Un altro estratto del mio romanzo sul nuovo numero di Loop Magazine!

Sono felice e orgogliosissima di essere parte del nuovo (splendido!) numero di Loop da oggi in edicola!

L’ho fatto con un pezzo sull’unità d’Italia, traendolo dal mio nuovo romanzo di cui ho parlato già qui.

MICHELINA DI CESARE E FRANCESCO GUERRA, L’AMORE AI TEMPI DEL BRIGANTAGGIO POSTUNITARIO

TERRA DI LAVORO, ATTUALE ALTO CASERTANO – 30 MARZO 1862

L’alba finalmente. Muscoli contratti si flettono, il sangue punge nelle arterie, la pelle delle guance brucia, è ora di alzarsi e pisciare. Tra i compagni troppi colpi di tosse. Hanno marciato fino alle due del mattino, e dormito uno contro l’altro per cinque ore sotto la tettoia di un pascolo.
Per quasi tre mesi Don Gennaro gli ha messo a disposizione una masseria d’appoggio vicino alla sua parrocchia, a Veroli, nello Stato Pontificio. Guadato il fiume Garigliano sotto Sant’Apollinare, a metà dicembre erano fuori dal Regno D’Italia: al sicuro dall’esercito piemontese, dai Regi Carabinieri di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, e anche da quei traditori della Guardia Nazionale: gente che si è venduta per una paga da quattro soldi ai Savoia, rinnegando Francesco II di Borbone, Re di Napoli, Re delle Due Sicilie. Gente che pensava che Garibaldi era un galantuomo e che gli avrebbe dato le terre: le terre ai contadini. Garibaldi che odia il Papa, che vuole spogliare di tutto Santa Romana Chiesa, espugnare Roma e fondare la repubblica, con Mazzini.
Le terre ai contadini, sì. Bravo chi ci aveva creduto. I nuovi padroni erano uguali ai vecchi, ma volevano più tasse. Volevano la leva obbligatoria, i maschi portati fuori di casa per anni: braccia rubate alle famiglie in tempi di fame. Volevano le fabbriche e le commesse reali passate al nord. Ma Re Francesco sarebbe tornato, avrebbe cacciato i piemontesi. Napoleone III di Francia stava con Roma, col Papa, e Pio IX stava con Re Francesco, se lo teneva al Quirinale. Si sarebbero appattati, sono tutti cugini, i Savoia coi Borbone, anche se si trattano peggio che cani. Bisogna solo tenere duro, far capire ai piemontesi che l’esercito del Regno delle Due Sicilie c’è ancora, che è costretto a vivere nella macchia, sì: ma è un esercito. Devono rapinare, rubare e quindi anche ammazzare, ma è per far mangiare la truppa. E li chiamano pure briganti. Invece sono un esercito nascosto e leale, che lotta per il proprio Re in esilio, in attesa del suo ritorno. Evviva Re Francesco!
Si chiamano tutti e due Francesco, lui e il suo Re. Ma lui di cognome fa Guerra: è lo destino.
Nonostante non tenga tanto caldo lui indossa ancora la sua giacca blu coi gradi di capitano, quella della divisa borbonica, anche se dicono che quell’esercito non esiste più. Guai a chi gliela tocca, sia pure sporca e rovinata com’è.
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“Istantanee sbagliate”

Una narrazione per Lpels (ora anche su unonove), a cui tengo molto. Questa è vita.

Istantanee sbagliate

Questo gioco che faccio ogni tanto: penso che vorrei vedere una Polaroid di me, scattata qualche anno dopo. Una foto del futuro presa magari di corsa, sfocata, con le figure piccole ma riconoscibili, che mi sveli chi sarò diventata, con chi starò, in che luogo.
Così ogni tanto ci inciampo in queste immagini, in quelle illusorie, beffarde. Come quella del mio ultimo compleanno ad agosto, a Stoccolma: la bimba dai capelli rossi in braccio, tenuta come figlia, amata come figlia. L’avessi vista sedici anni fa quell’immagine, poco dopo il mio matrimonio, ne sarei stata felice. Mi sarei detta che bella donna che sei diventata, con il tuo marito svedese. Siete a Stoccolma, chissà se ci abitate o se siete lì solo in vacanza, ma questa è di certo la tua bambina, così uguale a lui; a te non assomiglia, ma non importa: guarda quanto è carina, guarda con che felicità la tieni in braccio, come una Madonna col bambino. E invece tuo marito è un ex, e questa figlia non è la vostra, ma la felicità di qualcun’altra; anche se la tieni in braccio e con amore, anche se lei ti vuole bene.
Quell’altra foto, vista domenica scorsa all’Ikea. Sorridevi misurando scrivanie con il metro di carta, ti grattavi una tempia leggendo se il lavaggio fosse a secco o in lavatrice. Accanto a te, con la lista degli articoli e la matitina di legno, l’uomo che hai amato più di chiunque altro, quello per cui hai saputo rivoluzionare tutto anche scoccati i quarant’anni. Continua a leggere

