Pure Cristo (da “Tutti giù all’inferno”)

Mi è dispiaciuto molto non aver messo questo racconto anche nella versione libro dell’antologia Tutti giù all’inferno perché è una storia a cui tengo. Ci tengo perché anche se le persone di cui scrivo sono diverse e si muovevano in tutt’altro contesto, io questa storia l’ho vista passare sotto i miei occhi, senza farci nulla tranne che parlarne ai superiori e al sindacato. La vittima fu trovata poi un giorno nuda per strada, dai Carabinieri, da lì ricoverata e imbottita di farmaci. Ha poi lasciato il lavoro e preso 20 chili. Vive in trance, in un altro continente. Visto che di fatto non ho alzato un dito per aiutarla, le dedico questo racconto.

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PURE CRISTO

Non sono mica io, no, è lei che se la cerca. È stupida, cretina, non ci arriva, è minus habens. Inutile che Santini dica che mi devo dare una calmata, io sono calmissimo. È lei che è scema. Poveraccia, mi fa quasi pena, a volte. Quando la vedo che non sa ancora usare la fotocopiatrice è troppo, dopo due anni che l’abbiamo cambiata ancora non si ricorda da che lato mettere i fogli. Ti fa impazzire una così. Anche la Minetti ha detto che devo stare calmo, che quando in ufficio non ci sono la Survino i fogli li mette giusti e non sbaglia neanche a spedire i fax. Continua a leggere

Spiccioli (da “Tutti giù all’inferno”)

Questo è il più “antico” dei racconti che ho pensato per l’antologia Tutti giù all’inferno, la prima ispirazione che mi è venuta vedendo una giovane donna inginocchiata a chiedere l’elemosina con un santino messo dentro un piccolo contenitore di plastica, da frutti di bosco. Mi ha fatto pensare a una costruzione, a uno strumento di marketing, con cui ho curato il mio disagio.

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SPICCIOLI

Non glieli voglio dare.
No no no.
Sono tutti degli attori consumati quelli là, se ne stanno belli tranquilli poi quando intravedono il passante fanno smorfie da disperati, si fanno venire le rughe in faccia, storcono la bocca, si dondolano avanti e indietro, e attaccano con le litanie. Sporchi e cenciosi quei bambini in braccio, mi sa che li drogano per farli stare lì delle ore quasi fermi. Per terra vicino al piscio dei cani. Quelle braccette di bambino tutte sporche, con il grigio che fa le striature, le magliette bucate. Che bisogna fare, levargli i bambini?
Le donne le costringono quelli, se arrivano a casa senza soldi le picchiano quei bastardi, picchiano anche i bambini.
No no no. Continua a leggere

Fuori strada (da “Tutti giù all’inferno”)

Questo è uno dei racconti che ho pubblicato nell’antologia Tutti giù all’inferno e affronta un tema che mi affascina e inquieta molto: assassini per colpa, sì, ma veniale: più che altro per fatalità, per scherzo crudele del caso. Fa il paio con un altro racconto sullo stesso tema "Era un cane", uscito su Accattone, che però ha ancora meno redenzione tra le righe.

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FUORI STRADA

Pronto? Pronto? Amore ciao! Sì ora ti sento, tu mi senti? No è che stavo entrando adesso in metropolitana con un collega, aspetta che lo saluto…
Maurizio scendi intanto tu nel forno crematorio eh eh, io semmai ti raggiungo sotto va bene? Ma no figurati vai pure, ci vediamo domani, al limite, OK? Ciao, sì, ciao! A domani eh? E stai su, va bene?
Amore, ci sei? No aspetta che ti voglio dire ‘sta cosa, non sai che storia che m’ha appena raccontato Maurizio. Ma no, parlo piano perché ho paura che mi senta, aspetta un attimo, ecco adesso ha girato la rampa delle scale… No, non quel Maurizio, quello è del secondo piano, questo è Maurizio Bertoli, c’hai presente? Quello di Grottaferrata, con la moglie ricca, dài, quello che fino all’anno scorso girava in Porsche Cayenne, che poi se l’è venduto e tutti dicevano che la moglie gli aveva tagliato i cordoni perché andava a mignotte, ti ricordi? Sì bravo, proprio quello, che da un annetto ogni tanto me lo ritrovo in metro e non dice mai una parola, che t’avevo detto che mi dava l’angoscia perché mi pareva malato, sì quello! Continua a leggere

