è appena conclusa a Roma, scritta per La poesia e lo spirito.

Mare fuso: la natura secondo Mimmo Jodice

Si è appena conclusa al Palazzo delle Esposizioni di Roma una mostra monografica su Mimmo Jodice, doveroso tributo a uno dei maggiori fotografi italiani di tutti i tempi. Un percorso soprattutto cronologico e implicitamente tematico che mette in contatto con la storia e lo stile di questo artista partenopeo che pur avendo viaggiato in tutto il mondo ha probabilmente espresso il meglio raccontando la sua Napoli.
Dagli  esordi sperimentali degli anni ’60 con foto strappate e sovrapposte (“Paesaggio interrotto”, “Frattura” o immagini di “Taglio” alla Fontana), passa presto a rappresentare il proletariato, non solo quello urbano con le fortissimi immagini di una “Ercolano” pasoliniana, o la serie dell’ “ospedale psichiatrico”, ma pure quelle della fabbrica, con alcuni scatti presi anche nelle acciaierie di Terni. Continua a leggere

Una lettura di “Stella distante” di Roberto Bolaño

Online da ieri sera questa mia lettura del breve romanzo di Bolaño (il primo che leggo interamente in castigliano!), pubblicata su LPELS.

La Stella di Bolaño non è mai troppo distante

Cordiale, eppure così ispido. Di Roberto Bolaño ho letto solo questo breve romanzo, Estrella distante (Stella distante), eppure mi sembra di conoscerlo. Non solo come scrittore, ma come uomo. Se dovessi girare un film su di lui saprei perfettamente come far muovere il protagonista, quali gesti, quali tic, l’inclinazione del mento, il tono della voce, che non ho mai visto o sentito. Perché lui – che si definiva prima di tutto un lettore, e solo poi uno scrittore – in queste pagine ci mette la sua essenza, alternando una narrazione romanzesca a lunghe disquisizioni sulla poesia, soprattutto quella latino-americana, con passione feroce. Così presente a se stesso ma simultaneamente facendo sempre un ossequioso passo indietro letterario, Bolaño ha sempre chiara la sua dimensione del gusto e la profonde come fosse materia inscindibile della narrazione, mai come digressione ex cathedra. Molto della sua anima e della sua poetica si capiscono leggendo l’ultima intervista che ha rilasciato qui, un testamento di intelligenza e passione, humor e umanità. Continua a leggere

“Notti magiche inseguendo goal” un racconto per il blog di Laura et Lory

Laura Costantini mi ha coinvolta in un progetto di scrittura “E se parlassimo di calcio?” che ha voluto essere una versione al femminile della frenesia calcistica da mondiali, da pubblicare sul blog che tiene insieme a Lori, l’amica con cui scrive e firma i suoi romanzi. Di calcio ne so quanto di curling, per cui ho scritto solo un ricordo di quando vivevo in Svezia, una storia che mi frullava da un po’. Eccola:

Notti magiche inseguendo goal

Il novanta è stato l’anno di molte cose. La mia laurea, il mio trasferimento a Stoccolma, il mio primo lavoro fisso. E i mondiali di calcio in Italia, ovviamente.
Io che quando scrivo mi costa quasi fatica metterci la maiuscola sulla parola Italia.
Mai stata nazionalista, neanche in senso folcloristico. E infatti mi sono laureata in Lingue Straniere, esterofilamente, con la media del 29.7; e con il centodieci in saccoccia passavo il mocio per terra nel negozio Benetton in centro a Stoccolma, il mio primo giorno di lavoro. Pensando che era marzo, e il freddo sarebbe durato fino a giugno. Continua a leggere

Joyce Carol Oates: la spietatezza della narrazione come unico risarcimento alla crudeltà.

Un nuovo pezzo (finalmente!) per La poesia e lo spirito dopo il lungo silenzio imposto dalla scrittura del romanzo, dedicato a J. C. Oates, che credo sia insieme a Toni Morrison la mia scrittrice preferita.

