Giovani carini e scrittori

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Giovani carini e scrittori

Una presentazione a tre al “Martelive” di Colloca, Fattori e Morici, scrittori di nuova generazione

L’unione fa la forza, soprattutto se quello che si vuole raccontare è una realtà giovane e disincantata, da snocciolare su piani temporali diversi. Saverio Fattori, con “Chi ha ucciso i Talk Talk?”, infilza gli anni ottanta con il suo famoso bisturi, parlando di anni che continuano a pesarci sulle spalle come macigni; Gianluca Colloca, nel suo incalzante e spunteggiato “Pork Soda”, ci racconta una scapestrata vita di periferia dalla parte degli spietati, come li avrebbe probabilmente – e spietatamente – raccontati Pasolini; e dopo passato e presente facciamo un salto nel futuro con Claudio Morici e il suo nuovo romanzo “Actarus” (cioè il pilota del robot Goldrake), dove il protagonista è un extraterrestre emigrato in Giappone nonché alcolista da Peroni Nastro Azzurro.

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Lettere all’amministratore di un condomino intimo – Francesco Fagioli

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“Un certo senso” di Francesco Fagioli in libreria da oggi, candidato da Marsilio Editore al premio Strega

Il romanzo più innovativo di quest’anno lo trovate da oggi in libreria, e ne sentirete davvero parlare a lungo, forse per sempre: questo libro è davvero quello che in gergo viene definito un long seller, cioè un’opera che resta nei “classici” della letteratura, e si vende all’infinito. Perché? Perché è un romanzo pazzesco, che se non avesse le qualità di scrittura che ha, sarebbe un vero incubo: quasi un centinaio di lettere indirizzate a un amministratore di condominio.  Ma sono lettere di delirio trattenuto, di fuoco e follia,  che celebrano l’incomunicabilità di una vita – forse di tutte. Il diario involontario, negato, di un artista fallito e borderline, Antonio Senso, prigioniero di un appartamento reso mefitico da una problema di scarico del suo bagno, con il finale che si tinge di giallo. Una prosa talmente sontuosa da aver portato Marsilio Editore a sceglierlo per come loro candidato al Premio Strega 2007.

Questo romanzo parte da un’idea inaudita: da dove ti è venuta l’ispirazione?
Nessuna ispirazione, almeno per come l’intende A. Senso, quella mamma immateriale che non solo ti visita inaspettatamente ma poi pensa a far tutto lei, sicché l’artista non deve muovere un dito. Tutto è nato da un fatto reale. La puzza in casa, l’occlusione della colonna di scarico, la lettera dell’avvocato, dettata al telefono per l’amministratore, con la raccomandazione di rivederla ed eventualmente correggerla prima di spedirla. La prima lettera del romanzo non è mia ma riferisce fedelmente le parole dell’avvocato. È quella che effettivamente spedii e che seccò l’amministratore perché avrebbe preferito che gli parlassi del problema a voce. Ad ogni modo, se ne occupò subito e la puzza svanì nel giro di due giorni, però mi ricordo che prima di spedire la raccomandata mi domandai che sarebbe avvenuto se ci avessi messo le mani per “migliorarla”. Feci in effetti dei tentativi, delle modestissime correzioni, e poi lasciai perdere. In seguito non so bene cosa accadde. Forse Antonio Senso – qualcuno che evidentemente già abitava in qualche parte del mio cervello – si incaponì su quel testo. Volle a tutti i costi renderlo diverso, “degno” del destinatario. E così mi dilagò nella mente, non voglio dire che se impadronì, ma di certo si prese una sorta di diritto incondizionato sulle mie mani, e combinò quello che combinò. Alla fine Senso muore, di morte violenta, e nel romanzo c’è un mistero su chi potrebbe averlo ucciso, ma io ho più che un fondato sospetto che quell’assassino sia io.

