Recensione del romanzo di Emilia Zazza

“Si sta facendo notte” di Emilia Zazza

Un romanzo breve ma densissimo: la prima prova di Emilia Zazza non è affatto timida ma assertiva, e tocca temi grandi e forti, che fanno pensare. C’è un quartiere di Roma, che i romani riconosceranno essere  il Pigneto, zona ex proletaria che ora vira verso il radical chic, perdendo la sua anima popolare (“Un parco a tema. Questo ne faranno”). C’è l’anima popolare che si perde da sola nel conflitto con i migranti, gli “ex-noi” che forse vogliamo dimenticare di essere stati; c’è il conflitto e la distanza delle generazioni, i buoni e i buonisti, i “giovani” che intuiscono quale sarebbe la direzione giusta, ma non sempre riescono a prenderla, storditi dall’iperstimolazione di modelli mediatici; c’è l’amicizia tra loro, la forza che tende l’arco di quegli incontri, quella che tutto riscatta, alla fine, con la Maggica a fare da cemento e collante. Pino, Mustafà e il Moretto sono ragazzi veri, che se giri per le strade del Pigneto incontri a ogni angolo. C’è il desiderio di andare via da lì, come se il quartiere portasse dentro una condanna: “Chi restava sapeva che tra male e bene non c’era differenza, non in quei posti. Tra il male e il bene c’era solo il caso.”. Il quartiere di Don Camillo e di Peppone dove i ragazzi scelgono lo scoutismo o il centro sociale.

La storia si dipana in immagini che, soprattutto all’inizio, di capoverso in capoverso alternano il presente al passato, cucendo insieme trame, famiglie, anime: capoversi corali come storie ascoltate per strada, quasi rubate con le orecchie, Continua a leggere

Pride, in the name of love

C’è una cosa che non mi piace, da anni. Che quando si parla di omosessualità, anche da parte di chi la difende, si parli spesso di “orientamento sessuale” con frasi del tipo “Non importa con chi uno vada a letto”. Credo sia una cosa molto superficiale da dire. Credo che la questione non sia con chi si scopa, ma di chi ci si innamora. Se fosse solo una questione fisica avrebbe un significato diverso, quasi futile, come dire preferisco le verdure alla carne o le vacanze in montagna invece che al mare.
Ma AMARE è proprio diverso. Qui si parla di con chi si sogna, con chi si progetta un futuro, con chi si vuole avere una famiglia, anche dei figli. Con chi si vuole fare un mutuo, a chi si riversa una pensione da morti. Con chi ci si vuole svegliare ogni mattina, litigare e fare pace. Sposarsi, e divorziare.
Il sesso è una parte di questo, grande esattamente quanto lo è per una coppia eterosessuale. Continua a leggere

Recensione di “Sangue del suo sangue”, il nuovo romanzo di Gaja Cenciarelli

Quando qualcuno non ti insegna ad amare il tuo corpo perché non lo cura, non lo accudisce, lo tratterai male. Ma se qualcuno il tuo corpo lo abusa, quello che fai è cercare di eliminarlo, fare finta che non esista. Che non abbia bisogni, che non possa provare piacere, che non viva. A volte è impossibile risvegliarlo, anche se grida. Puoi farlo se dentro di te è rimasta una scintilla di desiderio e illusione, illusione che potrà essere ancora amato. Se c’è una scintilla di vita che rifiuta di abbattersi. “Sangue del suo sangue” è la storia di Margherita Scarabosio, una donna che riesce a conservare una fiammella in sé, una luce molto piccola che la guida nel suo ribellarsi, che con grande lentezza la sostiene e le fa ritrovare il suo corpo, da sola. Senza l’amore di un uomo, ma attraverso l’amore che è riuscita a conservare per se stessa. Mentre intanto il suo fratello carnefice la cerca per abusarla ancora, l’uomo che l’ha ingannata la riempie di odio, e tutti gli altri di indifferenza, cercando di usarla, ancora. In primo luogo come testimonial per una campagna pubblicitaria di Bruno Chialastri, un imprenditore-padrone candidato della destra (“una specie di Berlusconi in miniatura”) che la utilizza come immagine per la sua promozione elettorale: Margherita è la figlia di un generale ammazzato in un agguato delle BR. E tutta la campagna si fonda sull’anticomunismo. Continua a leggere

“The tree of life”: la quinta mitologica fatica del divino Terrence Malick, Palma d’Oro a Cannes 2011

