Stati d’anima I

 

 

 

 

 

 

 

Estati addolorate
senza compimento d’un’attesa

Nel buio di questa mattina invernale di luglio
ho cercato di scappare dal nero correndo sulla strada
ma il cielo mi ha singhiozzato addosso,
un micron dalla meta.

Se un destino non c’è allora sono in cima al deserto,
le mie estati addolorate senza senso
senza compimento di un’attesa
il ventre vuoto del tutto 

la mia bellezza inutile
la dimentichi già, per quella di un’altra.
Banale come queste righe
la mia vita senza il premio,
solo l’immensa fatica,
la distanza da te

Nel buio di questa mattina invernale di luglio
ho cercato di scappare dal nero correndo sulla starda
ma il cielo mi ha singhiozzato addosso,
a un minuto dalla meta.

Grazie Flexi

Domenica 3 luglio 2011 chiude la libreria Flexi dello storico quartiere Monti, a Roma. E io mi chiedo: adesso come faccio?
Quando c’era ancora il vecchio sito con la tag cloud, il mio nome era uno di quelli che campeggiava più grande in home page: ero sempre lì a presentare qualcosa, che fosse un libro mio o di qualcun altro, che fosse la presenza a un dibattito o a un’iniziativa, il Flexi era la mia casa culturale, il mio luogo di scambio di saperi, di intelligenza, di pensiero libero e antagonista, di informazione e controinformazione. Ma era anche una festa sempre aperta dove potevi imbucarti ogni volta che volevi, che la giornata era storta, che la serata finiva troppo presto, o semplicemente prenderti una coccola prima di tornare a casa. Ogni volta che ho dato un appuntamento a qualcuno per un aperitivo in centro è stato lì, come un’appendice del mio salotto, perché il Flexi è – devo proprio dire “era”? – un posto caldo, accogliente, ospitale, dove per anni ho trovato tutta quella gente simile a me che non avrei saputo dove altro intercettare dal vivo altrimenti. Continua a leggere

Recensione del romanzo di Emilia Zazza

“Si sta facendo notte” di Emilia Zazza

Un romanzo breve ma densissimo: la prima prova di Emilia Zazza non è affatto timida ma assertiva, e tocca temi grandi e forti, che fanno pensare. C’è un quartiere di Roma, che i romani riconosceranno essere  il Pigneto, zona ex proletaria che ora vira verso il radical chic, perdendo la sua anima popolare (“Un parco a tema. Questo ne faranno”). C’è l’anima popolare che si perde da sola nel conflitto con i migranti, gli “ex-noi” che forse vogliamo dimenticare di essere stati; c’è il conflitto e la distanza delle generazioni, i buoni e i buonisti, i “giovani” che intuiscono quale sarebbe la direzione giusta, ma non sempre riescono a prenderla, storditi dall’iperstimolazione di modelli mediatici; c’è l’amicizia tra loro, la forza che tende l’arco di quegli incontri, quella che tutto riscatta, alla fine, con la Maggica a fare da cemento e collante. Pino, Mustafà e il Moretto sono ragazzi veri, che se giri per le strade del Pigneto incontri a ogni angolo. C’è il desiderio di andare via da lì, come se il quartiere portasse dentro una condanna: “Chi restava sapeva che tra male e bene non c’era differenza, non in quei posti. Tra il male e il bene c’era solo il caso.”. Il quartiere di Don Camillo e di Peppone dove i ragazzi scelgono lo scoutismo o il centro sociale.

La storia si dipana in immagini che, soprattutto all’inizio, di capoverso in capoverso alternano il presente al passato, cucendo insieme trame, famiglie, anime: capoversi corali come storie ascoltate per strada, quasi rubate con le orecchie, Continua a leggere

Rest in peace

Lo scorso novembre ero in vacanza a San Diego, California, da una coppia di amici. Lei si chiama Mimi ed è una donna splendente: ha passato i 70 anni ma dimostra quelli del suo molto più giovane compagno. Una donna significativa per la mia vita, conosciuta su un aereo che sono riuscita a prendere per pura ostinazione, a New York, quindici anni fa.