C’è un messaggio in questo romanzo? Antonio Senso è un everyman?
Se c’è un messaggio, non so dire. Può darsi, ma non mi è possibile razionalizzarlo. C’è un senso (un Senso!) di maledizione, che potrebbe essere quella della scrittura: una sorta di condanna, un contrappasso atroce poiché non è dato sapere a chi lo subisce, cioè a chi scrive, quale sia la colpa che deve scontare. Ecco perché, forse, non potrebbe dirsi che A. Senso sia un everyman, almeno me lo auguro fortemente, giacché non saprei immaginare pena eterna peggiore di quella che non può essere ricondotta ad una qualunque responsabilità. Certo, Senso è sotto tutti gli aspetti una persona “normale”, come lo sono quelli che lo circondano, i condomini, l’amministratore, l’avvocato, e rientra nella sua normalità un certo numero di colpe, sarebbe meglio dire errori, che, in linea teorica, potrebbero essere suscettibili di una punizione. Ma questo non basta a giustificare il martirio della scrittura, e in specie di una scrittura che fa gabbia a se stessa, che impedisce a chi ne è posseduto di scrivere qualcosa di diverso da una – una sola! – lettera, intorno ad un unico problema, quello della puzza di fogna dentro casa.

La tua prosa è in assoluta controtendenza rispetto al mercato, eppure si impone con grande autorevolezza, sicura di sé. Nasce dal personaggio o dal suo autore?
La questione dello stile è per me fondamentale. Ma non saprei dire da cosa o da chi nasca. Scrivo nel solo modo in cui sono capace; posso stare ore o giorni a risolvere un dubbio circa la punteggiatura o la scelta di un aggettivo. Ma il punto è un altro: quando scrivo (o quando scrive A. Senso) mi impongo una regola assoluta: non seguire mai uno schema, uno sviluppo predeterminato. Bisogna che il pennino intinto nell’inchiostro scorra liberamente, dissennatamente, penetrando in territori sconosciuti, senza alcuna garanzia che vi sia un buon esito, e senza sapere se se ne uscirà vivi. Alla fine rileggo tutto e sono i momenti più spaventosi, quelli in cui viene decretato un giudizio inappellabile: funziona o non funziona. In caso di risposta negativa, non c’è salvezza perché quel che è scritto è scritto. Non mi piacciono i romanzi (la stragrande maggioranza purtroppo) che sanno di “costruito”, che sono a tutti gli effetti costruiti. Non mi piacciono gli scrittori che non rischiano quando si mettono al tavolino, che navigano a bordo di una nave da crociera, e non invece su un vecchio brigantino con le vele strappate, privo di bussola e di astrolabio, che fa rotta verso il mare aperto col solo riferimento dell’orizzonte e del tremolio delle stelle.

Ferite di guerra che seducono i francesi – Giulia Fazzi

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L’intensissimo romanzo della Fazzi, passato un po’ inosservato in Italia, pubblicato da Gallimard

A volte anche l’editoria sforna piccoli miracoli, quando ci sono occhi svegli e ricettori intelligenti e spregiudicati. Sono rarissimi ma per fortuna ci sono, a ricordarci che a volte si sopravvive senza santi in paradiso. È il caso di Giulia Fazzi, giovane scrittrice carpigiana “scoperta” dal gruppo de iQuindici (i lettori volontari costola del collettivo Wu Ming), edita in Italia dall’editore romano Gaffi, il cui romanzo “Ferita di Guerra” è stato appena pubblicato dal prestigioso editore francese Gallimard con il titolo “Blessures de guerre”.  Questo è un onore concesso a pochi – a “poche” ancor meno – che dà speranza al magma dei giovani scrittori italiani spesso ingiustamente invisibili.
Ma questo romanzo in effetti meritava davvero una sorte migliore: è la storia molto intensa e attuale di una giovane operaia che continua a fare le sue rivendicazioni senza piegare la testa, indifferente al mobbing e alle mille pressioni che subisce, tanto che alla fine subirà l’estrema ratio della pressione: lo stupro da parte del padrone. Una storia che si regge su un parossismo raro ma non infrequente, che assurge ad atto simbolico di una molestia – quella sessuale – che è invece largamente diffusa nei luoghi di lavoro. Il cammino di recupero dallo shock di questo trauma tesse con grande emotività lo sviluppo della narrazione, con una prosa che resta però sempre precisa ed asciutta.
Pensi che sia questo il motivo per cui è piaciuto così tanto a un colosso editoriale come Gallimard? Quali sono i suoi punti di forza?
Sì, credo che questo aspetto della scrittura sia molto piaciuto. In “Ferita di guerra” non ci sono preziosismi, non c’è una ricerca formale, la lingua e la narrazione seguono il percorso emotivo ed esistenziale della protagonista, le poche luci e le sue tante ombre. A Gallimard credo sia piaciuto anche il fatto che quella che ho scritto non è una storia intimista e ombelicale ma potenzialmente universale, che parla di lavoro, di potere, di conflitti di classe e di genere. E descrive una giovane donna lontana dagli stereotipi. La forza di “Ferita di guerra” è in Lisa, la protagonista, è nella sua voce che emerge con la potenza devastante di un trauma che non può essere taciuto a lungo.

