Madreferro, un romanzo necessario di Laura Liberale

Ho letto molte cose carine e anche belle, ultimamente, oltre ad altre meno interessanti che non ho recensito, ma Madreferro va nella categoria “letteratura” più di ogni altra. Un romanzo a flusso in cui desideravo imbattermi da tempo, una prosa raffinata e pregna, necessaria, potente di lessico e frasi, senza mai affettazione. Letteratura, appunto. Che scava. E si fa leggere lentamente, quasi una pagina alla volta, come un ruminare di parole e soprattutto un colpire di aggettivi compiuti, compienti. Come bere finalmente senza essersi accorti di quanta sete si aveva, come un bel film dopo ore di televisione.

Non succedono grandi fatti in questa storia: una scrittrice torna nella sua cittadina di origine dopo qualche anno di assenza e ritrova un filo di congiunzione tra tutti i segni della sua infanzia che aveva subìto senza capire, dando finalmente nome e consapevolezza al trasudo violento e cattivo che respira da quei luoghi.

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“Il cameriere di Borges” di Fabio Bussotti

Devo premettere che nel corso degli anni dedicati al volontariato di lettura di inediti ho sviluppato un’allergia nei confronti di manoscritti il cui protagonista è un commissario di polizia (allergia doppia per quelli in cui il suddetto è alcolista e se la fa con una donna bellissima con tette enormi e occhi verdi, come di solito accade), e quindi ho cominciato questo romanzo con – come dire – alcuni pregiudizi. Presto svaniti, però, di fronte a una storia divertente e intelligente, con sfaccettature umane complesse e soprattutto una credibilissima rappresentazione dell’universo femminile. Non è poco, per me. Di solito i romanzieri, soprattutto se giallisti, dipingono donne improbabili, incoerenti, o troppo deboli o marziane, fumettistiche. Le due co-protagoniste di questo romanzo invece sono vere e interessanti.
Il plot è ricco, filmico, ambizioso perché coinvolge anche la repressione argentina, Borges, e persino Che Guevara, e pur presentando tutti i pregi (e anche qualche difetto) di una sceneggiatura, la scrittura tiene molto bene non solo nei dialoghi ma anche nelle parti narrative, dove le descrizioni dei luoghi e delle azioni è tridimensionale e di respiro. Anche grazie a questo (e non solo per la trama avvincente) la lettura procede spedita verso la conclusione che continua a “finire” per più capitoli, con le tessere – non solo dell’azione ma dell’affetto – che si ricompongono una ad una. Un libro molto carino, quindi, estivo ma non superficiale: piacevole con sostanza.

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“Diaz” di Daniele Vicari: il Male, la Paura, l’Odio.

C’è bisogno di coraggio per vedere questo film, ma è necessario trovarlo.

Pensavo di sapere quasi tutto sul G8 di Genova del 2001, ma invece no: non abbastanza. Perché sapere non è vedere. Non sapevo o non contenevo tutto questo dolore, questo sangue, questo abuso, questa crudeltà, questa disumanità, questa carne che implora inutilmente pietà a quella follia aguzzina che sa come violentare senza arrivare a uccidere, per non essere incriminata; follia che è (dentro) il nostro Stato.

Più che mai: i colpevoli della Diaz e di Bolzaneto non solo non sono stati sospesi dal servizio ma sono stati per lo più promossi. E sono ancora tra noi, per strada, con una divisa addosso, con il tricolore cucito sulla giubba. Per difenderci.

Sì, questa recensione non è asettica ma di parte, perché il film lo merita, anzi: lo reclama, lo esige. Perché se esci dal cinema senza sentirti le ossa incrinate, i muscoli pesti, gli occhi gonfi, la mente confusa e intontita allora Vicari ha fallito. Ma non fallisce, perché in sala all’accensione delle luci c’è solo silenzio livido, musi di gesso e mani tremanti a cercare i giubbotti.

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“Cento micron” di Marta Baiocchi

Sono felicissima di questa uscita di Marta Baiocchi, una scrittrice eccezionale che sono orgogliosa di aver proposto per questa meritatissima pubblicazione con Miminum Fax. Questo romanzo è proprio bello, leggetelo. Questa la mia recensione:

Forse è nel color crema – che spesso ricorre tra le pagine di questo splendido romanzo – che troviamo una chiave di lettura: il bianco non è puro, ma sporcato. La pulizia, se c’è, è solo facciata, una stuccatura che non regge lo scrutinio di un secondo sguardo. Meno onesta persino dello sporco muffito e polveroso dei locali dove la protagonista Eva, quasi quarantenne ricercatrice di un Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma, lavora tentando caparbiamente di produrre risultati scientifici di rilevanza internazionale pur nell’abbandono tecnologico e architettonico in cui versa l’istituzione. Per contrasto, la sua amica vecchia Bibi, pariolina ricchissima e viziata, vive in un mondo quasi rarefatto per la sua distanza da quello reale. Un mondo tenue e color crema, in cui l’unico sudore è quello che si lascia sul tappetino di una palestra.
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“Roma – L’impero del crimine”, di Yari Selvetella