Una summa summarum della poetica e della filosofia malickiana questo ultimo struggente lungometraggio The tree of life dove il regista texano – il più schivo della storia del cinema – ha ripreso le storie, i simboli, le situazioni e il credo narrato nei suoi quattro film precedenti per tirarne fuori un densissimo capolavoro di arte cinematografica. Un film che si ricongiunge alla suggestione del suo primo lavoro La rabbia giovane, interpretato da un intenso carnale Martin Sheen con un’eterea quasi-bambina Sissy Spacek, suggestione che forse in questo film si chiarifica fornendo un senso molto più edipico a quella storia girata nel ’73.
Una famiglia middle class pare all’inizio incarnare la più tipica rassicurante immagine pubblicitaria possibile: un padre affettuoso interpretato da un perfetto Brad Pitt in versione kennediana è sposato e ha tre figli con la giovanissima Jessica Chastain, rossa e lentigginosa come Sissy Spacek, madre-fatina, perfetto angelo del focolare. Nelle loro vite assolate irrompe la tragedia della morte del secondogenito, e a partire da lì, a ritroso, scopriamo i retroscena della famiglia, dove la figura del padre si rivela essere quella di un tiranno insicuro che sfida i figli cercando di piegarli all’ubbidienza, sfogando tra le mura domestiche la frustrazione di non essere riuscito a diventare un uomo di successo e potere nel suo lavoro, pur avendo rinunciato per questo a dedicarsi alla sua originaria passione per la musica. Continua a leggere

Piazza Raudusculana: un racconto per il 19 marzo

Un racconto pubblicato su La poesia e lo spirito e su Unonove.
I miei commenti stavolta sono in coda al brano.

Piazza Raudusculana

La madre lo aveva aiutato a preparare due valige. Una grande, e una più piccola. Nella grande c’erano anche i dizionari di italiano e latino. Macigni neri. E poi tutto l’occorrente di vestiario e cartoleria per un autunno, un inverno e una primavera in collegio, a Perugia.
Era lontanissima Perugia dalla provincia di Reggio Calabria, nel 1934. Era come andare talmente lontani che anche le facce della gente non erano più quelle. Visi e capelli strani, idioma diverso.
Un treno da prendere, a Rosarno. E bisogna cambiare, prima a Roma e poi a Orte. Ma a Roma lo viene a prendere suo fratello Vincenzo perché suo padre gli ha scritto: gli ha mandato un cartolina postale, stamattina. Che si trovi domani a Stazione Termini alle nove a prendere suo fratello Totò che viene col treno notturno, e mi raccomando puntuale. Continua a leggere

La mia festa per l’Unità d’Italia

Un pezzo messo stamattina di getto su unonove per l’anniversario dell’Unità. Va detto che qualsiasi festa laica mi rallegra.

Uniti non uni

Certo, è chiaro che l’Italia dovesse unificarsi. Tornare unita dopo esserlo stata per centinaia di anni sotto l’impero romano, che ne aveva unificati gli idiomi al punto da lasciarne per sempre un lascito culturale condiviso, al di là delle ovvie differenze. Ma le possiamo considerare delle ricchezze le nostre differenze, o no? Possiamo miglioraci nello sforzo stesso del venirsi incontro, o no? Io credo di sì.
Ciò detto, il 17 marzo è l’anniversario di una guerra civile di occupazione delle truppe dello stato sabaudo su quelle dello stato borbonico. Festeggiamola idealmente ma per carità usciamo dall’agiografia risorgimentale, TUTTA l’agiografia.
Questo è un dialogo che ho scritto e che fa parte del mio romanzo sul brigantaggio meridionale in cui c’è una MINUSCOLA parte ambientata a Vienna, un contraltare nobiliare alla mia storia di cafoni. Esprime la mia visione antiagiografica sull’unificazione dell’Italia.  Continua a leggere

Lotto marzo 2011

Un pezzo che ho scritto al volo stasera, per celebrare l’8 marzo con un po’ di sdegno autentico. Sono riflessioni che faccio da molti anni, molte a seguito di alcuni dialoghi avuti con il regista Guido Chiesa, che mi hanno dato molti spunti importanti. Lo dedico a lui, e lo trovate su unonove e su La poesia e lo spirito.

Lotto marzo 2011

Ho molte cose da dire, sulle donne che si vendono.
Non posso farne un trattato, non ne ho le competenze socio-antropologiche, e neanche psicologiche, e non ne farò pretesa. Dirò cose lette e ascoltate, tra le più importanti quelle che mi disse una volta Guido Chiesa, che è un uomo che ama le donne e conosce il senso della loro integrità. Le mie competenze credo siano soprattutto emotive, intuitive. Con quel modo di “sapere” le cose in modo quasi inconsapevole, nascosto, che abbiamo noi donne. Lo chiamano intuito femminile, forse è anche deduzione, associazioni tra fatti. Continua a leggere

“Istantanee sbagliate”

Una narrazione per Lpels (ora anche su unonove), a cui tengo molto. Questa è vita.

