Ceci n’est pas un compte-rendu [Questa non è una recensione] – Un pezzo per Nazione Indiana

Una non-recensione, una sorta di pezzo non-narrativo che ho scritto per Nazione Indiana.

Ceci n’est pas un compte-rendu [Questa non è una recensione]

Roma, parco di Villa Ada, aprile finisce domenicale cedendo infine alla primavera.
Nei viali e sui prati, una coppia di amiche rumene di mezza età con caviglie virili e varicose parlano fitte sbocconcellando panini e il vino dal cartone, rannicchiate sopra un plaid tartan sull’ocra con orli sfilacciati, le dita dei piedi compresse dai gambaletti color carne.

Due colleghi di lavoro hanno usato la scusa del jogging per vedersi finalmente da soli, fuori dall’ufficio, senza far destare sospetti alle famiglie. Lei ha solo cambiato la “a” di collega in una “i” di colleghi, quando ha avvertito il marito; lui invece ha omessa la “a”, quando ha detto a sua moglie: «vado a correre con un[a] collega». Due “a” omesse, privative di una verità che a entrambi pare ancora innocente, quasi sincera. Tra poco non basterà più quel versarsi addosso il fiume di parole di oggi: vorranno toccarsi, e poi sposarsi. Uno dei due lascerà il proprio coniuge, l’altro no, perché i bambini sono troppo piccoli, e non se l’è sentita, e il dolore si mangerà tutto, alberi compresi, e pure questo vento di primavera meraviglioso.

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Unonove: l’antologia!

Finalmente ci siamo: è in libreria la prima antologia di Unonove, pubblicata da Epika e curata da Margi De Filpo. Da un piccolo progetto web pensato insieme a lei, Ivan Arillotta e Valeria Faella per le immagini e la grafica, si è sviluppato un punto di riferimento letterario e immaginario talmente forte da poter diventare carta. Bello.

Il racconto che Margi ed io abbiamo scelto è "Istantanee sbagliate", a cui sono veramente molto affezionata.

Presto presentazioni in giro, stay tuned!

Nuova uscita sulla rivista Laspro

Fierissima di una nuova pubblicazione sulla sciccosa&succosa rivista Laspro, il numero 16, ora in edicola, con un mio racconto di qualche tempo fa illustrato in modo delizioso da Luisa Montalto. Rileggendolo oggi trovo più che mai attuale il suo contenuto, è qualcosa in cui credo profondamente.

ANDARE A FINIRE

Me li ricordo ancora quegli anni dove nei negozi scambiavo queste battute: “No guardi, la busta non mi serve, c’ho posto nello zaino.”
“Ah va beh, ma guardi che non si paga mica la busta, eh?”
“Sì, no, non importa, non mi serve, davvero, grazie.”
La cassiera mi guardava con sufficienza. “Questa si vuole far notare”, pensava.

Qualche minuto dopo, in farmacia. Prendevo delle compresse, contenute in un’anonima scatolina. La farmacista la poggiava con un gesto automatico su una sottile pila di fogli bianchi con scritte verdi e rosse, veloce come un’operaia in catena di montaggio; facevo appena in tempo a dirle “Non c’è bisogno che le incarti”, ce la facevo per un soffio. A volte non ce la facevo neanche, per cui alla fine stavo attenta e glielo dicevo prima ancora che battesse lo scontrino che non serviva incartare, come una bambina saccente. Continua a leggere

Racconto per “Narrating the crisis”

Un racconto scritto per questa foto, all'interno di un'iniziativa molto bella:
Domenica 27 marzo l'inaugurazione della mostra di testi e foto a
CASA DEL QUARTIERE
Via del Pigneto, 22 (Ex Serono) – Roma
Apertura della mostra dalla mattina, con letture dal vivo a partire dalle 17.30.

Questo è il mio racconto:

"SICUREZZA SUL LAVORO. LA PRETENDE CHI SI VUOLE BENE"

Lavoro per vivere.
Non sempre. Continua a leggere

Piazza Raudusculana: un racconto per il 19 marzo

Un racconto pubblicato su La poesia e lo spirito e su Unonove.
I miei commenti stavolta sono in coda al brano.

