Un pezzo che ho scritto al volo stasera, per celebrare l’8 marzo con un po’ di sdegno autentico. Sono riflessioni che faccio da molti anni, molte a seguito di alcuni dialoghi avuti con il regista Guido Chiesa, che mi hanno dato molti spunti importanti. Lo dedico a lui, e lo trovate su unonove e su La poesia e lo spirito.
Lotto marzo 2011
Ho molte cose da dire, sulle donne che si vendono.
Non posso farne un trattato, non ne ho le competenze socio-antropologiche, e neanche psicologiche, e non ne farò pretesa. Dirò cose lette e ascoltate, tra le più importanti quelle che mi disse una volta Guido Chiesa, che è un uomo che ama le donne e conosce il senso della loro integrità. Le mie competenze credo siano soprattutto emotive, intuitive. Con quel modo di “sapere” le cose in modo quasi inconsapevole, nascosto, che abbiamo noi donne. Lo chiamano intuito femminile, forse è anche deduzione, associazioni tra fatti.
Una lunga premessa, lo so, ma voglio dire cose forti, e voglio sentirmi libera di farlo, oggi, otto marzo 2011, contesto storico: l’Italia, sotto la presidenza del consiglio di S. Berlusconi, uomo che oltre a essere indagato per aver abusato di minorenni si è tolto anche lo sfizio di farle odiare da tutto un paese. Ho letto commenti di donne splendide, importanti scienziate e intellettuali di questo paese, che parlavano di “puttane”, e sono inorridita. Uomini e donne intelligenti, che stimo, a sproloquiare su “troie” e “mignotte”, che il mio correttore automatico di testo tenta inutilmente, galantemente, di cambiare in “mignatte”, anche lui forse un po’ schifato da questo brulicare di epiteti infami e vergognosi.
Lo dichiaro subito: sono stufa di queste accuse miopi, contro la debolezza delle donne. Sono stufa perché io alla prostituzione volontaria non ci credo. No. Neanche quella che espone il seno vogliosa in un night show. Non ci credo. Ovvero, non credo a quella “volontà”.
Perché penso che una donna che ama se stessa non vende il suo corpo, mai, se ha uno straccio qualsiasi di altra possibilità di scelta. Se una donna è stata amata, da bambina, le è stato anche insegnato il valore della propria integrità, anche corporea. E farebbe qualsiasi lavoro, qualsiasi, pur di non vendere il suo sesso. Poi si può abituare – ci si abitua quasi a qualsiasi cosa – e non pensare all’atto che fa mentre lo compie, ma resta la violazione del corpo: sottile, sotterranea, cattiva.
E infatti una ricerca condotta in Olanda su donne che si prostituivano “volontariamente” ha evidenziato che tutte, tutte, queste donne avevano una cosa in comune: avevano subito abusi sessuali in famiglia, da bambine. È qui la debolezza: non solo l’assenza del passaggio del valore dell’integrità da parte della cerchia familiare, ma il messaggio contrario: il tuo corpo è merda, tanto che io ne abuso. È molto difficile smettere di sentirsi questa violenza addosso, una volta che l’hai provata, ricostruire il senso del tuo valore, della tua intimità inviolabile.
E se hai una madre che ti spinge a venderti, fosse anche solo a farti fare le moine al panettiere o al maestro per farlo contento, anche lì c’è l’abuso del tuo corpo, il messaggio cattivo che ti entra nel sangue. E magari lo fa perché tua madre è a sua volta stata vittima di un abuso.
Lo so, questo discorso non vi piace. Vi sembra che sia una lunga giustificazione, contorta, sprecata, ché a alcune donne piace vendersi, per i vantaggi che dà, punto e basta.
Ma non riesco a crederci, scusate. Anche perché chi compra il corpo di una donna non lo fa tanto per comprarsi il “piacere”, ma anche, in fondo, la sottomissione di una donna. Pagare non tanto per l’orgasmo ma per il fatto di poterlo pretendere, di avere quel potere riconosciuto e sancito da quel mercimonio. Che regala sicurezza di sé, illusione di avvenenza, persino di fascino, se esercitato in alte sfere e non con la ragazza raccattata per strada; e che dona il piacere di rubare, suggere e vampirizzare giovinezza, in taluni uomini. Alcuni di loro anziani presidenti del consiglio.
No. Io alle prostitute non ci credo. Credo alle donne senza amore per sé, alle donne deboli, a quelle che farebbero qualsiasi cosa per andare in televisione non perché vogliono diventare ricche, perché il valore dei soldi magari non lo conoscono neanche, ma perché vogliono essere famose. Già, famose. E perché vogliono esserlo? Ma è così ovvio: perché vogliono essere amate. Dal pubblico, dal calciatore, dal presentatore tv, dall’attore. Una donna che vuole avere un posto nel mondo dello spettacolo è già una donna debole perché ha bisogno dell’attenzione degli altri, ha dentro di sé una bambina affamata che dice “io io io!” che chiede “guardami ti prego guardami!”. È questa la ragazzina che si fa toccare, penetrare, pizzicare, maltrattare, pigiare, abusare, piegare, sporcare, sborare da un vecchio che le promette televisione come le stesse dando le chiavi del paradiso. Eccola qui, la bambina appena cresciuta che è convinta di farlo per scelta. Quella che si getta via. Quella che tutti chiamano puttana, denigrano, svalutano, odiano, desiderano, usano, abusano. Eccole qui le famose troie. Riempitevi la bocca allora, uomini e donne, con queste parole oltraggiose e malvagie. Fatelo anche voi, intellettuali, politiche, scienziate. Chiamate puttane queste donne a cui la vita ha già tolto senso dell’integrità, offendetele ancora, dategli ancora più addosso, fate i video per prenderle in giro, calpestategli il corpo, sputategli addosso.
Ma io non me la bevo la favola della donna puttana. Alle prostitute non ci credo, le avete inventate voi, ne inventate decine, ogni giorno.