Come è successo che il tuo romanzo sia stato selezionato?
Sono stata contatta da Vincent Raynaud, l’editor di Gallimard per la narrativa italiana, che l’anno scorso ha letto il romanzo del tutto casualmente, scaricandolo dal sito de iQuindici dove è disponibile per il download. “Ferita di guerra”, infatti, è pubblicato con la clausola del copyleft. Vincent lo ha poi proposto al comitato editoriale che ha deciso di pubblicarlo. Senza il copyleft, tutto questo avrebbe avuto tempi molto più lunghi.

“Nemo propheta in patria sua” è uno di quei proverbi che ha retto davvero bene la sfida del tempo. Come mai un romanzo di questo valore può passare inosservato?
È molto difficile riuscire a farsi notare in un mercato così inflazionato. In Italia, come sappiamo, si scrive tanto e si legge poco e i romanzi scadono più in fretta di una bottiglia di latte. I grandi editori monopolizzano la distribuzione e la promozione sulla stampa, per un piccolo editore è difficile trovare uno spazio. Poi, certo, bisogna lavorare bene, avere i contatti giusti, inventarsi strategie. Spero che la Francia sia l’inizio di una seconda vita per “Ferita di guerra”. Chissà, se saranno i francesi a fare di “Ferita di guerra” un successo, può darsi che pubblico e critica italiani gli dedicheranno più attenzione.

Manituana: la nuova strabiliante fatica collettiva di Wu Ming

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Un romanzo diverso da tutti i precedenti che gioca sul grande “ma se invece…” della storia degli Stati Uniti.

Tre anni di ricerche, migliaia di euro spesi in libri, milioni di ore passate a discutere e a scrivere, il tutto diviso per cinque. Fate questa operazione e avrete la spinta tellurica di questo nuovo romanzo del collettivo Wu Ming. Tellurica perché Manituana (“Il giardino di Dio” in lingua irochese) ha molte più viscere dei precedenti, legato com’è ad indagare anche gli aspetti profondi, “esistenziali” dell’essere umano, e il suo rapporto con la madre terra, filtrato attraverso il poetico tessuto della cultura amerinda. E sopra a ciò la costruzione di una prospettiva storica possibile, diversa, sul “come sarebbero andate le cose se” di una nazione – gli Stati Uniti – che ha finito poi per imporre la sua legge al mondo.
Una prospettiva enorme, quindi, un immenso e doloroso gioco delle possibiltà perdute del vero American dream, da esplorare leggendo il romanzo e “giocando” sul sito www.manituana.com , lontanissimo dall’essere un mero sito vetrina, ma oggetto a sé stante: un luogo per vivere, rivivere o sognare la narrazione, ad occhi spalancati.

Dopo anni di innovazione del mondo letterario italiano che hanno contaminato una generazione che aveva davvero bisogno di stimoli, anche questa volta siete riusciti ad andare oltre. Cosa ha aggiunto Manituana a Wu Ming?
Qualche problema di salute in più, qualche diottria in meno, sovraffaticamento, necessità di un impossibile riposo. Un po’ di consapevolezza in più, nuove metodologie di lavoro collettivo, maggiore padronanza della lingua rispetto agli anni di Q e 54. E poi l’acquisizione più importante: la convinzione che da qui non si torna indietro, si può solo alzare la posta ogni volta, ogni volta la va o la spacca. L’esito di questo romanzo definirà il futuro del nostro progetto collettivo.