Piazza Raudusculana

La madre lo aveva aiutato a preparare due valige. Una grande, e una più piccola. Nella grande c’erano anche i dizionari di italiano e latino. Macigni neri. E poi tutto l’occorrente di vestiario e cartoleria per un autunno, un inverno e una primavera in collegio, a Perugia.
Era lontanissima Perugia dalla provincia di Reggio Calabria, nel 1934. Era come andare talmente lontani che anche le facce della gente non erano più quelle. Visi e capelli strani, idioma diverso.
Un treno da prendere, a Rosarno. E bisogna cambiare, prima a Roma e poi a Orte. Ma a Roma lo viene a prendere suo fratello Vincenzo perché suo padre gli ha scritto: gli ha mandato un cartolina postale, stamattina. Che si trovi domani a Stazione Termini alle nove a prendere suo fratello Totò che viene col treno notturno, e mi raccomando puntuale. Continua a leggere

La mia festa per l’Unità d’Italia

Un pezzo messo stamattina di getto su unonove per l’anniversario dell’Unità. Va detto che qualsiasi festa laica mi rallegra.

Uniti non uni

Certo, è chiaro che l’Italia dovesse unificarsi. Tornare unita dopo esserlo stata per centinaia di anni sotto l’impero romano, che ne aveva unificati gli idiomi al punto da lasciarne per sempre un lascito culturale condiviso, al di là delle ovvie differenze. Ma le possiamo considerare delle ricchezze le nostre differenze, o no? Possiamo miglioraci nello sforzo stesso del venirsi incontro, o no? Io credo di sì.
Ciò detto, il 17 marzo è l’anniversario di una guerra civile di occupazione delle truppe dello stato sabaudo su quelle dello stato borbonico. Festeggiamola idealmente ma per carità usciamo dall’agiografia risorgimentale, TUTTA l’agiografia.
Questo è un dialogo che ho scritto e che fa parte del mio romanzo sul brigantaggio meridionale in cui c’è una MINUSCOLA parte ambientata a Vienna, un contraltare nobiliare alla mia storia di cafoni. Esprime la mia visione antiagiografica sull’unificazione dell’Italia.  Continua a leggere

Un altro estratto del mio romanzo sul nuovo numero di Loop Magazine!

Sono felice e orgogliosissima di essere parte del nuovo (splendido!) numero di Loop da oggi in edicola!

L’ho fatto con un pezzo sull’unità d’Italia, traendolo dal mio nuovo romanzo di cui ho parlato già qui.

MICHELINA DI CESARE E FRANCESCO GUERRA, L’AMORE AI TEMPI DEL BRIGANTAGGIO POSTUNITARIO

TERRA DI LAVORO, ATTUALE ALTO CASERTANO – 30 MARZO 1862

L’alba finalmente. Muscoli contratti si flettono, il sangue punge nelle arterie, la pelle delle guance brucia, è ora di alzarsi e pisciare. Tra i compagni troppi colpi di tosse. Hanno marciato fino alle due del mattino, e dormito uno contro l’altro per cinque ore sotto la tettoia di un pascolo.
Per quasi tre mesi Don Gennaro gli ha messo a disposizione una masseria d’appoggio vicino alla sua parrocchia, a Veroli, nello Stato Pontificio. Guadato il fiume Garigliano sotto Sant’Apollinare, a metà dicembre erano fuori dal Regno D’Italia: al sicuro dall’esercito piemontese, dai Regi Carabinieri di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, e anche da quei traditori della Guardia Nazionale: gente che si è venduta per una paga da quattro soldi ai Savoia, rinnegando Francesco II di Borbone, Re di Napoli, Re delle Due Sicilie. Gente che pensava che Garibaldi era un galantuomo e che gli avrebbe dato le terre: le terre ai contadini. Garibaldi che odia il Papa, che vuole spogliare di tutto Santa Romana Chiesa, espugnare Roma e fondare la repubblica, con Mazzini.
Le terre ai contadini, sì. Bravo chi ci aveva creduto. I nuovi padroni erano uguali ai vecchi, ma volevano più tasse. Volevano la leva obbligatoria, i maschi portati fuori di casa per anni: braccia rubate alle famiglie in tempi di fame. Volevano le fabbriche e le commesse reali passate al nord. Ma Re Francesco sarebbe tornato, avrebbe cacciato i piemontesi. Napoleone III di Francia stava con Roma, col Papa, e Pio IX stava con Re Francesco, se lo teneva al Quirinale. Si sarebbero appattati, sono tutti cugini, i Savoia coi Borbone, anche se si trattano peggio che cani. Bisogna solo tenere duro, far capire ai piemontesi che l’esercito del Regno delle Due Sicilie c’è ancora, che è costretto a vivere nella macchia, sì: ma è un esercito. Devono rapinare, rubare e quindi anche ammazzare, ma è per far mangiare la truppa. E li chiamano pure briganti. Invece sono un esercito nascosto e leale, che lotta per il proprio Re in esilio, in attesa del suo ritorno. Evviva Re Francesco!
Si chiamano tutti e due Francesco, lui e il suo Re. Ma lui di cognome fa Guerra: è lo destino.
Nonostante non tenga tanto caldo lui indossa ancora la sua giacca blu coi gradi di capitano, quella della divisa borbonica, anche se dicono che quell’esercito non esiste più. Guai a chi gliela tocca, sia pure sporca e rovinata com’è.
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“Istantanee sbagliate”