Il mio San Valentino

Uscito oggi su unonove un racconto un po’ blasfemo per San Valentino, che potete sia leggere che ascoltare dall’interpretazione spettacolare che ne ha fatto Anna Costalonga [grazie Anna!!!]. Uso l’aggettivo “blasfemo” per semplicità e comodità: la blasfemia per me è ben altro, soprattutto vivere la fede senza aver capito nulla del lascito di Gesù di Nazareth. Ad esempio, quanto sia importante il benessere del corpo. Eccolo qui:

Oh padre!

La domenica mattina fa sempre il bagno, con calma. È l’unico giorno in cui salta il rosario delle nove e va solo alla messa, quella delle undici, così vede se ci sono nuora e nipote. Suo figlio non c’è mai, non va più. Prega per lui ogni giorno, che trovi la fede. Almeno due avemarie. Ogni tanto glielo dice al telefono ma lui resta zitto, infastidito.
Ma non importa, perché lei prega per tutti e due, oh sì che prega. Da quando non c’è più Osvaldo finalmente a casa fa come vuole lei, ché pure suo marito a messa ci veniva malvolentieri. Se pioveva diceva che aveva i reumi, però poi andava giù al bar a guardare le partite dopo pranzo, pace all’anima sua. L’ha lasciata sola presto, c’era ancora Portobello in televisione – il giovedì, le pare – quando gli è preso l’infarto.
È rimasta sola in casa, la casa grande. L’ha tutta lucidata e da allora gira sempre con le pattine ai piedi. Le persiane le tiene basse, non entra la polvere, è tutto pulito, lucido. Tutto come decide lei. Perché anche se non c’è nessuno, non è mai sola: c’è Dio con lei, e Gesù e la Madonna, e soprattutto i santi e i beati. Soprattutto Lui.  Continua a leggere

“Di morire libera”, il mio romanzo su Michelina Di Cesare

Qualche mese fa ho finito di scrivere un romanzo su una delle figure più affascinanti di quello che viene comunemente definito “brigantaggio post-unitario”, una donna che si chiama Michelina Di Cesare.

La definizione “brigantaggio post unitario” è una convenzione in larga parte dovuta a un bisogno sabauda di confinare al banditismo un fenomeno di insurrezione sociale all’invasione delle truppe dell’esercito Savoia nell’Italia meridionale, in quel processo di accaparramento delle ricchezze del Regno delle Due Sicilie che chiamiamo oggi “Unità d’Italia”. Lungi da me pensare che avesse un senso tenere frammentato un paese che al di là delle proprie diversità ha certamente un humus comune, ma penso che la Storia di questa fase del paese andrebbe riscritta, cambiando anche un po’ della toponomastica nazionale. “L’unificazione” è stato un processo occupazione del Regno delle Due Sicilie da parte del Regno Savoia che ha portato a una guerra civile durata quasi dieci anni, con una repressione feroce di intere masse contadine. Ci sono decine di ottimi volumi sull’argomento, quindi non mi dilungherò su questo, limitandomi a spiegare che ho scoperto questa “Storia” una sera di settembre del 2003, a una festa di Liberazione, grazie allo storico Enzo Di Brango, e da allora ho elaborato la volontà di conoscere e raccontare la vita di Michelina. Qualche anno di letture e di ricerche di archivio, con l’aiuto inestimabile di Valentino Romano, e le dritte di Maurizio Restivo, due storici di grande levatura dell’argomento, in particolare di brigantaggio al femminile, e sono riuscita a scrivere questo romanzo, che spero di pubblicare presto. Un primo estratto è ora su unonove, un altro tra una decina di giorni per Loop Magazine.  In questa storia, nella mia Michelina Di Cesare, più che il cuore ci ho messo tutta l’anima. Se sono riuscita a rendere giustizia a lei e agli altri poveri disperati “briganti” non lo so, posso solo dire che ci ho provato con grande rispetto e amore per le loro vite, la loro rabbia e il loro futuro defraudato.