Istantanee sbagliate

Questo gioco che faccio ogni tanto: penso che vorrei vedere una Polaroid di me, scattata qualche anno dopo. Una foto del futuro presa magari di corsa, sfocata, con le figure piccole ma riconoscibili, che mi sveli chi sarò diventata, con chi starò, in che luogo.
Così ogni tanto ci inciampo in queste immagini, in quelle illusorie, beffarde. Come quella del mio ultimo compleanno ad agosto, a Stoccolma: la bimba dai capelli rossi in braccio, tenuta come figlia, amata come figlia. L’avessi vista sedici anni fa quell’immagine, poco dopo il mio matrimonio, ne sarei stata felice. Mi sarei detta che bella donna che sei diventata, con il tuo marito svedese. Siete a Stoccolma, chissà se ci abitate o se siete lì solo in vacanza, ma questa è di certo la tua bambina, così uguale a lui; a te non assomiglia, ma non importa: guarda quanto è carina, guarda con che felicità la tieni in braccio, come una Madonna col bambino. E invece tuo marito è un ex, e questa figlia non è la vostra, ma la felicità di qualcun’altra; anche se la tieni in braccio e con amore, anche se lei ti vuole bene.
Quell’altra foto, vista domenica scorsa all’Ikea. Sorridevi misurando scrivanie con il metro di carta, ti grattavi una tempia leggendo se il lavaggio fosse a secco o in lavatrice. Accanto a te, con la lista degli articoli e la matitina di legno, l’uomo che hai amato più di chiunque altro, quello per cui hai saputo rivoluzionare tutto anche scoccati i quarant’anni. Continua a leggere

Il mio San Valentino

Uscito oggi su unonove un racconto un po’ blasfemo per San Valentino, che potete sia leggere che ascoltare dall’interpretazione spettacolare che ne ha fatto Anna Costalonga [grazie Anna!!!]. Uso l’aggettivo “blasfemo” per semplicità e comodità: la blasfemia per me è ben altro, soprattutto vivere la fede senza aver capito nulla del lascito di Gesù di Nazareth. Ad esempio, quanto sia importante il benessere del corpo. Eccolo qui:

Oh padre!

La domenica mattina fa sempre il bagno, con calma. È l’unico giorno in cui salta il rosario delle nove e va solo alla messa, quella delle undici, così vede se ci sono nuora e nipote. Suo figlio non c’è mai, non va più. Prega per lui ogni giorno, che trovi la fede. Almeno due avemarie. Ogni tanto glielo dice al telefono ma lui resta zitto, infastidito.
Ma non importa, perché lei prega per tutti e due, oh sì che prega. Da quando non c’è più Osvaldo finalmente a casa fa come vuole lei, ché pure suo marito a messa ci veniva malvolentieri. Se pioveva diceva che aveva i reumi, però poi andava giù al bar a guardare le partite dopo pranzo, pace all’anima sua. L’ha lasciata sola presto, c’era ancora Portobello in televisione – il giovedì, le pare – quando gli è preso l’infarto.
È rimasta sola in casa, la casa grande. L’ha tutta lucidata e da allora gira sempre con le pattine ai piedi. Le persiane le tiene basse, non entra la polvere, è tutto pulito, lucido. Tutto come decide lei. Perché anche se non c’è nessuno, non è mai sola: c’è Dio con lei, e Gesù e la Madonna, e soprattutto i santi e i beati. Soprattutto Lui.  Continua a leggere

“They porn. You don’t.” nuovo pezzo per unonove

Un mio vecchio pezzo che nessuno aveva voluto pubblicare fino ad ora 😉 Ho deciso di postarlo su unonove perché mi sta simpatico.. un po' acidino, ma mi fa anche abbastanza ridere… Sono contenta perché dopo che il mio amico e collega Ivan Arillotta l'ha postato sulla sua bacheca di facciabuco, in meno di sei ore è stato condiviso su sessanta altre bacheche. Sono soddisfazioni!

Eccolo qui:

They porn. You don't.

La sottomissione di You Porn. Guardi un centinaio di filmati e li hai visti tutti, per sempre.
Le donne di YP sono a volte eccitate, a volte no, ma nessuna ha mai un orgasmo. Ci si avvicinano a volte, ma di solito fanno le scimmiette, rispondono all’implicito comando del “questo ti piace”: quando lui glielo mette in bocca, quando cambia posizione, quando passa al culo. Tutto un crescendo di eccitazione. Di chi? Dell’uomo, degli uomini, che alla fine, infatti, godono. Di solito, sulla faccia delle donne che non sono però scontente di aver fatto tanta ginnastica senza venire mai, no no, il momento in cui l’uomo gode e loro non hanno nessuno stimolo tattile per raggiungere un orgasmo e quindi quasi nessun possibilità di averlo, ah beh, allora si che sono felici queste donne. E  appagate, e sazie. Certo.

Le donne di YP infatti non devono godere ma fare finta, come quelle per strada. Quello che deve andare in onda è la simulazione di un'uguaglianza del piacere. In realtà nella finta glorificazione delle tette e della fica, è il maschio che trionfa, è lui il reuccio, per quanto si veda quasi solo il suo uccello – per simulare che lui sia il protagonista. Nei filmati di You Porn è tutta una soggettiva al maschile, la donna accessorio attrezzo consenziente e voglioso di piacere. I maschi a parte avere un pisello dignitoso non hanno grandi requisiti. Alcuni scopano con i tubolari bianchi ai piedi, neanche per la telecamera sanno sfilarsi i calzini. Continua a leggere