La Mazzi a DonnaèWeb 2009!

In netto ritardo (mi scuso!) un breve commento e un grazie di cuore alle organizzatrici di DonnaèWeb, soprattutto a Adele Marra e Isabella Moroni che mi hanno invitata a parlare di booktrailer a questa importantissima manifestazione. Ovviamente ho finito per parlare di copyleft, Wu Ming e Creative Commons (perché prima di tutto bisogna diffondere il verbo ;-)) ma non ho resistito!
E’ stata una bellissima cosa, e sono molto felice anche perché la mia amica Isabella Borghese è stata premiata, e abbiamo condiviso un bel momento. Che continui così!

Dall’altro capo del mondo parte prima: the in-side

 

 

Finis Terrae

Medusa sputata dal maschile mare tasmano
accucciata piegata
morta quindi innocente
turchese

Pulci mordono la tua trasparenza inoffensiva
anche loro poi concime di sabbia

Alla fine del mondo
liquido bacia solido, schiaffeggia
Tutto succede lontano da qui
il mondo gira intorno a sé
Rinasce
muore
rinasce

Alla fine del mondo
gelatina turchese scomposta ritorna acqua aria terra
inoffensiva inconsapevole
Mondo rinasce
Incipit terra, incipit dies.

Con Monica Viola per il gran tour Downunder! Presentazioni a Auckland (NZ) e Sydney (AU)

Incredibile! Venerdì 30 ottobre alla Auckland University, Arts 1 Building, Room 616, a partire dalle 17.00, e altra data il 12 novembre alle 18.00 all’Istituto di Cultura Italiana di Sydney, Level 45, Gateway, 1 Macquarie Place.
Sono troppo felice! Parleremo del romanzo di Monica Viola (“Tana per la bambina con i capelli a ombrellone – Rizzoli 2008 – www.monicaviola.it) e delle mia attività di scrittura e filmmaking, con la proiezione del booktrailer “Auroralia”.
Sono moooolto emozionata e contenta. Devo tutto questo a Matteo Telara e a Emilia Zazza, che mi ha messo in contatto con l’ICI. Grazie a entrambi!

Eddie Joe & me


Oggi ho speso i più sprecati e presuntuosi 340 Euro della mia vita: ho comprato un basso elettrico. L’ho chiamato Eddie Joe.
Eddie è un tributo al mio bassista preferito (Bernard Edwards), Joe a una serie di persone che hanno a che fare con questo nome, come i bassisti John Taylor dei Duran Duran e Gianni Maroccolo dei Litfiba/CSI/PGR, più altro che non ho bisogno di raccontare qui.
Sono felice come una bimba davanti alla sua torta di compleanno.
Non credo che saprò mai veramente suonarlo ma questo acquisto fa parte del programma di recupero di una vita spesa a cercare tutto fuori di me. Questi suoni che amo proverò a farli uscire da Eddie Joe, e ogni accordo giusto, fosse anche uno su quaranta, sarà un regalo fatto da me a me, una carezza sulla mia pelle.
Mi sento sciocca e coraggiosa, ma soprattutto ridicola e molto molto felice.

Today I spent the most wasted and conceited 340 Euro of my life: I bought myself an electric bass guitar. And I called it Eddie Joe.
Eddie is a tribute to my favorite bass guitar player (Bernard Edwards), Joe to some people that bear this name like bassists John Taylor of Duran Duran and Gianni Maroccolo of Litfiba/CSI/PGR, and others that I do not need to mention here.
I’m happy as a child staring at her birthday cake.
I don’t think I will ever be able to really play it but this purchase is part of the Rehabilitation Program of a life spent trying to find whatever I needed outside of me. I will try and make the sounds I love come out of Eddie Joe, and every tune I play right, be it one out of forty, it will be a gift from me to me, a gentle stroke on my skin.
I feel silly and brave, and above all ridiculous and outrageously happy.

