Recensione di “Altai” di Wu Ming per L’Unità

Ecco la mia prima rece dello splendido romanzo di Wu Ming, uscita oggi sul Unità online.

Altai, i Wu Ming ripartono da Q e riscoprono psiche e femminilità

Due potenze a confronto: la Serenissima e l’Impero Ottomano di Selim II alla vigilia della battaglia di Lepanto, che segna l’inizio del tramonto dell’Impero d’Oriente. Il celeberrimo romanzo “Q” firmato Luther Blissett e scritto dall’ensemble narrativo che ha poi preso il nome di Wu Ming, si concludeva a Costantinopoli 15 anni prima dell’inizio di Altai. Ne Continua a leggere

“Corpi estranei”, primo romanzo di Paola Ronco

Comincio ora una nuova collaborazione con un sito che mi piace moltissimo: slowcult!
Sono molto orgogliosa di questa novità, e ho voluto cominciare con il bel romanzo di Paola Ronco "Corpi estranei".

Ecco qui:
Un romanzo scritto con la sicurezza di una sceneggiatura: dialoghi perfetti, asciutti, significativi. I personaggi emergono dalle parole, dai gesti, quasi nulla è raccontato: è questo il romanzo d’esordio della giovane scrittrice torinese Paola Ronco, classe 1976. Continua a leggere

Lettura: Autoreverse di Francesco Forlani

Un romanzo totalmente casalingo nonostante sia vissuto negli ambienti senza odore di un albergo, nei rumori sempre uguali di ascensori, pavimenti e scale, scricchiolii di parquet, cigolii di armadi, anche nella stanza del suicida Pavese. Ma non ci sono questi suoni, è proprio questo che manca: la voce del poeta, quella che darà un senso alla carta delle sue parole, anche quelle muffe dei suoi scritti rubati all’inondazione. Il suono della sua voce che renderà all’improvviso tutto chiaro: il mistero della sua poesia, l’amore infelice, le donne americane così crudeli nella loro indifferenza.
Un romanzo egalitario. Non c’è alto o basso, c’è l’unificazione dell’umanità nella condivisione dell’emozione, uguale per tutti. Ci sono persone, legami tra persone, debolezze di persone, forza di persone. Donne piccole e forti, uomini deboli ma autorevoli, voglia di solidarietà emigrata, tornare a casa ma anche restare lì per evocarla da lontano, sentire l’appartenenza che rende il concetto di “paese d’origine” un’entità fisica molto più solida di qualcosa di vissuto nella quotidianità, dato per scontato. Nella lontananza la casa è molto più tridimensionale e incombente, oggettiva ma fisica anche nella sua bruttezza. Ma esiste ed è tale perché nel rimescolarsi degli emigranti c’è bisogno della sua assenza per essere solidali, altrimenti si sarebbe tutti dispersi e non ci sarebbe il piacere dei picnic ai giardini lungo il Po, non sarebbe necessario volersi bene. Questo invece è un romanzo sentimentale, anche la ricerca letteraria è distillato affettivo, non c’è freddezza culturale ma passione di tracce, di sangue sulla pagina. Un romanzo umano, che contiene anche più di quello che fa in tempo a raccontare.

Bravo EffeffE

The Featured Artists Coalition e “Sweet Sixteen” di Birgit Vanderbeke

Di questi giorni la notizia su “The Independent”, ripresa da varie testate, che alcuni musicisti di rilievo (tra cui il miliardario Robbie Williams) hanno rilasciato una dichiarazione ufficiale secondo la quale non vogliono che vengano perseguite penalmente le persone che scaricano musica da internet a scopi personali, in opposizione alle loro case discografiche che invece cercano solo di alzare continuamente il tiro della repressione e della criminalizzazione degli scaricatori in rete. Continua a leggere

Recensione a “Stella del mattino” di Wu Ming 4

Un romanzo che strappa davvero l'applauso, non saprei davvero a chi sconsigliarlo…

Recensione sul sito di Giuseppe Genna ripresa anche dalla Wu Ming Foundation, nella sezione dedicata al romanzo.