“Roma – L’impero del crimine”, di Yari Selvetella, Newton Compton Editori

Il segreto di questo autore risiede di certo in molti fattori, di cui l’appeal del tema è solo uno, e non il maggiore: certamente “Roma” e “crimine” sono due ingredienti importanti della sua ricetta, ma sarebbe una ricetta banale, servita e assaggiata talmente spesso da essere ormai insipida, da sola.
Ritengo invece che il successo di vendita dei libri di Selvetella abbia origine da altro. Prima di tutto dalla sua penna: una scrittura originale, una voce di personalità forte che si esprime su vari registri, dal giornalistico all’ironico, dallo storicistico all’elegiaco. E proprio su quest’ultimo vorrei soffermarmi: ci sono alcune pagine, soprattutto quelle dei capitoli in corsivo in cui l’autore entra più nell’espressione di un’opinione personale, un taglio critico, una visione dal suo sguardo, che sono davvero di grandissima letteratura. Così vicine per intensità e anima al migliore Pasolini, alla sua capacità letteraria mai scevra da una potenza espressiva che pare dettata in primo luogo dalla partecipazione umana, densa, alla materia raccontata.
In effetti Selvetella sta a Roma come Saviano è stato, in Gomorra, a Napoli. La stessa chiarezza di sguardo, la stessa conoscenza minuziosa della città, dei suoi pregi e difetti, la sua bellezza, a volte un po’ decadente, ma soprattutto la sua bruttezza. Roma qui c’è tutta, senza censure. Continua a leggere

Recensione a “Il nome giusto” di Sergio Garufi

Sincero, dolente, affettuoso, scoperto. L’esordio romanzesco di Sergio Garufi, blogger garbato e erudito, uno dei maggiori conoscitori di Borges in Italia, è un obiettivo centrato in pieno, emanativo di cultura e sentimento, in equilibrio tra passione e cesello, soprattutto linguistico. Una prosa simile a quella dei talenti italiani recenti, come Lagioia e Desiati, che si àncora certamente di più alla tradizione del dopoguerra come Bassani, Buzzati, Flaiano, ma anche l’Ugo Pirro autobiografico di “Solo un nome nei titoli di testa”, e soprattutto il magnifico Bianciardi de “La vita agra”, piuttosto che cercare di imitare una prosa moderna con artifici stilistici a effetto. Per quanto Garufi utilizzi glosse infrequenti a costo di apparire eccessivamente ricercato, è raro che le ostenti fino in fondo: le stempera di umiltà nel magma testuale fino a rasentare la autoumiliazione. È questo bilico che rende le sue pagine così larghe e persino eroiche, in alcuni momenti, ma al contempo così umane, commoventi e oneste.
Garufi racconta se stesso come fa da sempre nel suo blog, usando qui l’espediente romanzesco del morto che fa da io narrante, cucendo la trama della sua vita attraverso quella delle persone/personae che acquistano i suoi libri presso un venditore di volumi usati, Lino, con il quale condivide un pacato e rassegnato senso di fallimento di vita. Continua a leggere

Lezioni di vita, e anche di tango – Anna Mallamo, manginobrioches

Ogni volta che la nomino un amico di Reggio Calabria che mi è molto caro  mi dice “Messina non esiste”, con quel razzismo della campana che noi italiani ci trasciniamo dietro da medievali generazioni. Credo abbia ragione, però. Anna Mallamo,  Manginobrioches, re(g)gina prestata a Messina, teorizzatrice e praticante del modello politico del Matriarcato Calabrese, nella sua vita precedente era un distico elegiaco. In questa, è un tango. Un tango scrivente. Pura sensualità di parola, strazio e predominanza di femmina, non può che scrivere Anna Mallamo, solo logos brivido e sogno. Non importa sapere altro di Manginobrioches, lei è tutta qui nelle sue pagine, nel suo essere tango e argentina magnagreca, nelle sue milonghe messinesi che non ci sono, a destra di molte stelle. Quindi ha ragione il mio amico reggino: Messina non esiste, e Anna Mallamo ne canta l’evanescenza, la polvere brumosa che si allunga nello Stretto che lei unifica piantando un tacco su Scilla e l’altro su Cariddi, sapiente e utile come mai un ponte. Questo libro racconta tutto ciò che è indispensabile che la nostra anima sappia a proposito del tango, e della vita, se è per questo. Ne è propedeutico all’iniziazione: fa vibrare i tacchi che non portiamo e svolazzare i vestitini scollati e leggiadri che non abbiamo ancora osato acquistare. Ma lo faremo. Ah, se lo faremo. Continua a leggere