Oltre a uno splendido booktrailer, il sito di Manituana è ricchissimo di molte altre suggestioni, persino di un gioco! Come è nata questa idea e cosa vuole generare?
Siamo sempre più consapevoli di un fatto: noi non facciamo letteratura in senso stretto. La “letteratura pura”, il mondo dei letterati, ci causano claustrofobia. E’ un orizzonte angusto, contemplato da conventicole autoreferenziali. Noi siamo “narratori con ogni mezzo necessario”. Abbiamo fatto scorribande nel cinema, nei fumetti, nei giochi di ruolo. Ci siamo formati nel Luther Blissett Project, che era quanto di più multimediale e transmediale si potesse immaginare. I romanzi sono forse il nostro principale strumento d’espressione, ma non sono l’unico.

Un romanzo che accoglie e fa suoi gli aspetti femminini del mondo, anche quello maschile. Come ci siete arrivati?
Le cose sono cambiate tanto, rispetto ai primi anni di esistenza del collettivo. Intanto, abbiamo relazioni fisse e stabili, ambiti affettivi che ci siamo costruiti con fatica e pazienza. Dopodiché, alcuni di noi sono diventati padri, anche di bambine. Mettere al mondo il mondo cambia la prospettiva sulla vita e sulle cose. Mettere al mondo un pezzo di “altra metà del mondo” la cambia in modo ancor più radicale. Sicuramente, questa esperienza rigeneratrice ha trovato la via per infilarsi in Manituana, anche senza e oltre la nostra volontà.

Wu Ming presenterà Manituana a Roma il 12 Aprile alla libreria Mel Bookstore e all’Eternauta. Più avanti vi ricorderemo gli appuntamenti.

 

La strategia collettiva – Kai Zen

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Tour romano dei Kai Zen, il collettivo “cugino” di Wu Ming, in libreria con “La strategia dell’ariete”

È davvero un romanzo da mordersi le unghie… fantastorico, politically non-correct, brutale. Il ritmo di Indiana Jones e la cupezza di Evangelisti, un po’ di esoterismo ben nascosto nelle pieghe dell’impermeabile d’ordinanza del solito agente della CIA. Che stavolta però lascia il ruolo da protagonista a una collega, Shelley Copeland, una rossa alla Jessica Rabbit con il cuore da cattiva (ma ha i suoi buoni motivi). La storia si snoda in un arco di circa 40 anni, dagli anni ’20 in Cina al ’57 negli Stati Uniti, con una lunga parte intermedia ambientata in Paraguay. Un fumettone densissimo, un western con l’anima, governato dal desiderio di dominare una forza malefica, il “respiro di Seth”, che dà ai suoi possessori – l’avete già capito – il dominio sulle masse.
Il romanzo è uscito in questi giorni per Mondadori con clausola copyleft (permesso a far circolare l’opera senza scopo di lucro) e stampato su ecocarta secondo gli standards di Greenpeace, una prima assoluta per l’editore milanese.

Come li avete convinti e perché questa scelta?
Come li abbiamo convinti? Glielo abbiamo chiesto e hanno detto di sì. Poi abbiamo vigilato affinché non vi fossero “dimenticanze” dell’ultimo istante e, proprio grazie alla vigilanza, tutto è andato in porto. Il perché della scelta potrebbe definirsi triplice. In primo luogo siamo convinti che la mera fruizione (senza scopo di lucro dunque) di un’opera dell’ingegno possa e debba essere concessa liberamente in forme parallele a quella del classico acquisto. In secondo luogo lo troviamo un atto di cortesia verso il lettore, che ha la possibilità di verificare la merce prima di acquistarla. Ci immaginiamo che la scarichi dalla rete, se ne legga 10, 20 pagine e solo a questo punto, se effettivamente gli piace, decide se comprarla o meno. Infine l’aspetto creativo, il fatto che qualcuno possa prendere spunto dai nostri lavori per crearne di nuovi, diversi, sperimentali, magari con approccio multimediale. Anche noi lo abbiamo fatto e siamo convinti che sia una strada da percorrere in un ambito – quello letterario – ancora troppo conservatore in tal senso. Noi non vogliamo combattere battaglie di retroguardia e cerchiamo di convincere anche gli altri a non perderci tempo. Le nuove tecnologie e le abitudini che hanno creato impongono una riconsiderazione del diritto d’autore che peraltro, a ben vedere, non comportano ormai nemmeno più vantaggi se non unicamente per le casse dell’editore (o discografico, o software house che sia). Per un autore essere scaricabile dalla rete, anche gratuitamente, permette una visibilità che altrimenti gli sarebbe negata e un rapporto diretto con il lettore che può dar vita a nuove interessanti possibilità. Gli autori musicali più scaricati attraverso il sistema peer to peer, ad esempio, sono anche quelli più venduti nei negozi di musica. Bisognerebbe chiedere a questi signori se il download pirata dalla rete sia un danno o un vantaggio per loro.