La cosa cartacea più simile a "La sottile linea rossa" che abbia mai letto.
Ecco il mio pezzo, con l'introduzione di Giuseppe Genna:

Stella del mattino: romanzo beyond-gender di Wu Ming 4

Dopo la pubblicazione di un brano di Stella del mattino, l'iper-romanzo di Wu Ming 4 edito da Einaudi Stile Libero (qui acquistabile con risparmio di 5 euro), e prima di una articolata intervista all'autore, pubblico un'intensa recensione di Monica Mazzitelli al libro, che consiglio di leggere in integrazione alle riflessioni dedicate a Stella del mattino nell'intervento "Poiesis in origine indica il fare" di R.S. Blackswift, pubblicato su Carmilla.
Giuseppe Genna

Ho letto questo romanzo in 24 ore, sapendo che non avrei dovuto; che avrei fatto meglio a rallentare, tornare indietro a certi passaggi, lasciar scendere alcuni dialoghi, ripensare alla Storia e le metafore del presente, le scatole cinesi geopolitiche stratificate che avrebbero entusiasmato Sbancor. Ma non ci sono riuscita. Avevo urgenza di restare nel flusso, di correre con i personaggi nella loro stessa smania.

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Giovani carini e scrittori

Una recensione per il quotidiano Off.

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Giovani carini e scrittori

Una presentazione a tre al “Martelive” di Colloca, Fattori e Morici, scrittori di nuova generazione

L’unione fa la forza, soprattutto se quello che si vuole raccontare è una realtà giovane e disincantata, da snocciolare su piani temporali diversi. Saverio Fattori, con “Chi ha ucciso i Talk Talk?”, infilza gli anni ottanta con il suo famoso bisturi, parlando di anni che continuano a pesarci sulle spalle come macigni; Gianluca Colloca, nel suo incalzante e spunteggiato “Pork Soda”, ci racconta una scapestrata vita di periferia dalla parte degli spietati, come li avrebbe probabilmente – e spietatamente – raccontati Pasolini; e dopo passato e presente facciamo un salto nel futuro con Claudio Morici e il suo nuovo romanzo “Actarus” (cioè il pilota del robot Goldrake), dove il protagonista è un extraterrestre emigrato in Giappone nonché alcolista da Peroni Nastro Azzurro.

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Lettere all’amministratore di un condomino intimo – Francesco Fagioli

Una recensione per il quotidiano Off.
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“Un certo senso” di Francesco Fagioli in libreria da oggi, candidato da Marsilio Editore al premio Strega

Il romanzo più innovativo di quest’anno lo trovate da oggi in libreria, e ne sentirete davvero parlare a lungo, forse per sempre: questo libro è davvero quello che in gergo viene definito un long seller, cioè un’opera che resta nei “classici” della letteratura, e si vende all’infinito. Perché? Perché è un romanzo pazzesco, che se non avesse le qualità di scrittura che ha, sarebbe un vero incubo: quasi un centinaio di lettere indirizzate a un amministratore di condominio.  Ma sono lettere di delirio trattenuto, di fuoco e follia,  che celebrano l’incomunicabilità di una vita – forse di tutte. Il diario involontario, negato, di un artista fallito e borderline, Antonio Senso, prigioniero di un appartamento reso mefitico da una problema di scarico del suo bagno, con il finale che si tinge di giallo. Una prosa talmente sontuosa da aver portato Marsilio Editore a sceglierlo per come loro candidato al Premio Strega 2007.

Questo romanzo parte da un’idea inaudita: da dove ti è venuta l’ispirazione?
Nessuna ispirazione, almeno per come l’intende A. Senso, quella mamma immateriale che non solo ti visita inaspettatamente ma poi pensa a far tutto lei, sicché l’artista non deve muovere un dito. Tutto è nato da un fatto reale. La puzza in casa, l’occlusione della colonna di scarico, la lettera dell’avvocato, dettata al telefono per l’amministratore, con la raccomandazione di rivederla ed eventualmente correggerla prima di spedirla. La prima lettera del romanzo non è mia ma riferisce fedelmente le parole dell’avvocato. È quella che effettivamente spedii e che seccò l’amministratore perché avrebbe preferito che gli parlassi del problema a voce. Ad ogni modo, se ne occupò subito e la puzza svanì nel giro di due giorni, però mi ricordo che prima di spedire la raccomandata mi domandai che sarebbe avvenuto se ci avessi messo le mani per “migliorarla”. Feci in effetti dei tentativi, delle modestissime correzioni, e poi lasciai perdere. In seguito non so bene cosa accadde. Forse Antonio Senso – qualcuno che evidentemente già abitava in qualche parte del mio cervello – si incaponì su quel testo. Volle a tutti i costi renderlo diverso, “degno” del destinatario. E così mi dilagò nella mente, non voglio dire che se impadronì, ma di certo si prese una sorta di diritto incondizionato sulle mie mani, e combinò quello che combinò. Alla fine Senso muore, di morte violenta, e nel romanzo c’è un mistero su chi potrebbe averlo ucciso, ma io ho più che un fondato sospetto che quell’assassino sia io.