La battaglia vinta, la guerra persa: l’altra storia dell’unità d’Italia

[L’uomo a destra nella foto è Francesco Guerra, marito di Michelina Di Cesare]

Alto casertano, 30 agosto 1863

Mattina presto.
Sono quasi un centinaio. Solo per i cavalli sembrano davvero un esercito. Criniere scrollate, sbuffi e nitriti, colli potenti che brucano l’erba bruciata di fine estate, musi tumidi che si tuffano nel fontanile a turno. Puzza di urina e sterco di cavallo, ronzio di mosche e tafani. Non fa ancora caldo. Sono quasi un centinaio. Francesco con una scusa si è allontanato di duecento metri dal campo per guardarli nella prospettiva controluce. Quelle figure di uomini, con qualche donna che da qui non si distingue: stesso vestiario, stesso portamento. I nuovi sono troppi, almeno una ventina. Non sono affidabili. È la prima volta, potrebbero aver paura. Potrebbero pentirsi subito, scappare, tradire. Nessuno gli ha ancora offerto soldi per restare, bisognerà vedere ciò che fanno oggi a Galluccio, se ci mettono il cuore e la testa. Se capiscono che significa. Alcune facce Francesco già lo sa che durano poco, niente: già stasera se ne torneranno a casa, e domani saranno dai Carabinieri a piangersi nelle sottane. Diranno che sono stati costretti con la forza, che li hanno minacciati, che hanno minacciato le famiglie. Quel De Lorenzo, quel Corbo, quel Dicivita, ad esempio: ci scommetterebbe dieci ducati ciascuno che quelli se la squagliano, come li vedesse farlo ora. Ma non importa. Oggi sono cento, è un grande giorno. Continua a leggere

Una recensione di “La seduzione rudimentale” di Emilia Dagmar

Ho pubblicato su Slowcult come libro del mese, e su La poesia e lo spirito, una recensione di una breve raccolta di racconti di questa autrice italo-svedese, Emilia Dagmar, che mi ha davvero colpita… Forse dipende dal fatto che le nostre scritture un po’ si assomigliano, anche se trovi i suoi temi decisamente troppo perturbanti per me.

Comunque eccola qui:

“La seduzione rudimentale” di Emilia Dagmar, SenzaPatria Editore, € 5.00

Qualcuno mi ha riferito che uno scrittore italiano che stimo molto disse che sarebbe stato un bene sodomizzare Melissa P. con “Lolita” di Nabokov. È una storia che gira da un po’, e non so se l’abbia detto o meno, ma se l’ha fatto sarà stata solo una boutade tra amici: è una persona da sentimenti solitamente eleganti. Non sono riuscita a finire “Lolita” (e neanche “100 colpi di spazzola”, per la verità), ma ho il sospetto che se questo scrittore avesse letto “La seduzione rudimentale” di Emilia Dagmar, al suo esordio letterario con Senza Patria Editore, forse gliel’avrebbe consigliato (magari senza una cura sodomita). Perché questo romanzo breve in forma di episodi riesce a rendere letteratura l’indicibile, narrando attraverso una serie di rapporti umani filtrati nell’imbuto delle esperienze sessuali un intero mondo sentimentale al femminile. Continua a leggere

Un’intervista di Francesca Giannetto per il suo blog “Frailibri”

Francesca Giannetto è una donna molto speciale per molte persone, e io sono una di queste. Non solo per il suo sapere letterario e il suo potente naso da editor, per essere una grande comunicatrice di culture, o per la sua dolcezza, ma per una ragione molto personale che me la rende (una volta per sempre) unica: Francesca è stata la prima persona sul pianeta che, non conoscendomi di persona, ha voluto incontrarmi per farmi i complimenti su quello che scrivevo (le era piaciuto un racconto pubblicato all’epoca da FaM, “Tampone“che scelse anche di pubblicare sulla rivista Toilet di cui si occupa). In sintesi, è stata la prima persona non amica, parente o conoscente che mi ha manifestato il suo apprezzamento. Ovvero: la prima fan non si scorda mai.

Per fortuna Francesca continua a apprezzare quello che scrivo, e per questo motivo ha voluto inaugurare con me una nuova categoria del suo blog Frailibri, a spasso fra libri e librerie, quella delle interviste agli scrittori. Quindi è con immutato edonistico e narcisistico piacere che rimando al link dell’intervista. Enjoy.

Sempre a proposito del #rogodeilibri, e dello sciopero della Fiom..

… con una liaison che solo la grande penna/anima di Wu Ming (il numero uno, nello specifico) poteva sintetizzare con questa spettacolare, caleidoscopica, vibrante sintesi e esaustività. Condivido anche gli a capo, potete leggere qui, se potete arrivate fino alla fine, una chicca su Speranzon che mi ha fatto rotolare dal ridere vi compenserà.

Un vecchio pezzo su Via Tasso per la giornata della memoria

Ho ritrovato questo vecchio pezzo uscito su L’Unità nell’anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, il 24 marzo 2005. Sono passati sei anni, e Elvira Paladini purtroppo due estati fa ci ha lasciati, ma conservo la sensazione dell’orrore incredulo quando mi ero documentata per questo pezzo, che spero resti ancora impigliato e riconoscibile in queste righe.

