“L’insostenibile del futile: una famiglia americana” nuovo pezzo per Nazione Indiana

Un pezzo a cui tengo molto, uscito oggi per Nazione Indiana, con un mio scatto californiano.

L’insostenibile del futile: una famiglia americana

Non so se si possa definire una festa, questa. Ci sono degli ospiti ma soprattutto delle ospiti qui, donne perlopiù sposate con eventuale marito al seguito. Poi c’è da bere e da spiluccare, in cucina.

La cucina è grande come metà del mio appartamento, affaccia su un salone e un’area pranzo. Tutti insieme sono più grandi di casa mia, e si affacciano sulla pool area, che invece non è enorme: una piscina da telefilm middle-class. La proprietà non vale più di 800 mila dollari, col mercato immobiliare del momento.

Siamo nella zona della “Valley”, la vallata anonima a ridosso di Los Angeles regno diurno delle casalinghe, coi loro bambini e cani middle class. Ce n’è uno anche qui: un classico golden retriever che per la festa resta confinato in giardino; gigione, grasso, e molto carino. È tutto very nice, qui. Continua a leggere

Cronaca sintetica di tutti gli amori morti e lettera a quello mai nato

Non voglio sentire il suono sgraziato delle tue sedie di cucina, chiedermi ogni volta quale nume dozzinale ti ha fatto scegliere le piastrelle del bagno, irritarmi del quadretto preso in Egitto che non vuoi buttare. Adattarmi ai pranzi con la tua famiglia, ai tuoi amici noiosi di scuola, a quelli squallidi dell’ufficio, al radiocalcio della domenica, alla spesa svogliata al supermercato. Ai tuoi regali brutti sbagliati che mi tocca indossare, alle cose a cui rinuncio e neanche me le ricordo finché quando finalmente tronco me le ritrovo di nuovo in mano come scarpe dimenticate dentro una scatola. E i litigi con tuo fratello, i nipoti chiassosi, i pranzi di Pasqua.
Entrare un mondo sputandomi fuori dal mio, ogni volta da capo per ogni uomo scelto, ogni volta alla fine sbagliando, avendo dato più di quel che ho preso.
Perdere un confine mio mai avuto per sbiadirmi nel tuo; vergognarmi di me stessa perché mi vedo lentamente ingrassare. Annoiarmi annoiarmi annoiarmi e quindi odiarti, e fuggire prima di soffocare nel mio sbadiglio. Cercare di spiegare a noi due cosa si è rotto, dove ho lacerato il mio amore andando troppo oltre, sapendo che tutto è stato oltre, tutta una ricerca inutile di qualcosa di necessario ma ineffabile: il nutrimento amoroso in una relazione. Continua a leggere

Il mio ricordo di Sbancor su Loop Magazine oggi in edicola

Luciano Ummarino (bellissima persona) mi ha chiesto un pezzo su Sbancor per Loop Magazine, visto che tra qualche giorno sarà il secondo anniversario della sua scomparsa. L’ho fatto con un grande senso di orgoglio e commozione, e ho sentito che era importante chiedere anche a Marco Lattanzi, suo fratello e mio carissimo amico, di scrivere qualcosa. Ne sono uscite due pagine per il numero di Loop uscito in questi giorni, di cui sono emozionata e felice. Vi pubblico il mio pezzo, insieme a quello di Marco. Credo che stiano bene insieme.

Franco negli occhi

Chi non ha mai visto Franco negli occhi potrebbe pensare che ciò che ha scritto sia un perfetto e incredibile lascito di lucidità adamantina. Il prodotto di una mente superiore e forte, quasi spietata nella sua geometrica costruzione di pensiero e saggezza. Chi non ha mai sentito la sua risata potrebbe immaginarsi un uomo solido e austero dietro quelle frasi così colte e ricche di citazioni a 360° di filosofia, economia, letteratura, storia, poesia; un rigore prussiano inchiodato nella sua colonna vertebrale. A Franco questo avrebbe divertito. Nel suo eterno gioco dell’essere tutte le parti in commedia ci avrebbe surfato sopra senza farsi prendere, facendo uno sberleffo a chi cercava di chiuderlo in una scatola sola. Continua a leggere

Ti ringrazio sconosciuta compagnia

Venerdì scorso ho concluso una giornata lunga per me alla Casetta Rossa di Garbatella, a Roma, a sentire la presentazione di Altai, con Wu Ming 2 e Wu Ming 5. Il solito grande piacere di ascoltarli e riabbracciarli, per un bellissimo romanzo (a presto la pubblicazione della quarta e ultima recensione uscita per Loop).
E entrando in un ambiente che non frequento abitualmente, visto che abito dall’altra parte della città, ho avuto una bellissima sorpresa: ci sono realmente delle persone che leggono questo sito, quattro sconosciuti quella sera mi hanno detto “Ah ma tu sei Monica, ho letto il tuo pezzo xy”. Roba da cadere di sella, se fosse stato un western. Insomma voi ci siete e mi leggete, anche i miei pezzettini più “ini”, quelli dove metto il cuore anche se nessuno lo sa. È stato bello chiudere così una giornata gonfia di nostalgia; e tornando passare come sempre col motorino davanti alla cancellata di quel complesso di ville dove la mia amica 12 anni fa si è impiccata, pensare che nella finitezza del suo gesto, anche nel senso compiuto che ha avuto per lei, io ci sono ancora e i miei anni passano, e nel tempo c’è la costruzione, un pezzo alla volta, di me. Che passa anche per voi che mi leggete. È potente. Grazie.