C’è un messaggio in questo romanzo? Antonio Senso è un everyman?
Se c’è un messaggio, non so dire. Può darsi, ma non mi è possibile razionalizzarlo. C’è un senso (un Senso!) di maledizione, che potrebbe essere quella della scrittura: una sorta di condanna, un contrappasso atroce poiché non è dato sapere a chi lo subisce, cioè a chi scrive, quale sia la colpa che deve scontare. Ecco perché, forse, non potrebbe dirsi che A. Senso sia un everyman, almeno me lo auguro fortemente, giacché non saprei immaginare pena eterna peggiore di quella che non può essere ricondotta ad una qualunque responsabilità. Certo, Senso è sotto tutti gli aspetti una persona “normale”, come lo sono quelli che lo circondano, i condomini, l’amministratore, l’avvocato, e rientra nella sua normalità un certo numero di colpe, sarebbe meglio dire errori, che, in linea teorica, potrebbero essere suscettibili di una punizione. Ma questo non basta a giustificare il martirio della scrittura, e in specie di una scrittura che fa gabbia a se stessa, che impedisce a chi ne è posseduto di scrivere qualcosa di diverso da una – una sola! – lettera, intorno ad un unico problema, quello della puzza di fogna dentro casa.

La tua prosa è in assoluta controtendenza rispetto al mercato, eppure si impone con grande autorevolezza, sicura di sé. Nasce dal personaggio o dal suo autore?
La questione dello stile è per me fondamentale. Ma non saprei dire da cosa o da chi nasca. Scrivo nel solo modo in cui sono capace; posso stare ore o giorni a risolvere un dubbio circa la punteggiatura o la scelta di un aggettivo. Ma il punto è un altro: quando scrivo (o quando scrive A. Senso) mi impongo una regola assoluta: non seguire mai uno schema, uno sviluppo predeterminato. Bisogna che il pennino intinto nell’inchiostro scorra liberamente, dissennatamente, penetrando in territori sconosciuti, senza alcuna garanzia che vi sia un buon esito, e senza sapere se se ne uscirà vivi. Alla fine rileggo tutto e sono i momenti più spaventosi, quelli in cui viene decretato un giudizio inappellabile: funziona o non funziona. In caso di risposta negativa, non c’è salvezza perché quel che è scritto è scritto. Non mi piacciono i romanzi (la stragrande maggioranza purtroppo) che sanno di “costruito”, che sono a tutti gli effetti costruiti. Non mi piacciono gli scrittori che non rischiano quando si mettono al tavolino, che navigano a bordo di una nave da crociera, e non invece su un vecchio brigantino con le vele strappate, privo di bussola e di astrolabio, che fa rotta verso il mare aperto col solo riferimento dell’orizzonte e del tremolio delle stelle.

Ferite di guerra che seducono i francesi – Giulia Fazzi

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L’intensissimo romanzo della Fazzi, passato un po’ inosservato in Italia, pubblicato da Gallimard