Ma restiamo sul romanzo. Come lo definireste? Ha un intento metanarrativo?
Una storia, un’avventura che dovrebbe essere letta semplicemente per il piacere di scoprire i mondi che vi vengono narrati e descritti. Tu hai parlato di fumettone e per certi versi la definizione calza, e noi non la troviamo affatto riduttiva o offensiva. A noi interessano le storie e i personaggi, non le etichette precostituite. Non vogliamo produrre ‘una certa storia’ ma narrare ciò che ci coinvolge ed emoziona, e provare a farlo cercando di suscitare nel lettore la stessa passione. Far sì che il virus della scrittura collettiva contagi sempre di più attraverso la rete. ‘La strategia dell’Ariete’ si potrebbe definire una via di mezzo fra Corto Maltese e Dick Tracy… sì, niente male questa.
Poi certo, nel nostro caso oltre alla narrativa stessa è interessante capire come funziona il lavoro di gruppo a distanza, la gestione delle dinamiche interne ai Kai Zen. Influenze, immaginari, scelte da compiere, sconfitte da incassare. Il classico ego smisurato dello scrittore/penna divina nel mondo Kai Zen  è una vittima certa.

Qual è la vostra modalità di scrittura collettiva?
Organizzare il plot a priori. Suddividerlo in piani narrativi che ci ripartiamo. Dopo la fase della ricerca si comincia a scrivere e ognuno, finito un capitolo, lo manda agli altri che glielo restituiscono in tempo reale con correzioni, osservazioni e riflessioni varie. Sta a lui poi, nella prima stesura, compiere la decisione finale, e in genere è lui il referente per quel piano narrativo. Ci si vede ogni tanto per far quadrare le cose e montare i vari pezzi. Una volta assemblato il tutto, parte una girandola estenuante di cambiamenti, modifiche, integrazioni, tagli con un ottica diversa: quella dell’insieme, del prodotto finale. Questo permette di lasciare il giusto spazio individuale per la prima parte del lavoro, dove ognuno è talmente immerso nel suo piano narrativo da doverne giustamente rispondere di persona. Poi però si abbandona questo approccio per assumere una visione di insieme che è – a nostro avviso – il vero cuore pulsante della scrittura collettiva. Non più TU autore sotto il riflettore, ma LA STORIA come unico riferimento.

Questo il tour romano di Kai Zen: giovedì 22 marzo ore 18:00 Mel Bookstore – via Nazionale 254; venerdì 23 ore 18:30 Libreria L’eternauta – via Gentile da Mogliano, 184 e a seguire alle 20:30 serata all’Astra 19 – Spazio Pubblico Autogestito – via Capraia 19.

Morti sì, ma meglio se ammazzati – Yari Selvetella

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Morti sì, ma meglio se ammazzati
La cronaca nera diventa best seller: i Crimini di Yari Selvetella

Siamo sempre più abituati a vedere la cronaca, soprattutto nera, uscire dal fruscio del giornale per diventare pagina compatta di un libro. Al contrario del cinema, che ha sempre attinto a piene mani dalla nera per fare spettacolo, il libro in Italia ha tenuto più a lungo le distanze dal “pop”, con una cesura un po’ altezzosa. Negli ultimi anni invece pare che l’aggettivo “criminale” in un titolo sia garanzia di successo editoriale, a partire forse proprio dal famosissimo “Romanzo criminale” di De Cataldo sulla Banda della Magliana, che ha segnato uno spartiacque anche letterario su questo genere in Italia.
Yari Selvetella conosce bene questo campo. Dopo aver scritto “Roma Criminale – storie di fattacci, delitti e misteri romani, dall’unificazione d’Italia ai giorni nostri” con Cristiano Armati (che ha venduto circa trentamila copie), nel novembre 2006 ha pubblicato “Banditi, Criminali e Fuorilegge di Roma”, sempre per Newton & Compton.