Non si è smentita J. C. Oates: al Festival Letterature di Roma 2010 ha letto un pezzo (il primo capitolo del suo nuovo romanzo in corso di scrittura) che celebra il filo rosso della sua durissima, splendida narrazione. Settantadue anni ben portati e ben vissuti, con decine di romanzi pubblicati negli Stati Uniti e tradotti in quasi ogni lingua, centinaia di racconti, e poi ancora saggi (molti sulla boxe), poesie, pièce teatrali, sceneggiature. Prolifica e grande artigiana della scrittura, la sua visione del mondo è sempre dalla parte dei deboli, a cominciare dalle donne. Non si fa incantare dalle supposte conquiste della donna occidentale e continua a procedere spedita nel denunciare abusi e soprusi vissuti ogni giorno, con un occhio femminile e femminista sul mondo, implacabile nel fotografare la società statunitense per quella che è. Continua a leggere

“Assedi e paure nella casa Occidente”: è uscita un’antologia di cui vado fierissima

Qualche mese fa mi ha contattata una persona che non conoscevo, Carlo Cannella, per chiedermi un contributo a un progetto antologico che stava curando per la sua neonata casa editrice Senzapatria.  Molto bello quando chi ti cerca non è un amico, pensi che se lo fa è perché ti ha letta e gli sei piaciuta davvero, vuole la tua scrittura, la sceglie tra le tante. Questo basterebbe quasi a farti sentire contenta e dire di sì. Ma in questo caso è stato diverso: qui c'era un progetto bellissimo che ho sentito fortemente mio, già dal titolo: "Assedi e paure nella casa Occidente".
Qualcosa di cui è NECESSARIO parlare, indispensabile, in una situazione dove la paura ha perso la "u" ed è diventata para, paranoia, filtro sociale, emotivo, sentimentale, scusa, appiglio, merce, consumo; un business sociale e politico. E ancora non sapevo che bella persona interessante fosse Carlo. Ora lo so, e sono ancora più orgogliosa di essere stata coinvolta in questo progetto. Il libro è fuori, stasera lo presentiamo al Flexi, è un giorno speciale, per tanti motivi. Felice e grata, a stasera!

Il racconto, comunque, lo trovate qui: assedi.

Ricominciare da uno: Massimo Volume all’Init

Una nuova recensione del concerto dei Massimo Volume, uscita con grande ritardo su Slowcult per problemi al sito… Eccola qui!

Massimo Volume: ricominciare da uno
Roma, 29 aprile 2010, INIT

Non sono pochi quelli che considerano i Massimo Volume un tassello essenziale della storia del rock italiano: un gruppo fondativo. Difficile dargli torto, avendo riascoltato tutta la loro musica dal ’93 al ’99. Infatti quando la band si è ricomposta nel 2008 dopo sei anni di altri progetti (sia musicali che letterari), i fan hanno esultato. E non si è di certo trattato di un’operazione “commerciale” – per quanto il termine nel panorama indie rock suoni pletorico – nonostante il gruppo abbia fatto uscire il suo primo live l’anno scorso (Bologna Nov. 2008), ma di una evidente necessità di esprimere nuovi contenuti.
Suonare dal vivo quindi con la formazione di base – Egle Sommacal alla chitarra, Mimì Clementi a basso e voce e Vittoria Burattini alla batteria – e in più la chitarra del talentuosissimo Stefano Pilia. Non per puri concerti amarcord però, ma anche (forse soprattutto) per ritrovare affiatamento e provare pezzi nuovi: la band è tornata in studio a registrare proprio in questi giorni.
Il gruppo “bolognese” (per adozione geografica) ha appunto deciso di mettere in cantiere una serie di brani nuovi: i concerti di questi ultimi mesi (ben due a Roma) stanno facendo da test con il pubblico. E i fan, si sa, proprio perché affezionati al passato, possono anche essere molto duri con le “innovazioni”. Ma certamente non in questo caso e non qui all’INIT dove il pubblico ha dato una risposta molto calda proprio ai lavori in cantiere – concentrati soprattutto nella prima parte – che sono stati sei, cioè quasi la metà del concerto. Pezzi ruggenti, solidi, densamente rock, potenti, e con una grinta e emotività che davvero non fa rimpiangere nulla del loro celebrato passato. Anzi la scelta di suonare molti brani del loro primissimo album del ’93 (Stanze) invece che pescare di più dai successivi crea una continuità stilistica forte con le sonorità attuali della band.