Una narrazione per Lpels (ora anche su unonove), a cui tengo molto. Questa è vita.

Istantanee sbagliate

Questo gioco che faccio ogni tanto: penso che vorrei vedere una Polaroid di me, scattata qualche anno dopo. Una foto del futuro presa magari di corsa, sfocata, con le figure piccole ma riconoscibili, che mi sveli chi sarò diventata, con chi starò, in che luogo.
Così ogni tanto ci inciampo in queste immagini, in quelle illusorie, beffarde. Come quella del mio ultimo compleanno ad agosto, a Stoccolma: la bimba dai capelli rossi in braccio, tenuta come figlia, amata come figlia. L’avessi vista sedici anni fa quell’immagine, poco dopo il mio matrimonio, ne sarei stata felice. Mi sarei detta che bella donna che sei diventata, con il tuo marito svedese. Siete a Stoccolma, chissà se ci abitate o se siete lì solo in vacanza, ma questa è di certo la tua bambina, così uguale a lui; a te non assomiglia, ma non importa: guarda quanto è carina, guarda con che felicità la tieni in braccio, come una Madonna col bambino. E invece tuo marito è un ex, e questa figlia non è la vostra, ma la felicità di qualcun’altra; anche se la tieni in braccio e con amore, anche se lei ti vuole bene.
Quell’altra foto, vista domenica scorsa all’Ikea. Sorridevi misurando scrivanie con il metro di carta, ti grattavi una tempia leggendo se il lavaggio fosse a secco o in lavatrice. Accanto a te, con la lista degli articoli e la matitina di legno, l’uomo che hai amato più di chiunque altro, quello per cui hai saputo rivoluzionare tutto anche scoccati i quarant’anni. Continua a leggere

Il mio San Valentino

Uscito oggi su unonove un racconto un po’ blasfemo per San Valentino, che potete sia leggere che ascoltare dall’interpretazione spettacolare che ne ha fatto Anna Costalonga [grazie Anna!!!]. Uso l’aggettivo “blasfemo” per semplicità e comodità: la blasfemia per me è ben altro, soprattutto vivere la fede senza aver capito nulla del lascito di Gesù di Nazareth. Ad esempio, quanto sia importante il benessere del corpo. Eccolo qui:

Oh padre!

La domenica mattina fa sempre il bagno, con calma. È l’unico giorno in cui salta il rosario delle nove e va solo alla messa, quella delle undici, così vede se ci sono nuora e nipote. Suo figlio non c’è mai, non va più. Prega per lui ogni giorno, che trovi la fede. Almeno due avemarie. Ogni tanto glielo dice al telefono ma lui resta zitto, infastidito.
Ma non importa, perché lei prega per tutti e due, oh sì che prega. Da quando non c’è più Osvaldo finalmente a casa fa come vuole lei, ché pure suo marito a messa ci veniva malvolentieri. Se pioveva diceva che aveva i reumi, però poi andava giù al bar a guardare le partite dopo pranzo, pace all’anima sua. L’ha lasciata sola presto, c’era ancora Portobello in televisione – il giovedì, le pare – quando gli è preso l’infarto.
È rimasta sola in casa, la casa grande. L’ha tutta lucidata e da allora gira sempre con le pattine ai piedi. Le persiane le tiene basse, non entra la polvere, è tutto pulito, lucido. Tutto come decide lei. Perché anche se non c’è nessuno, non è mai sola: c’è Dio con lei, e Gesù e la Madonna, e soprattutto i santi e i beati. Soprattutto Lui.  Continua a leggere