A volte anche l’editoria sforna piccoli miracoli, quando ci sono occhi svegli e ricettori intelligenti e spregiudicati. Sono rarissimi ma per fortuna ci sono, a ricordarci che a volte si sopravvive senza santi in paradiso. È il caso di Giulia Fazzi, giovane scrittrice carpigiana “scoperta” dal gruppo de iQuindici (i lettori volontari costola del collettivo Wu Ming), edita in Italia dall’editore romano Gaffi, il cui romanzo “Ferita di Guerra” è stato appena pubblicato dal prestigioso editore francese Gallimard con il titolo “Blessures de guerre”.  Questo è un onore concesso a pochi – a “poche” ancor meno – che dà speranza al magma dei giovani scrittori italiani spesso ingiustamente invisibili.
Ma questo romanzo in effetti meritava davvero una sorte migliore: è la storia molto intensa e attuale di una giovane operaia che continua a fare le sue rivendicazioni senza piegare la testa, indifferente al mobbing e alle mille pressioni che subisce, tanto che alla fine subirà l’estrema ratio della pressione: lo stupro da parte del padrone. Una storia che si regge su un parossismo raro ma non infrequente, che assurge ad atto simbolico di una molestia – quella sessuale – che è invece largamente diffusa nei luoghi di lavoro. Il cammino di recupero dallo shock di questo trauma tesse con grande emotività lo sviluppo della narrazione, con una prosa che resta però sempre precisa ed asciutta.
Pensi che sia questo il motivo per cui è piaciuto così tanto a un colosso editoriale come Gallimard? Quali sono i suoi punti di forza?
Sì, credo che questo aspetto della scrittura sia molto piaciuto. In “Ferita di guerra” non ci sono preziosismi, non c’è una ricerca formale, la lingua e la narrazione seguono il percorso emotivo ed esistenziale della protagonista, le poche luci e le sue tante ombre. A Gallimard credo sia piaciuto anche il fatto che quella che ho scritto non è una storia intimista e ombelicale ma potenzialmente universale, che parla di lavoro, di potere, di conflitti di classe e di genere. E descrive una giovane donna lontana dagli stereotipi. La forza di “Ferita di guerra” è in Lisa, la protagonista, è nella sua voce che emerge con la potenza devastante di un trauma che non può essere taciuto a lungo.

Come è successo che il tuo romanzo sia stato selezionato?
Sono stata contatta da Vincent Raynaud, l’editor di Gallimard per la narrativa italiana, che l’anno scorso ha letto il romanzo del tutto casualmente, scaricandolo dal sito de iQuindici dove è disponibile per il download. “Ferita di guerra”, infatti, è pubblicato con la clausola del copyleft. Vincent lo ha poi proposto al comitato editoriale che ha deciso di pubblicarlo. Senza il copyleft, tutto questo avrebbe avuto tempi molto più lunghi.

“Nemo propheta in patria sua” è uno di quei proverbi che ha retto davvero bene la sfida del tempo. Come mai un romanzo di questo valore può passare inosservato?
È molto difficile riuscire a farsi notare in un mercato così inflazionato. In Italia, come sappiamo, si scrive tanto e si legge poco e i romanzi scadono più in fretta di una bottiglia di latte. I grandi editori monopolizzano la distribuzione e la promozione sulla stampa, per un piccolo editore è difficile trovare uno spazio. Poi, certo, bisogna lavorare bene, avere i contatti giusti, inventarsi strategie. Spero che la Francia sia l’inizio di una seconda vita per “Ferita di guerra”. Chissà, se saranno i francesi a fare di “Ferita di guerra” un successo, può darsi che pubblico e critica italiani gli dedicheranno più attenzione.

Manituana: la nuova strabiliante fatica collettiva di Wu Ming

Recensione per il quotidiano Off.
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Un romanzo diverso da tutti i precedenti che gioca sul grande “ma se invece…” della storia degli Stati Uniti.

Tre anni di ricerche, migliaia di euro spesi in libri, milioni di ore passate a discutere e a scrivere, il tutto diviso per cinque. Fate questa operazione e avrete la spinta tellurica di questo nuovo romanzo del collettivo Wu Ming. Tellurica perché Manituana (“Il giardino di Dio” in lingua irochese) ha molte più viscere dei precedenti, legato com’è ad indagare anche gli aspetti profondi, “esistenziali” dell’essere umano, e il suo rapporto con la madre terra, filtrato attraverso il poetico tessuto della cultura amerinda. E sopra a ciò la costruzione di una prospettiva storica possibile, diversa, sul “come sarebbero andate le cose se” di una nazione – gli Stati Uniti – che ha finito poi per imporre la sua legge al mondo.
Una prospettiva enorme, quindi, un immenso e doloroso gioco delle possibiltà perdute del vero American dream, da esplorare leggendo il romanzo e “giocando” sul sito www.manituana.com , lontanissimo dall’essere un mero sito vetrina, ma oggetto a sé stante: un luogo per vivere, rivivere o sognare la narrazione, ad occhi spalancati.