Stavamo tornando da Los Angeles, in macchina, di notte. C’era un bellissimo buio da deserto, intorno a noi. Poco traffico, luci rosse e gialle sulla strada, un leggero brusio prodotto dalla loro auto iper-ecologica che consuma per 100 chilometri quello che fa il mio motorino in 20. Continua a leggere

Porcellana

Ieri ho brevemente conosciuto una giovane scrittrice italiana molto nota. Ero con uno dei miei più cari amici, che la conosce, e ho percorso qualche metro di strada con lei; nient’altro, ma l’ho studiata attentamente.
Qualche anno fa ha scritto un libro acerbo e precoce che ha venduto cifre a sei zeri, in tutto il mondo. Un libro che mi ha fatto sentire addolorata e arrabbiata. E avrei voluto sgridarla per essersi così esposta, come zia brusca dal cuore buono. Però non si può sgridare chi ha bisogno di amore.
È una ragazza minuta, una piccola bambola di porcellana, con un cuore d’argilla. Credo che si chieda se la gente la riconosca, per strada; pare contenta se questo accade. Quando una voce maschile la chiama per nome le scappa un piccolo sorriso che vorrebbe nascondere, ma è già volato via, e io vorrei abbracciarla.
Sono sicura che quegli zeri le danno coraggio. Continua a leggere

Pride, in the name of love

C’è una cosa che non mi piace, da anni. Che quando si parla di omosessualità, anche da parte di chi la difende, si parli spesso di “orientamento sessuale” con frasi del tipo “Non importa con chi uno vada a letto”. Credo sia una cosa molto superficiale da dire. Credo che la questione non sia con chi si scopa, ma di chi ci si innamora. Se fosse solo una questione fisica avrebbe un significato diverso, quasi futile, come dire preferisco le verdure alla carne o le vacanze in montagna invece che al mare.
Ma AMARE è proprio diverso. Qui si parla di con chi si sogna, con chi si progetta un futuro, con chi si vuole avere una famiglia, anche dei figli. Con chi si vuole fare un mutuo, a chi si riversa una pensione da morti. Con chi ci si vuole svegliare ogni mattina, litigare e fare pace. Sposarsi, e divorziare.
Il sesso è una parte di questo, grande esattamente quanto lo è per una coppia eterosessuale. Continua a leggere

Recensione di “Sangue del suo sangue”, il nuovo romanzo di Gaja Cenciarelli

Quando qualcuno non ti insegna ad amare il tuo corpo perché non lo cura, non lo accudisce, lo tratterai male. Ma se qualcuno il tuo corpo lo abusa, quello che fai è cercare di eliminarlo, fare finta che non esista. Che non abbia bisogni, che non possa provare piacere, che non viva. A volte è impossibile risvegliarlo, anche se grida. Puoi farlo se dentro di te è rimasta una scintilla di desiderio e illusione, illusione che potrà essere ancora amato. Se c’è una scintilla di vita che rifiuta di abbattersi. “Sangue del suo sangue” è la storia di Margherita Scarabosio, una donna che riesce a conservare una fiammella in sé, una luce molto piccola che la guida nel suo ribellarsi, che con grande lentezza la sostiene e le fa ritrovare il suo corpo, da sola. Senza l’amore di un uomo, ma attraverso l’amore che è riuscita a conservare per se stessa. Mentre intanto il suo fratello carnefice la cerca per abusarla ancora, l’uomo che l’ha ingannata la riempie di odio, e tutti gli altri di indifferenza, cercando di usarla, ancora. In primo luogo come testimonial per una campagna pubblicitaria di Bruno Chialastri, un imprenditore-padrone candidato della destra (“una specie di Berlusconi in miniatura”) che la utilizza come immagine per la sua promozione elettorale: Margherita è la figlia di un generale ammazzato in un agguato delle BR. E tutta la campagna si fonda sull’anticomunismo. Continua a leggere

“The tree of life”: la quinta mitologica fatica del divino Terrence Malick, Palma d’Oro a Cannes 2011

Una summa summarum della poetica e della filosofia malickiana questo ultimo struggente lungometraggio The tree of life dove il regista texano – il più schivo della storia del cinema – ha ripreso le storie, i simboli, le situazioni e il credo narrato nei suoi quattro film precedenti per tirarne fuori un densissimo capolavoro di arte cinematografica. Un film che si ricongiunge alla suggestione del suo primo lavoro La rabbia giovane, interpretato da un intenso carnale Martin Sheen con un’eterea quasi-bambina Sissy Spacek, suggestione che forse in questo film si chiarifica fornendo un senso molto più edipico a quella storia girata nel ’73.
Una famiglia middle class pare all’inizio incarnare la più tipica rassicurante immagine pubblicitaria possibile: un padre affettuoso interpretato da un perfetto Brad Pitt in versione kennediana è sposato e ha tre figli con la giovanissima Jessica Chastain, rossa e lentigginosa come Sissy Spacek, madre-fatina, perfetto angelo del focolare. Nelle loro vite assolate irrompe la tragedia della morte del secondogenito, e a partire da lì, a ritroso, scopriamo i retroscena della famiglia, dove la figura del padre si rivela essere quella di un tiranno insicuro che sfida i figli cercando di piegarli all’ubbidienza, sfogando tra le mura domestiche la frustrazione di non essere riuscito a diventare un uomo di successo e potere nel suo lavoro, pur avendo rinunciato per questo a dedicarsi alla sua originaria passione per la musica. Continua a leggere