Eddie Joe & me


Oggi ho speso i più sprecati e presuntuosi 340 Euro della mia vita: ho comprato un basso elettrico. L’ho chiamato Eddie Joe.
Eddie è un tributo al mio bassista preferito (Bernard Edwards), Joe a una serie di persone che hanno a che fare con questo nome, come i bassisti John Taylor dei Duran Duran e Gianni Maroccolo dei Litfiba/CSI/PGR, più altro che non ho bisogno di raccontare qui.
Sono felice come una bimba davanti alla sua torta di compleanno.
Non credo che saprò mai veramente suonarlo ma questo acquisto fa parte del programma di recupero di una vita spesa a cercare tutto fuori di me. Questi suoni che amo proverò a farli uscire da Eddie Joe, e ogni accordo giusto, fosse anche uno su quaranta, sarà un regalo fatto da me a me, una carezza sulla mia pelle.
Mi sento sciocca e coraggiosa, ma soprattutto ridicola e molto molto felice.

Today I spent the most wasted and conceited 340 Euro of my life: I bought myself an electric bass guitar. And I called it Eddie Joe.
Eddie is a tribute to my favorite bass guitar player (Bernard Edwards), Joe to some people that bear this name like bassists John Taylor of Duran Duran and Gianni Maroccolo of Litfiba/CSI/PGR, and others that I do not need to mention here.
I’m happy as a child staring at her birthday cake.
I don’t think I will ever be able to really play it but this purchase is part of the Rehabilitation Program of a life spent trying to find whatever I needed outside of me. I will try and make the sounds I love come out of Eddie Joe, and every tune I play right, be it one out of forty, it will be a gift from me to me, a gentle stroke on my skin.
I feel silly and brave, and above all ridiculous and outrageously happy.

L’epilogo di “Una lunga storia quasi d’amore” su La poesia e lo spirito

Dopo l’incontro con Sami ho scritto l’epilogo del racconto uscito una settimana fa su “La poesia e lo spirito”. Si chiama “Il cerchio che si chiude su una lunga storia quasi d’amore” e credo farà piacere leggerlo a tutti quelli che si sono appassionati della prima puntata ;o)

IL CERCHIO CHE SI CHIUDE SU UNA LUNGA STORIA QUASI D’AMORE

L’unico senso che posso trovare al non-amore da parte dell’uomo con la brucola è che se avessimo avuto una relazione, non avrei potuto concludere la mia lunga storia quasi d’amore con Sami. Continua a leggere

“Una lunga storia quasi d’amore” un mio racconto pubblicato su La poesia e lo spirito

Grazie a Gaja Cenciarelli è appena uscito su “La poesia e lo spirito” un mio lungo racconto, molto importante per me. Grazie a mia sorella Gaja e a chi lo leggerà, è davvero lungo oltre che sentimentale ;o)

Eccolo qui:

Una lunga storia quasi d’amore

Molte le ragioni per cui oggi racconto questa storia.

Ragioni ricostruttive di me, dei miei ultimi 19 anni di vita, in giorni in cui mi sono consegnata a un uomo portandogli in dono una brugola. Due giorni tanto per smontare qualche pezzo, tornata a casa in una scatola come un puzzle di cui ci si stufa. Dopo anni di relazioni stabili mi riaffaccio al mondo come al finestrino di un treno tirato giù d’estate, e prendo in faccia il vento nero pauroso di una galleria. Indifesa. Starò più attenta, spero. Spero che torni, con la brugola. Lo aspetto. Continua a leggere

Marok, a tribute

Scusate la tremenda autorefenzialità di questo post, me la perdonerete visto che è il mio sito personale: oggi ho avuto l’amicizia su facciabuco da un musicista che mi turba visceralmente dal lontanissimo1982 (concerto al Mattatoio di Roma), suonando il mio strumento preferito: il basso. È il Bernard Edwards della musica rock e pop italiana, uno dei migliori bassisti del mondo, ha dato la linea agli ultimi venticinque anni della musica italiana, che ne aveva davvero bisogno. Un mio mito personale: Gianni Maroccolo.

Lo so, non è che ci siamo baciati con la lingua, mi ha dato solo un click, sono il suo contatto numero 4917, però sono troppo troppo contenta. Come se Lawrence Ferlinghetti avesse avuto l’amicizia da Walt Whitman, Oscar Wilde da Shakespeare, Ariosto da Virgilio, Virgilio da Omero, Mosè da Dio (che in effetti avendogli dato le tavole forse lo potremmo considerare più di click).

E io manco lo so suonare il basso, mannaggia a me.