Quattro minuti (da “Tutti giù all’inferno”)

Questo è uno dei racconti che ho pubblicato nell’antologia Tutti giù all’inferno e prende ispirazione da WM1, facendo riferimento a un suo pezzo letto su una mail di Giap qualche anno fa. Si parlava del carcere dell’Asinara e del fatto che ai condannati venissero dati solo quattro minuti per fare la doccia, anche se WM1 dice che il testo più esaustivo sull’argomento si trova qui.
Sono le riflessioni e i pensieri ossessivi e un po' bui di un giudice in pensione durante un bollente viaggio in una metropolitana senza aria condizionata.

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QUATTRO MINUTI

Vent’anni oggi. Già vent’anni, ma ieri, sembra ieri. Il viso non me lo ricordo più ma lo sguardo lo riconoscerei anche adesso, mi viene a guardare, la notte. È lunga la notte dei giudici in pensione. Me l’aveva detto Marcucci, i giudici in pensione pensano troppo, hanno troppi ricordi e poco sonno, e Simenon l’ho finito tutto da un pezzo. Questo caldo infernale, farà così caldo all’Asinara? Solo quattro minuti per la doccia. Continua a leggere

Esther (per Wu Ming Foundation)

Questo più che un racconto compiuto è una sorta di ulteriore epilogo dell’epico “Manituana” di Wu Ming. È stato pubblicato sul sito del libro, al secondo livello (quello riservato a chi ha già letto il romanzo) ma è doveroso chiarire che gli autori – pur avendolo credo apprezzato sotto il profilo narrativo – non erano molto d’accordo con la mia visione/interpretazione : )
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ESTHER

Il primo a bagnarsi non fu l’alluce ma il medio, ché era il più lungo.
«I tuoi piedi lasciano impronte da orsa», la prendeva in giro.

Così fu il medio, del piede destro. Aveva scelto che fosse quello ad affondare per primo nella rena fredda del lago. Era Gemello Destro che doveva portare ordine nelle cose.
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Il respiro di Seth

Questo racconto l'ho scritto come contributo esterno al progetto Kai Zen per il romanzo “La strategia dell’ariete” (Mondadori 2007), un divertissement che deve molto alle migliaia di pagine dell’impareggiabile Georgette Heyer (e della sua formidabile traduttrice Anna Luisa Zazo), delle quali mi sono cibata e ricibata per molti anni e con cui ho quindi di certo un debito di riconoscenza letteraria. Non è facile da comprendere se non si è letto il romanzo, ma è una scena che mi piace, e volevo pubblicarla qui comunque.

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IL RESPIRO DI SETH – FRANCIA 1771

Le ultime parole di André Guillaume de Florin, quinto visconte di Solian, erano appese nell’aria da alcuni minuti: “una morte atroce”.
Le aveva pronunciate per ultime apposta, e si era compiaciuto del silenzio un po’ cavernoso che avevano lasciato nella biblioteca, rotto solo dal crepitio irregolare dei ceppi nel caminetto. Continua a leggere

Giovani carini e scrittori

Una recensione per il quotidiano Off.

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Giovani carini e scrittori

Una presentazione a tre al “Martelive” di Colloca, Fattori e Morici, scrittori di nuova generazione

L’unione fa la forza, soprattutto se quello che si vuole raccontare è una realtà giovane e disincantata, da snocciolare su piani temporali diversi. Saverio Fattori, con “Chi ha ucciso i Talk Talk?”, infilza gli anni ottanta con il suo famoso bisturi, parlando di anni che continuano a pesarci sulle spalle come macigni; Gianluca Colloca, nel suo incalzante e spunteggiato “Pork Soda”, ci racconta una scapestrata vita di periferia dalla parte degli spietati, come li avrebbe probabilmente – e spietatamente – raccontati Pasolini; e dopo passato e presente facciamo un salto nel futuro con Claudio Morici e il suo nuovo romanzo “Actarus” (cioè il pilota del robot Goldrake), dove il protagonista è un extraterrestre emigrato in Giappone nonché alcolista da Peroni Nastro Azzurro.