ABITARE LA TORTURA
Celle di detenzione e tortura nazista di via Tasso ancora abitate da privati

Via Tasso sale da Manzoni e sembra infrangersi contro una muraglia, altissima. Viene da alzare gli occhi e cercare il cielo, che oggi è di un azzurro sfacciato. Quando arrivo al portone del Museo Storico della Liberazione di Roma dalla finestra del palazzo di fronte una radio suona “Disco inferno” e mi raggela.
Questa quieta palazzina borghese anni ’20 era della famiglia Ruspoli, che la affitta all’ambasciata tedesca. Dal ’43 fino al giugno del ’44 diventa il Quartier Generale della Gestapo: è qui che Kappler il 28 settembre prende i 50 chili di oro dagli ebrei di Roma. Di fatto, glieli ruba.
È in questo edificio che le SS attrezzano il carcere in cui rinchiudono e torturano partigiani, comunisti, ebrei, omosessuali, anarchici, sindacalisti e persino sacerdoti. Uomini a volte eroici e impavidi, ma più spesso terrorizzati e stremati, ammassati in sei-sette in minuscole celle ricavate da camerette con le finestre murate, senza aria e quasi senza luce, continuamente picchiati e torturati, infine giustiziati, alcuni alle Fosse Ardeatine. Continua a leggere

“They porn. You don’t.” nuovo pezzo per unonove

Un mio vecchio pezzo che nessuno aveva voluto pubblicare fino ad ora 😉 Ho deciso di postarlo su unonove perché mi sta simpatico.. un po' acidino, ma mi fa anche abbastanza ridere… Sono contenta perché dopo che il mio amico e collega Ivan Arillotta l'ha postato sulla sua bacheca di facciabuco, in meno di sei ore è stato condiviso su sessanta altre bacheche. Sono soddisfazioni!

Eccolo qui:

They porn. You don't.

La sottomissione di You Porn. Guardi un centinaio di filmati e li hai visti tutti, per sempre.
Le donne di YP sono a volte eccitate, a volte no, ma nessuna ha mai un orgasmo. Ci si avvicinano a volte, ma di solito fanno le scimmiette, rispondono all’implicito comando del “questo ti piace”: quando lui glielo mette in bocca, quando cambia posizione, quando passa al culo. Tutto un crescendo di eccitazione. Di chi? Dell’uomo, degli uomini, che alla fine, infatti, godono. Di solito, sulla faccia delle donne che non sono però scontente di aver fatto tanta ginnastica senza venire mai, no no, il momento in cui l’uomo gode e loro non hanno nessuno stimolo tattile per raggiungere un orgasmo e quindi quasi nessun possibilità di averlo, ah beh, allora si che sono felici queste donne. E  appagate, e sazie. Certo.

Le donne di YP infatti non devono godere ma fare finta, come quelle per strada. Quello che deve andare in onda è la simulazione di un'uguaglianza del piacere. In realtà nella finta glorificazione delle tette e della fica, è il maschio che trionfa, è lui il reuccio, per quanto si veda quasi solo il suo uccello – per simulare che lui sia il protagonista. Nei filmati di You Porn è tutta una soggettiva al maschile, la donna accessorio attrezzo consenziente e voglioso di piacere. I maschi a parte avere un pisello dignitoso non hanno grandi requisiti. Alcuni scopano con i tubolari bianchi ai piedi, neanche per la telecamera sanno sfilarsi i calzini. Continua a leggere

“Membrana memoria di pesce” il mio primo racconto per unonove.org

Ho pubblicato il mio primo racconto per unonove. Ce l’avevo lì da un po’, mi mancava un po’ il coraggio, ma poi ho deciso che mi piaceva, ha credo una sua forza sgradevole che mi piace molto, che mi assomiglia molto. Sgradevole, ma affidabile. Per questo ecco a voi “Membrana memoria di pesce“, ladies & gents.

Membrana memoria di pesce

Che tu non dovevi vedermeli i piedi, altrimenti non riuscivo a godere. Come se qualsiasi sfacciataggine sessuale fosse concessa purché tu non scoprissi la radice del mio più profondo piacere, guardando le mie estremità. Lì si annidava e si annida il mio segreto, un segreto che io stessa non conosco. Ma niente piedi, altrimenti non riesco a venire.
Cosa c’è in quelle dita: forme cilindriche coperte di pelle e unghiute, un po’ prensili, dinoccolate, col collo che si inarca naturale come fatto per andare sulle punte. Cosa raccontano se li guardi durante il mio piacere, cosa puoi rubarmi per sempre, solo vedendolo? Continua a leggere