Dopo anni di innovazione del mondo letterario italiano che hanno contaminato una generazione che aveva davvero bisogno di stimoli, anche questa volta siete riusciti ad andare oltre. Cosa ha aggiunto Manituana a Wu Ming?
Qualche problema di salute in più, qualche diottria in meno, sovraffaticamento, necessità di un impossibile riposo. Un po’ di consapevolezza in più, nuove metodologie di lavoro collettivo, maggiore padronanza della lingua rispetto agli anni di Q e 54. E poi l’acquisizione più importante: la convinzione che da qui non si torna indietro, si può solo alzare la posta ogni volta, ogni volta la va o la spacca. L’esito di questo romanzo definirà il futuro del nostro progetto collettivo.

Oltre a uno splendido booktrailer, il sito di Manituana è ricchissimo di molte altre suggestioni, persino di un gioco! Come è nata questa idea e cosa vuole generare?
Siamo sempre più consapevoli di un fatto: noi non facciamo letteratura in senso stretto. La “letteratura pura”, il mondo dei letterati, ci causano claustrofobia. E’ un orizzonte angusto, contemplato da conventicole autoreferenziali. Noi siamo “narratori con ogni mezzo necessario”. Abbiamo fatto scorribande nel cinema, nei fumetti, nei giochi di ruolo. Ci siamo formati nel Luther Blissett Project, che era quanto di più multimediale e transmediale si potesse immaginare. I romanzi sono forse il nostro principale strumento d’espressione, ma non sono l’unico.

Un romanzo che accoglie e fa suoi gli aspetti femminini del mondo, anche quello maschile. Come ci siete arrivati?
Le cose sono cambiate tanto, rispetto ai primi anni di esistenza del collettivo. Intanto, abbiamo relazioni fisse e stabili, ambiti affettivi che ci siamo costruiti con fatica e pazienza. Dopodiché, alcuni di noi sono diventati padri, anche di bambine. Mettere al mondo il mondo cambia la prospettiva sulla vita e sulle cose. Mettere al mondo un pezzo di “altra metà del mondo” la cambia in modo ancor più radicale. Sicuramente, questa esperienza rigeneratrice ha trovato la via per infilarsi in Manituana, anche senza e oltre la nostra volontà.

Wu Ming presenterà Manituana a Roma il 12 Aprile alla libreria Mel Bookstore e all’Eternauta. Più avanti vi ricorderemo gli appuntamenti.

 

La strategia collettiva – Kai Zen

Recensione per il quotidiano Off.
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Tour romano dei Kai Zen, il collettivo “cugino” di Wu Ming, in libreria con “La strategia dell’ariete”

È davvero un romanzo da mordersi le unghie… fantastorico, politically non-correct, brutale. Il ritmo di Indiana Jones e la cupezza di Evangelisti, un po’ di esoterismo ben nascosto nelle pieghe dell’impermeabile d’ordinanza del solito agente della CIA. Che stavolta però lascia il ruolo da protagonista a una collega, Shelley Copeland, una rossa alla Jessica Rabbit con il cuore da cattiva (ma ha i suoi buoni motivi). La storia si snoda in un arco di circa 40 anni, dagli anni ’20 in Cina al ’57 negli Stati Uniti, con una lunga parte intermedia ambientata in Paraguay. Un fumettone densissimo, un western con l’anima, governato dal desiderio di dominare una forza malefica, il “respiro di Seth”, che dà ai suoi possessori – l’avete già capito – il dominio sulle masse.
Il romanzo è uscito in questi giorni per Mondadori con clausola copyleft (permesso a far circolare l’opera senza scopo di lucro) e stampato su ecocarta secondo gli standards di Greenpeace, una prima assoluta per l’editore milanese.