Il mio testamento

Nell’Italia scaramantica un testamento fa sempre effetto, la gente strabuzza un po’ gli occhi, si irrita quasi, persino, al solo sentirne parlare. Ma io ho sempre tenuto la morte per mano e anche se mi fa paura ci penso spesso, mi ci avvicino, la intravedo casuale, fulminea; la annuso.
E allora dopo aver letto il testamento di Giulio Mozzi ho pensato che invece di scriverlo solo su un pezzo di carta e consegnarlo a un notaio, potevo anche io renderlo pubblico, in un luogo dove fosse talmente accessibile da essere inconfutabile, inequivocabile, inoppugnabile anche dal più arcigno dei preti.
C’è il testamento dei beni, prima di tutto. Ho solo un appartamento oltre alle mie cianfrusaglie, e vorrei che lo avesse mia sorella Carmen, visto che non ne ha uno suo (“ho un appartamento” sono parole grosse, diciamo che è proprietà della banca, più che altro, ma a venderlo se ne ricava qualcosa).
Ma vorrei soprattutto dire di me, della mia carne, come si chiama nell’Antico Testamento.
Vorrei prima di tutto affermare che se esiste un diritto alla vita, deve esistere un diritto alla morte. Nessuno può considerare togliersi la vita un reato: il corpo è di proprietà di chi lo vive, nessuno può imporre la vita a chi non la desidera, e chi non vuole continuare a stare in questo mondo dovrebbe essere aiutato a farlo con amore e cura. Se il desiderio di morte è legato a depressione è giusto aiutare, persino con obbligo farmacologico, a superare un momento difficile, ma oltre un certo limite non si può andare: bisogna imparare a rispettare la volontà del singolo, anche se ci fa sentire inutili, cattivi, egoisti. È un problema nostro, non di chi non vuole esserci più. Rispetto della volontà individuale.
Poi voglio affermare un mio altro diritto: il diritto a una vita dignitosa. Se io non voglio, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, diventare un vegetale peso per gli altri, peso sul sistema sanitario nazionale, peso sul bilancio della spesa pensionistica, è un mio diritto chiederlo e ottenerlo. Perché costringermi a cure che mi tengono in vita artificialmente senza speranza concreta di un recupero? Perché stare (anziana o meno) senza intelletto, bavosa, incontinente, immemore, incapace di provare piacere agli stimoli della vita; perché vivere? Lo dico ora: se una malattia mi brucia il cervello, se un incidente mi rende inabile, se per qualsiasi ragione il mio cervello e il mio corpo non sono più in grado di esprimere un desiderio di vita, interagire con il mondo in modo razionale, se sono ridotta a sole funzioni corporali senza anima, aiutatemi a morire, lasciatemi andare. Qualche giorno va bene, qualche giorno per tenermi la mano, per dirmi addio in un letto di ospedale o meglio a casa va bene, ma poi spegnetemi, senza farmi soffrire, lasciatemi in pace. È questo che voglio. La vita tanto per respirare non mi interessa. Non voglio cure accanite e dolorose, non voglio aghi buchi flebo cateteri macchinari spaventosi sballottamenti. Voglio stare tranquilla, voglio essere lasciata in pace, quando è il mio turno per le praterie. La mia vita è stata durissima, ma da un certo punto in poi intensa e bella. Quello che è importante per me è come l’ho vissuta, quanto l’ho morsa, quanto coraggio e rabbia di vita ci ho messo dentro, quanto amore, quanta energia. E ce l’ho messa, tutta. Potrei fermarmi ora e sarebbe cmq tanto, sono soddisfatta di me. Quindi fosse anche domani, non vi accanite: lasciatemi andare.
Per quanto riguarda i miei organi, sono iscritta all’Aido da più di vent’anni.
E poi voglio ribadire il mio diritto di laicità: non voglio estreme unzioni, messe e chiese. Il mio Dio non abita lì da tanto tempo, e a parte Suor Gloria e Don Luis non conosco nessun altro membro della chiesa di cui mi fido. Quindi non voglio nessun simbolo cattolico sulla mia morte, nessun rituale: funerale come fossi atea. Mi ritengo cristiana ma rifiuto totalmente il cattolicesimo, e qualsiasi altra forma codificata di religione.
E non voglio stare in una bara a decompormi: crematemi, e se possibile, buttate le mie ceneri giù dalla cima del Civetta, così al tramonto arrossisco di bellezza insieme alle mie montagne.
E amen…

“Monte Sacro dei Rumeni” per DeriveApprodi

Martedì il sito DeriveApprodi gestito dall'immenso Lanfranco Caminiti ha pubblicato un mio editoriale sul mio quartiere, dedicato a un gruppo di rumeni. Lo trovate anche qui.

MONTE SACRO DEI RUMENI

Abito sotto il Monte Sacro. Detto tutto insieme Montesacro lo potresti quasi scrivere minuscolo, come a dire un’area, un quartiere. Ma ogni luogo ha la sua radice, e a Montesacro c’è questo monte, che in realtà è una collinetta. Sta dietro casa mia, vedo la sua sommità dalla finestra della cucina. Continua a leggere