Recensione di Elisabeth, romanzo di Paolo Sortino

Nel suo saggio Das Unheimliche [Il perturbante, 1919] Freud teorizza che “Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare.”. Il titolo di questo saggio letteralmente significa “Il non-familiare”, laddove heimlich deriva dalla radice della parola tedesca “casa” (heim), che però come avverbio significa “di nascosto”, “in segreto”. Stessa cosa nello svedese, dove si va oltre: i due aggettivi derivati dalla stessa radice (hem) sono hemlig, che significa appunto “segreto”, e hemsk che vuol dire “orrendo/terribile”, ed è usato per esprimere il massimo grado dell’insopportabilità di qualcosa. Nell’inconscia percezione linguistica germanica, a quanto pare, nel familiare si annida l’occulto, l’inconfessabile, il mostruoso. Così in questo romanzo – teoricamente impossibile da leggere – che prende spunto da una storia vera che abbiamo letto in cronaca e che abbiamo cercato collettivamente di rimuovere, il più in fretta possibile: la storia di Elisabeth Fritzl, giovane austriaca segregata dal padre in un bunker segreto sotto casa per 24 anni, durante i quali è stata violentata, torturata, malmenata e vessata sotto ogni aspetto, dando alla luce ben 7 figli prodotti incestuosamente. Un parossismo di orrifica indicibilità che Paolo Sortino – neanche trent’anni ma un talento vero nelle mani – è riuscito a maneggiare in maniera quasi inesplicabile ovvero utilizzando le stesse tecniche che l’uomo usa dalla sua genesi cioè raccontandolo, creandone una fabula/favola, un mito tragico. Questo romanzo sarebbe illeggibile se non fosse una storia vera, sarebbe intollerabile. Ma lo è, e l’unico modo per sopportarlo, per subirne la catarsi, è leggerlo per intero, arrivare alla fine. Continua a leggere

Carlo Giuliani, ragazzo.

 

Inutile continuare a far finta che sto prendendo sonno. È il 20 luglio 2011 da due ore e trentotto minuti, e ogni istante che passa scava dentro la parola anniversario, il corpo per terra, il sangue dalla testa.
Non credo che a Carlo Giuliani interessasse fare l’eroe, credo che gli interessasse restare vivo. Credo che servisse un morto, quei giorni, e che sia toccato a lui, per caso. Serviva qualcosa per dire “cattivi”, che rendesse dignità a quella massa di carta straccia di filigrana che teniamo nella banche, soprattutto in quelle svizzere. E mi sento senza forze per i suoi compleanni mai compiuti e per tutte le partite della Roma che non ha più seguito, da un televisore.
Spero le abbia viste dalle Grandi Praterie, spero ci guardi sereno e sorridente, Carlo, l’agnello che ha raccolto tutte le colpe, tranne le sue.
E allora oggi cercherò di fare tutto al meglio che posso, di mettere amore in ogni atto, sentire la vibrazione di ciascuna cosa, non essere pigra, sciatta, indegna, onorare tutto e glorificare la vita, bellissima, che ho. Ringraziando il cosmo che mi contiene e Carlo Giuliani, che da dieci anni mi addolora e mi ispira. Ti bacio Carlo, veglia su di noi.

Stati d’anima I

 

 

 

 

 

 

 

Estati addolorate
senza compimento d’un’attesa

Nel buio di questa mattina invernale di luglio
ho cercato di scappare dal nero correndo sulla strada
ma il cielo mi ha singhiozzato addosso,
un micron dalla meta.

Se un destino non c’è allora sono in cima al deserto,
le mie estati addolorate senza senso
senza compimento di un’attesa
il ventre vuoto del tutto 

la mia bellezza inutile
la dimentichi già, per quella di un’altra.
Banale come queste righe
la mia vita senza il premio,
solo l’immensa fatica,
la distanza da te

Nel buio di questa mattina invernale di luglio
ho cercato di scappare dal nero correndo sulla starda
ma il cielo mi ha singhiozzato addosso,
a un minuto dalla meta.