A quanto pare il delitto in editoria paga. È fenomeno di costume, curiosità morbosa o cultura pop?
Un po’ tutte queste cose insieme. Anzi, sarebbe interessante soffermarsi sul grado di morbosità della cosiddetta cultura pop: se con questa definizione intendiamo riferirci al gossip da spiaggia, ai reality show, alla spettacolarizzazione del dolore, mi sembra che la morbosità sia imperante. Per restare in un ambito “criminale”, direi che l’informazione di massa è “agli arresti domiciliari”, forzosamente rinchiusa tra quattro mura, asfissiata dall’aria scarsa e viziata. Nel raccontare le storie di questo libro ho cercato di trascendere da tutti gli aspetti pruriginosi. Ho scritto queste storie come se i loro protagonisti fossero donne e uomini come tutti gli altri. Così fanno più male e mi sembra siano utili a qualcosa.

Si parla sempre della criminalità come di un fenomeno in ascesa salvo poi scoprire che statistiche contraddicono questi dati. Puoi darci qualche dato in più a partire dalla tua analisi?
Credo che il dato fondamentale sia la paura dell’altro, che in fondo è paura del futuro. La profonda crisi economica terrorizza i piccoli privilegi, suggerisce il ripiegamento a una dimensione tutta individuale della propria esistenza: conta solo mettere in salvo se stessi, la propria famiglia; gli altri si arrangino. Tutto ciò che esula dal proprio contesto più intimo è spesso visto con somma diffidenza o palesemente odiato. Fa paura. Così la questione della sicurezza diviene improvvisamente centrale, anche a dispetto dei dati reali. Non mi stupisce che una società senza un vero progetto per il futuro finisca per essere terrorizzata e generare veri e propri mostri.

I fatti di cui ti sei occupato nei tuoi libri non sono solo cronaca nera ma anche pagine molto scure della repubblica. Secondo te un’orchestrazione comune tra malavita e politica è evidente?
Il libro parla di Roma, una città in cui si è forgiata buona parte della nozione occidentale di potere, un potere che emerge nelle vicende apparentemente più innocue. Dal mio viaggio tra memorie, cronache, leggende metropolitane, ho ricavato personaggi complessi e di difficile classificazione, specchi di una storia sotterranea che molto probabilmente non conosceremo mai fino in fondo. Tutto sommato il mio è solo un libro di racconti. Ho fatto un passo indietro rispetto alla verità, nell’illusione di averne una visione più nitida. Mi sono ritrovato a fronteggiare un compito assai arduo: raccontare il dolore, il dolore vero, come se fosse il frutto di una qualche fantasia.

L’infinita scomparsa di Emanuela Orlandi – Gaja Cenciarelli

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Incontro oggi alla libreria Eternauta con Gaja Cenciarelli, autrice di un volume sul caso.