“7047.64”, un nuovo contributo per La poesia e lo spirito

È online il mio nuovo contributo per La poesia e lo spirito, un racconto su un treno che si impaluda nella campagna e su come si possano girare le boe della vita, forse. Quasi una pagina di diario. Si chiama 7047.64. Devo e voglio ringraziare anche qui per i commenti nutrienti e emozionati che ho ricevuto alla sua anteprima su facebook.

7047.64

È il numero dei chilometri che separano Auckland, Nuova Zelanda, dall’Isola di Pasqua (o Rapa Nui), attualmente parte dello stato cileno. Settemila chilometri e sessantaquattro centimetri di sola acqua, acqua, acqua.
L’anno scorso ho preso un aereo che ha solcato l’Atlantico e mi ha portata in Cile; dopo una settimana un altro volo mi ha tenuta sospesa su quattromila chilometri di immenso blu per depositarmi in un aeroporto su un’isola sperduta in mezzo al nulla: la terra più vicina quella da dove ero partita. Un’isola a forma di boomerang il cui periplo è fattibile a piedi in un giorno. Da tenere sul palmo di una mano, con tutti i suoi misteri.
Ma non sono le statue, i moai neri che danno le spalle al mare, non sono gli altari su cui sono poggiate o su cui giacciono infrante, e neanche quel meteorite lucido la cui frequenza energetica ha mandato in cortocircuito la mia: non sono i misteri, i sacrifici orrendi, gli assassinî delle faide tribali, le lotte di potere tra aristoi e plebe, le grotte buie o l’oceano pieno di squali che l’anno scorso mi hanno risucchiata nell’emozione, a Rapa Nui.
È stato quell’enorme blu tutto intorno. Quella colata ribollente di mare infinito a cui l’isola resiste, silenziosa, sperando che ci sia solo pace e prosperità, vita a ritmi lenti. Quattromila chilometri per il primo ospedale, ma ritmi lenti, distacco. Accettazione. Isola-mento.

Un anno fa sono arrivata a Rapa Nui correndo. Come un intercity su una rotaia che voleva essere la mia vita: un uomo e un figlio, volevo solo questo. Poi sì, anche la scrittura, le mie varie attività creative, ma Unuomoeunfiglio era il nome della stazione a cui era diretto il mio treno, da vent’anni.
Ne avevo 44, l’anno scorso. Il treno invece si è fermato in mezzo alla campagna. Arenato di fronte all’evidenza che il ritardo procreativo non sarebbe stato mai più recuperabile. C’era solo da chiedere il rimborso del biglietto e ingoiare la delusione della corsa impaludata. C’era forse la necessità di cambiare direzione.
Desiderare altre cose.
Smettere di correre.
E all’Isola di Pasqua non puoi correre: c’è solo oceano blu intorno, onde alte quattro metri anche quando il mare è calmo. E rocce scurissime prese a ceffoni; puoi tuffarti oltre loro, prenderti in faccia il mare e affogare se vuoi.
Oppure puoi prendere l’isola come una boa.
La boa intorno alla quale si è arenato il tuo intercity nella corsa per il niente. Puoi scendere da quel treno, e girarci intorno, lentamente; e scegliere che se le statistiche hanno un senso, hai forse altri 44 anni davanti a te. Quelli della discesa iniziale, che poi diventa declino, sì: ma tuoi, e da vivere. Questa è stata l’Isola di Pasqua l’anno scorso: la boa intorno a cui voltare, prendendo le misure di alcune sconfitte. Ci è voluto un anno per girarle in cerchio, adesso cammino verso il ritorno con altra consapevolezza.
Ora, tra poco, riparto per l’emisfero sud: un’isola neozelandese abbracciata dall’oceano, distante 7047 chilometri e 64 centimetri da Rapa Nui; ma questa volta il mio aereo segue la direzione da occidente a oriente, sorvolando l’Asia invece che l’Atlantico.
Quest’anno arrivo da sinistra, dalla linea del cuore, sperando che il Pacifico mi dia ancora la sua buona spinta, che le onde puliscano, lasciando la forza della mia roccia.