Recensione di Elisabeth, romanzo di Paolo Sortino

Nel suo saggio Das Unheimliche [Il perturbante, 1919] Freud teorizza che “Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare.”. Il titolo di questo saggio letteralmente significa “Il non-familiare”, laddove heimlich deriva dalla radice della parola tedesca “casa” (heim), che però come avverbio significa “di nascosto”, “in segreto”. Stessa cosa nello svedese, dove si va oltre: i due aggettivi derivati dalla stessa radice (hem) sono hemlig, che significa appunto “segreto”, e hemsk che vuol dire “orrendo/terribile”, ed è usato per esprimere il massimo grado dell’insopportabilità di qualcosa. Nell’inconscia percezione linguistica germanica, a quanto pare, nel familiare si annida l’occulto, l’inconfessabile, il mostruoso. Così in questo romanzo – teoricamente impossibile da leggere – che prende spunto da una storia vera che abbiamo letto in cronaca e che abbiamo cercato collettivamente di rimuovere, il più in fretta possibile: la storia di Elisabeth Fritzl, giovane austriaca segregata dal padre in un bunker segreto sotto casa per 24 anni, durante i quali è stata violentata, torturata, malmenata e vessata sotto ogni aspetto, dando alla luce ben 7 figli prodotti incestuosamente. Un parossismo di orrifica indicibilità che Paolo Sortino – neanche trent’anni ma un talento vero nelle mani – è riuscito a maneggiare in maniera quasi inesplicabile ovvero utilizzando le stesse tecniche che l’uomo usa dalla sua genesi cioè raccontandolo, creandone una fabula/favola, un mito tragico. Questo romanzo sarebbe illeggibile se non fosse una storia vera, sarebbe intollerabile. Ma lo è, e l’unico modo per sopportarlo, per subirne la catarsi, è leggerlo per intero, arrivare alla fine. Continua a leggere

Recensione del romanzo di Emilia Zazza

“Si sta facendo notte” di Emilia Zazza

Un romanzo breve ma densissimo: la prima prova di Emilia Zazza non è affatto timida ma assertiva, e tocca temi grandi e forti, che fanno pensare. C’è un quartiere di Roma, che i romani riconosceranno essere  il Pigneto, zona ex proletaria che ora vira verso il radical chic, perdendo la sua anima popolare (“Un parco a tema. Questo ne faranno”). C’è l’anima popolare che si perde da sola nel conflitto con i migranti, gli “ex-noi” che forse vogliamo dimenticare di essere stati; c’è il conflitto e la distanza delle generazioni, i buoni e i buonisti, i “giovani” che intuiscono quale sarebbe la direzione giusta, ma non sempre riescono a prenderla, storditi dall’iperstimolazione di modelli mediatici; c’è l’amicizia tra loro, la forza che tende l’arco di quegli incontri, quella che tutto riscatta, alla fine, con la Maggica a fare da cemento e collante. Pino, Mustafà e il Moretto sono ragazzi veri, che se giri per le strade del Pigneto incontri a ogni angolo. C’è il desiderio di andare via da lì, come se il quartiere portasse dentro una condanna: “Chi restava sapeva che tra male e bene non c’era differenza, non in quei posti. Tra il male e il bene c’era solo il caso.”. Il quartiere di Don Camillo e di Peppone dove i ragazzi scelgono lo scoutismo o il centro sociale.

La storia si dipana in immagini che, soprattutto all’inizio, di capoverso in capoverso alternano il presente al passato, cucendo insieme trame, famiglie, anime: capoversi corali come storie ascoltate per strada, quasi rubate con le orecchie, Continua a leggere

Recensione di “Sangue del suo sangue”, il nuovo romanzo di Gaja Cenciarelli

Quando qualcuno non ti insegna ad amare il tuo corpo perché non lo cura, non lo accudisce, lo tratterai male. Ma se qualcuno il tuo corpo lo abusa, quello che fai è cercare di eliminarlo, fare finta che non esista. Che non abbia bisogni, che non possa provare piacere, che non viva. A volte è impossibile risvegliarlo, anche se grida. Puoi farlo se dentro di te è rimasta una scintilla di desiderio e illusione, illusione che potrà essere ancora amato. Se c’è una scintilla di vita che rifiuta di abbattersi. “Sangue del suo sangue” è la storia di Margherita Scarabosio, una donna che riesce a conservare una fiammella in sé, una luce molto piccola che la guida nel suo ribellarsi, che con grande lentezza la sostiene e le fa ritrovare il suo corpo, da sola. Senza l’amore di un uomo, ma attraverso l’amore che è riuscita a conservare per se stessa. Mentre intanto il suo fratello carnefice la cerca per abusarla ancora, l’uomo che l’ha ingannata la riempie di odio, e tutti gli altri di indifferenza, cercando di usarla, ancora. In primo luogo come testimonial per una campagna pubblicitaria di Bruno Chialastri, un imprenditore-padrone candidato della destra (“una specie di Berlusconi in miniatura”) che la utilizza come immagine per la sua promozione elettorale: Margherita è la figlia di un generale ammazzato in un agguato delle BR. E tutta la campagna si fonda sull’anticomunismo. Continua a leggere