Come li avete convinti e perché questa scelta?
Come li abbiamo convinti? Glielo abbiamo chiesto e hanno detto di sì. Poi abbiamo vigilato affinché non vi fossero “dimenticanze” dell’ultimo istante e, proprio grazie alla vigilanza, tutto è andato in porto. Il perché della scelta potrebbe definirsi triplice. In primo luogo siamo convinti che la mera fruizione (senza scopo di lucro dunque) di un’opera dell’ingegno possa e debba essere concessa liberamente in forme parallele a quella del classico acquisto. In secondo luogo lo troviamo un atto di cortesia verso il lettore, che ha la possibilità di verificare la merce prima di acquistarla. Ci immaginiamo che la scarichi dalla rete, se ne legga 10, 20 pagine e solo a questo punto, se effettivamente gli piace, decide se comprarla o meno. Infine l’aspetto creativo, il fatto che qualcuno possa prendere spunto dai nostri lavori per crearne di nuovi, diversi, sperimentali, magari con approccio multimediale. Anche noi lo abbiamo fatto e siamo convinti che sia una strada da percorrere in un ambito – quello letterario – ancora troppo conservatore in tal senso. Noi non vogliamo combattere battaglie di retroguardia e cerchiamo di convincere anche gli altri a non perderci tempo. Le nuove tecnologie e le abitudini che hanno creato impongono una riconsiderazione del diritto d’autore che peraltro, a ben vedere, non comportano ormai nemmeno più vantaggi se non unicamente per le casse dell’editore (o discografico, o software house che sia). Per un autore essere scaricabile dalla rete, anche gratuitamente, permette una visibilità che altrimenti gli sarebbe negata e un rapporto diretto con il lettore che può dar vita a nuove interessanti possibilità. Gli autori musicali più scaricati attraverso il sistema peer to peer, ad esempio, sono anche quelli più venduti nei negozi di musica. Bisognerebbe chiedere a questi signori se il download pirata dalla rete sia un danno o un vantaggio per loro.

Ma restiamo sul romanzo. Come lo definireste? Ha un intento metanarrativo?
Una storia, un’avventura che dovrebbe essere letta semplicemente per il piacere di scoprire i mondi che vi vengono narrati e descritti. Tu hai parlato di fumettone e per certi versi la definizione calza, e noi non la troviamo affatto riduttiva o offensiva. A noi interessano le storie e i personaggi, non le etichette precostituite. Non vogliamo produrre ‘una certa storia’ ma narrare ciò che ci coinvolge ed emoziona, e provare a farlo cercando di suscitare nel lettore la stessa passione. Far sì che il virus della scrittura collettiva contagi sempre di più attraverso la rete. ‘La strategia dell’Ariete’ si potrebbe definire una via di mezzo fra Corto Maltese e Dick Tracy… sì, niente male questa.
Poi certo, nel nostro caso oltre alla narrativa stessa è interessante capire come funziona il lavoro di gruppo a distanza, la gestione delle dinamiche interne ai Kai Zen. Influenze, immaginari, scelte da compiere, sconfitte da incassare. Il classico ego smisurato dello scrittore/penna divina nel mondo Kai Zen  è una vittima certa.

Qual è la vostra modalità di scrittura collettiva?
Organizzare il plot a priori. Suddividerlo in piani narrativi che ci ripartiamo. Dopo la fase della ricerca si comincia a scrivere e ognuno, finito un capitolo, lo manda agli altri che glielo restituiscono in tempo reale con correzioni, osservazioni e riflessioni varie. Sta a lui poi, nella prima stesura, compiere la decisione finale, e in genere è lui il referente per quel piano narrativo. Ci si vede ogni tanto per far quadrare le cose e montare i vari pezzi. Una volta assemblato il tutto, parte una girandola estenuante di cambiamenti, modifiche, integrazioni, tagli con un ottica diversa: quella dell’insieme, del prodotto finale. Questo permette di lasciare il giusto spazio individuale per la prima parte del lavoro, dove ognuno è talmente immerso nel suo piano narrativo da doverne giustamente rispondere di persona. Poi però si abbandona questo approccio per assumere una visione di insieme che è – a nostro avviso – il vero cuore pulsante della scrittura collettiva. Non più TU autore sotto il riflettore, ma LA STORIA come unico riferimento.

Questo il tour romano di Kai Zen: giovedì 22 marzo ore 18:00 Mel Bookstore – via Nazionale 254; venerdì 23 ore 18:30 Libreria L’eternauta – via Gentile da Mogliano, 184 e a seguire alle 20:30 serata all’Astra 19 – Spazio Pubblico Autogestito – via Capraia 19.