Ci dice Vittoria Burattini nel backstage che la scelta di suonare pezzi di quell’album è legata al fatto che provandoli si sono resi conto che c’era un’energia rock, una durezza che in effetti è quella che ora funziona, quella che il pubblico “chiede”.  Ha ragione Vittoria, la sua grinta così timida e insieme sfacciata trascina per i capelli un pubblico ipnotizzato dalle chitarre di Egle Sommacal e Stefano Pilia. In effetti avendo sentito suonare Egle in ben tre formazioni diverse negli ultimi mesi (del suo progetto con il quartetto di fiati potete leggere qui), una delle quali ancora insieme a Stefano Pilia (nello spettacolo Razza Partigiana eseguito con Wu Ming), è incredibile riscontrare una capacità così camaleontica di questo musicista, che rivela una versatilità strumentistica (oltre che melodica) assoluta. Stefano poi a mio avviso è uno dei migliori chitarristi sperimentali post-rock in circolazione (sempre che sia possibile chiudere questo ragazzo in un genere), con collaborazioni importanti alle spalle: tenetelo d’occhio.
Che dire poi di Mimì Clementi? Basso struggente, voce magnetica, testi sempre più densi, elaborati, potenti, e certamente non basta un primo ascolto per sentirne tutte le sfaccettature. Ma si percepisce una maturità più calda: la temperatura si è alzata. La platea lo ascolta come un profeta ma anche come un cantastorie sentito in pochi, seduti attorno a un fuoco notturno. Aspettare l’uscita del prossimo disco sarà un virtuoso esercizio di pazienza.
Di Monica Mazzitelli

Cronaca sintetica di tutti gli amori morti e lettera a quello mai nato

Non voglio sentire il suono sgraziato delle tue sedie di cucina, chiedermi ogni volta quale nume dozzinale ti ha fatto scegliere le piastrelle del bagno, irritarmi del quadretto preso in Egitto che non vuoi buttare. Adattarmi ai pranzi con la tua famiglia, ai tuoi amici noiosi di scuola, a quelli squallidi dell’ufficio, al radiocalcio della domenica, alla spesa svogliata al supermercato. Ai tuoi regali brutti sbagliati che mi tocca indossare, alle cose a cui rinuncio e neanche me le ricordo finché quando finalmente tronco me le ritrovo di nuovo in mano come scarpe dimenticate dentro una scatola. E i litigi con tuo fratello, i nipoti chiassosi, i pranzi di Pasqua.
Entrare un mondo sputandomi fuori dal mio, ogni volta da capo per ogni uomo scelto, ogni volta alla fine sbagliando, avendo dato più di quel che ho preso.
Perdere un confine mio mai avuto per sbiadirmi nel tuo; vergognarmi di me stessa perché mi vedo lentamente ingrassare. Annoiarmi annoiarmi annoiarmi e quindi odiarti, e fuggire prima di soffocare nel mio sbadiglio. Cercare di spiegare a noi due cosa si è rotto, dove ho lacerato il mio amore andando troppo oltre, sapendo che tutto è stato oltre, tutta una ricerca inutile di qualcosa di necessario ma ineffabile: il nutrimento amoroso in una relazione. Continua a leggere