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Festa di compleanno

Questo racconto è uscito su “Rassegna sindacale”, la rivista della CGIL, per venire poi pubblicato da Ediesse nell’antologia “Il lavoro e i giorni“. L’avevo scritto per parlare del tema IVG (interruzione volontaria di gravidanza), che mi sta molto a cuore, ma andava benissimo per il tema. Il racconto è un po’ amaro ma – credo – abbastanza vero.

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FESTA DI COMPLEANNO

Quindi oggi facevo diciassette anni. Tu mi avevi comprato una felpa e quel portachiavi firmato di marca accettata a livello radical-chic, però pensavi che era un peccato che non fossi proprio proprio no global, che non mi facesse schifo anche Lonsdale. Ma ti accontentavi così, per questo figlio cresciuto negli anni ’90. Ti era andata quasi troppo di lusso con me, non mi piaceva neanche il calcio. E ti impensierivi su certi dettagli che lasciava scappare il mio zainetto Eastpak, perché va bene la canna che è di sinistra, però era meglio se era saltuaria, di gruppo, e invece due dico due pacchetti di cartine lunghe, e il set indiano di cartoncini da filtro. Questo significa iniziativa personale, procacciamento diretto e utilizzo quotidiano di stupefacenti. Continua a leggere

Melampo

Questo pezzo mi da una grande emozione e sono stata onoratissima che sia uscito su Carmilla il 24 aprile 2007, corredato dalle foto di Gianni Faluomo. Una delle soddisfazioni più grandi che ho avuto dalla scrittura.

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MELAMPO

Addis Abeba è una città speciale e contagiosa, istilla un ritmo di vita che veloce si inocula e poi ti resta lì, dove non l’hai messo.
Non è una cartolina africana; è un mondo a parte, con cose uniche e splendide che non trovi altrove, e situazioni che danno fastidio. Una città tropicale in quota, dolcezza solare di giorno e freddo di notte, soprattutto se stai sotto una lamiera e poi piove. Qui ci sono i mesi delle piogge. Il clima dopo El Niño ha perso un paio di venerdì e a volte l’acqua travolge tutto. Ora no, è novembre e la pioggia è finita. Ho una settimana da passare qui, per lavoro. Continua a leggere

Lettere all’amministratore di un condomino intimo – Francesco Fagioli

Una recensione per il quotidiano Off.
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“Un certo senso” di Francesco Fagioli in libreria da oggi, candidato da Marsilio Editore al premio Strega

Il romanzo più innovativo di quest’anno lo trovate da oggi in libreria, e ne sentirete davvero parlare a lungo, forse per sempre: questo libro è davvero quello che in gergo viene definito un long seller, cioè un’opera che resta nei “classici” della letteratura, e si vende all’infinito. Perché? Perché è un romanzo pazzesco, che se non avesse le qualità di scrittura che ha, sarebbe un vero incubo: quasi un centinaio di lettere indirizzate a un amministratore di condominio.  Ma sono lettere di delirio trattenuto, di fuoco e follia,  che celebrano l’incomunicabilità di una vita – forse di tutte. Il diario involontario, negato, di un artista fallito e borderline, Antonio Senso, prigioniero di un appartamento reso mefitico da una problema di scarico del suo bagno, con il finale che si tinge di giallo. Una prosa talmente sontuosa da aver portato Marsilio Editore a sceglierlo per come loro candidato al Premio Strega 2007.