Il prossimo 22 giugno saranno 24 anni dalla misteriosa e inquietante scomparsa di Emanuela Orlandi, un’adolescente il cui viso semplice e sorridente ha tappezzato per mesi i muri della capitale. Ma tutto c’è dietro la sua scomparsa tranne che la semplicità. Anzi. Il suo caso è più complesso e intricato di molti altri più “eccellenti”, probabilmente perché c’è una sovrapposizione e stratificazione di trame, rivendicazioni, connessioni, longae manūs, depistaggi e insabbiamenti, tutti sotto l’inquietante ombra del cupolone.
È in particolare la connessione con il Vaticano a rendere maggiormente sinistro il sequestro Orlandi; è proprio sulle sue mura che si fermano gli accessi alla verità e alle informazioni. A testimonio che tra Chiesa e Stato italiano non c’è reciproca proprietà transitiva. Come il primo dei legnetti di un lungo domino, la povera Emanuela Orlandi nella sua caduta ha trascinato con sé il resto della fila, tirando in ballo tutti e intersecandosi con molte delle pagine criminali italiane dal 1983 in poi, dalla banda della Magliana al “suicidio” di Cedric Tornay, giovane guardia svizzera.
Una matassa intricata a cui l’intelligente collana “900 storie” curata da Carlo D’Amicis (Edizioni Zona) ha deciso di dedicare un volume. La scelta è caduta su una giovane scrittrice romana di talento, Gaja Cenciarelli, che ha volentieri accettato di raccontare questa storia non solo mettendo con rigore in fila tutte le trame e i rivoli sviluppatisi fino ad ora, ma anche dando alla narrazione il senso di una storia personale. Gaja e Emanuela, infatti, condividono l’anno di nascita ed entrambe abitavano nel centro di Roma, passeggiavano per le stesse strade, vedevano le stesse facce. È per questo che il libro “Extra Omnes – L’infinita scomparsa di Emanuela Orlandi”, uscito lo scorso giugno, ha uno spessore più denso di altri volumi pubblicati sull’argomento: c’è un legame emotivo con quella “altra ragazza” che non c’è più, probabilmente uccisa dopo poche ore dal suo rapimento.
Abbiamo fatto qualche domanda a Gaja Cenciarelli, per capire meglio questa storia.

Qual è – alla fine di una ricerca così meticolosa su questo argomento – la tua opinione su come sono andati realmente i fatti in merito alla sparizione di Emanuela Orlandi?
È difficile rispondere con certezza a questa domanda. Di sicuro credo che Emanuela Orlandi si sia trovata al centro di un caso di “terrorismo internazionale” (queste sono le testuali parole di Giovanni Paolo II, quando andò a trovare per la prima volta la famiglia Orlandi dopo la scomparsa della ragazza). Ci sono troppe coincidenze strane: si è trattato di un piano preparato accuratamente e con grande anticipo. Arrivo a dire – e non sono la sola – che la sparizione della povera Mirella Gregori avvenuta il 7 maggio del 1983, non sia stata altro che una “prova” generale prima dell’obiettivo principale, ossia il sequestro di una cittadina vaticana. Emanuela è stata presa di mira perché, oltre a quest’ultimo requisito, era un’adolescente indifesa, era una creatura cara al Pontefice, il quale in tal modo diventava ricattabile. Sono altresì convinta che Emanuela potesse non essere stata la “prima scelta” dei rapitori, che hanno ripiegato su di lei perché il loro vero obiettivo – la figlia dell’allora aiutante di camera di Giovanni Paolo II, personaggio molto più importante e potente del povero Ercole Orlandi, che era solo un messo pontificio – avesse subodorato qualcosa, e fosse stata messa al riparo. Naturalmente per portare a termine un piano del genere c’era bisogno di un’organizzazione che conoscesse a menadito Roma e i vicoli del Centro Storico. E negli anni Ottanta era impensabile che un’azione simile potesse essere messa in pratica senza che la Banda della Magliana ne fosse stata a conoscenza. La mia opinione è che la Banda sia stata il “braccio”, mentre i servizi segreti dell’Est assieme a branche deviate dell’intelligence americana abbiano rappresentato la mente. Naturalmente c’erano dei complici anche in Vaticano, che all’epoca (e non solo) pullulava di spie comuniste. Non dimentichiamo che molte di loro vestivano abiti clericali.

Credi che il Vaticano possa avere informazioni o certezze che non vuole rivelare?
Io mi attengo ai fatti. Lo Stato italiano ha presentato più di una richiesta di rogatoria al Vaticano, e non ha mai ricevuto collaborazione in tal senso. La giudice Adele Rando ha dichiarato: “L’apporto istruttorio delle rogatorie introdotte davanti all’autorità giudiziaria della Città del Vaticano, lungi dal soddisfare i quesiti per le quali le stesse erano state proposte, si traduce nella conferma di alcuni interrogativi”. Anche Ercole Orlandi, il papà di Emanuela, rimarcò questa non-volontà del Vaticano di esporsi e di rischiare. Non credo ci siano dubbi in proposito.

Che reazioni ci sono state al tuo libro?
Ottime sul Web, dove abbondano le recensioni e le interviste, anche su siti prestigiosi, e tra i lettori che lo hanno acquistato. Scarsissima l’attenzione della stampa tradizionale: pur dichiarando ufficialmente il proprio interesse, a tutt’oggi il libro non ha ricevuto quasi nessuna segnalazione. Si ha come l’impressione che si tratti di un testo “scomodo”.

Prima un romanzo e poi un saggio. Il prossimo cosa sarà?
Il prossimo sarà di nuovo un romanzo, una sorta di labirinto in cui mi sono cacciata e da cui, pur non avendo spesso le energie per farlo, prima o poi dovrò tirarmi fuori. Il giorno in cui riuscirò a considerarlo concluso – e degnamente – sarò una persona felice.

La presentazione oggi alle 18.30 alla libreria l’Eternauta di Roma Pigneto, Via Gentile da Mogliano, 184, www.librerialeternauta.it

Gli esordienti sono qui – La nuova antologia di narratori inediti curata da Mario Desiati

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GLI ESORDIENTI SONO QUI

La nuova antologia di narratori inediti curata da Mario Desiati

Ha bruciato molte tappe e molto in fretta Mario Desiati, classe 1977, e tutte meritatamente: romanziere e poeta, talent scout e redattore della più importante rivista letteraria italiana, Nuovi Argomenti, ha un occhio personalissimo e indipendente sulla scrittura. Dopo il romanzo Neppure quando è notte (peQuod, 2003) ha pubblicato l’anno scorso con Mondadori Vita precaria e amore eterno consacrandosi come uno dei più talentuosi giovani scrittori in Italia. Continua a leggere

Addio Marianne Fredrikson

I suoi ultimi romanzi non mi avevano entusiasmata, e certo Goliarda Sapienza, Joyce Carol Oates e Toni Morrison hanno penne migliori, sotto il profilo letterario, ma ho sentito Marianne come nessuna, e resta una delle scrittrici che amo più visceralmente. Le avevo scritto una lettera, mille anni fa, e di ritorno mi aveva risposto la sua casa editrice, dicendomi che mi scrivevano da parte sua per dirmi che lei voleva che io fossi la sua promotrice e traduttrice per l’Italia.  Mi sarebbe piaciuto moltissimo ma all’epoca non avevo contatti nell’editoria, e non me la sono sentita di fare la promotrice/traduttrice precaria, buttandomi alla fine sul posto fisso. È uno dei pochissimi rimpianti della mia vita. Spero che dal mio coccodrillo si sentano le lacrime, perché le ho piante davvero.
Parte di questo pezzo è stato pubblicato anche da Diario nel marzo 2007.

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MARIANNE CHE NON AVEVA PAURA DI DIO

Domenica scorsa è morta Marianne Fredriksson, la più famosa scrittrice contemporanea svedese. I suoi romanzi sono stati tradotti in 47 lingue e hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo. La ragione di questo successo sta sicuramente nella sua capacità di parlare dell’essere umano nella sua interezza, dei suoi conflitti, del suo bisogno di autodeterminazione. Continua a leggere

Karlheinz Deschner : dieci volumi per raccontare tutta la storia criminale del cristianesimo

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DIECI VOLUMI PER RACCONTARE TUTTA LA STORIA CRIMINALE DEL CRISTIANESIMO

Presentazione con il curatore Carlo Modesti Pauer venerdì 9 febbraio all’Eternauta

Il titolo non offre mediazioni: “Storia criminale del cristianesimo”, e la sua lunghezza rende di per sé pesanti le accuse: dieci volumi di circa 500 pagine ciascuno, gli ultimi due ancora da completare. Il suo autore Karlheinz Deschner, tedesco di Bamberga, classe 1924, si dedica alla scrittura di quest’opera ciclopica a partire dagli anni ’80, dopo che altri suoi precedenti saggi gli avevano già fruttato un processo per “Vilipendio della Chiesa” nel 1971. La cultura di questo studioso di Storia, Teologia e Psicologia è pressoché sconfinata, e messa quasi completamente al servizio della laicità e dello scetticismo. Continua a leggere