Questo romanzo parte da un’idea inaudita: da dove ti è venuta l’ispirazione?
Nessuna ispirazione, almeno per come l’intende A. Senso, quella mamma immateriale che non solo ti visita inaspettatamente ma poi pensa a far tutto lei, sicché l’artista non deve muovere un dito. Tutto è nato da un fatto reale. La puzza in casa, l’occlusione della colonna di scarico, la lettera dell’avvocato, dettata al telefono per l’amministratore, con la raccomandazione di rivederla ed eventualmente correggerla prima di spedirla. La prima lettera del romanzo non è mia ma riferisce fedelmente le parole dell’avvocato. È quella che effettivamente spedii e che seccò l’amministratore perché avrebbe preferito che gli parlassi del problema a voce. Ad ogni modo, se ne occupò subito e la puzza svanì nel giro di due giorni, però mi ricordo che prima di spedire la raccomandata mi domandai che sarebbe avvenuto se ci avessi messo le mani per “migliorarla”. Feci in effetti dei tentativi, delle modestissime correzioni, e poi lasciai perdere. In seguito non so bene cosa accadde. Forse Antonio Senso – qualcuno che evidentemente già abitava in qualche parte del mio cervello – si incaponì su quel testo. Volle a tutti i costi renderlo diverso, “degno” del destinatario. E così mi dilagò nella mente, non voglio dire che se impadronì, ma di certo si prese una sorta di diritto incondizionato sulle mie mani, e combinò quello che combinò. Alla fine Senso muore, di morte violenta, e nel romanzo c’è un mistero su chi potrebbe averlo ucciso, ma io ho più che un fondato sospetto che quell’assassino sia io.

C’è un messaggio in questo romanzo? Antonio Senso è un everyman?
Se c’è un messaggio, non so dire. Può darsi, ma non mi è possibile razionalizzarlo. C’è un senso (un Senso!) di maledizione, che potrebbe essere quella della scrittura: una sorta di condanna, un contrappasso atroce poiché non è dato sapere a chi lo subisce, cioè a chi scrive, quale sia la colpa che deve scontare. Ecco perché, forse, non potrebbe dirsi che A. Senso sia un everyman, almeno me lo auguro fortemente, giacché non saprei immaginare pena eterna peggiore di quella che non può essere ricondotta ad una qualunque responsabilità. Certo, Senso è sotto tutti gli aspetti una persona “normale”, come lo sono quelli che lo circondano, i condomini, l’amministratore, l’avvocato, e rientra nella sua normalità un certo numero di colpe, sarebbe meglio dire errori, che, in linea teorica, potrebbero essere suscettibili di una punizione. Ma questo non basta a giustificare il martirio della scrittura, e in specie di una scrittura che fa gabbia a se stessa, che impedisce a chi ne è posseduto di scrivere qualcosa di diverso da una – una sola! – lettera, intorno ad un unico problema, quello della puzza di fogna dentro casa.

La tua prosa è in assoluta controtendenza rispetto al mercato, eppure si impone con grande autorevolezza, sicura di sé. Nasce dal personaggio o dal suo autore?
La questione dello stile è per me fondamentale. Ma non saprei dire da cosa o da chi nasca. Scrivo nel solo modo in cui sono capace; posso stare ore o giorni a risolvere un dubbio circa la punteggiatura o la scelta di un aggettivo. Ma il punto è un altro: quando scrivo (o quando scrive A. Senso) mi impongo una regola assoluta: non seguire mai uno schema, uno sviluppo predeterminato. Bisogna che il pennino intinto nell’inchiostro scorra liberamente, dissennatamente, penetrando in territori sconosciuti, senza alcuna garanzia che vi sia un buon esito, e senza sapere se se ne uscirà vivi. Alla fine rileggo tutto e sono i momenti più spaventosi, quelli in cui viene decretato un giudizio inappellabile: funziona o non funziona. In caso di risposta negativa, non c’è salvezza perché quel che è scritto è scritto. Non mi piacciono i romanzi (la stragrande maggioranza purtroppo) che sanno di “costruito”, che sono a tutti gli effetti costruiti. Non mi piacciono gli scrittori che non rischiano quando si mettono al tavolino, che navigano a bordo di una nave da crociera, e non invece su un vecchio brigantino con le vele strappate, privo di bussola e di astrolabio, che fa rotta verso il mare aperto col solo riferimento dell’orizzonte e del tremolio delle stelle.