“La frattura”, l’unico prezioso romanzo di Giovanna De Angelis

“Finalmente” ho pensato quando ho avuto qualche mese fa la bozza del romanzo di Giovanna De Angelis. “Per fortuna”, ho aggiunto.
Ero certa che avendo saputo sempre trovare parole così giuste per gli altri, ne avrebbe avute anche per sé, per (con) quel suo mondo turbolento e appassionato dentro, a volte grumoso, rabbioso, e anche libero, retto, ironico, smascherante. Tutti i re erano sempre nudi per Giovanna, nessun ossequio, solo Veritas; quella che ho trovato qui.

Mi aspettavo un buon romanzo, qualcosa che avrei letto con occhi velati e indulgenza, con una dolcezza che l’avrebbe probabilmente irritata. Questa idea è durata un soffio, neanche un paio di pagine. È finita perché “La frattura” è Letteratura, non altro.
Lo è per lo spazio largo di ogni personaggio, delineato come un piano sequenza filmico, coerente e sfaccettato, debole e forte, umano, reale; per una storia veritiera che rende così vicine le nostre ansie interiori, rivelando quanto ognuno di noi stia dentro se stesso con in mano un termometro della felicità sentimentale così fragile, e che faccia dipendere da quel grado la sua capacità di sopportare o meno il proprio vivere, persino il proprio morire.

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Percussioni Ketoniche: intonati come campane

Il doppio concerto “Campane e Sonus” delle Percussioni Ketoniche all’Auditorium di Roma il 22 dicembre scorso (dopo un’ulteriore matinée qualche giorno prima) ha decisamente sciolto con vibrazioni di energia primordiale e liberatoria la cornice elegante dalla Sala Studio, trascinandola in una materia colante e lavica. Il gruppo creato e diretto da Giulio Costanzo (M.° del Conservatorio di Campobasso), e composto da molti suoi ex allievi di ormai acclarato successo ha portato in scena un concerto ottimamente costruito, ricco di variazioni e musicalità, nonostante la melodia fosse affidata esclusivamente alle marimbe, e in modo obliquo alle campane.
Il progetto di Costanzo nasce in effetti molto dall’incontro con Marinelli, attuale erede e titolare dell’omonima antica Fonderia di Agnone, che esporta campane in ogni angolo del pianeta. Marinelli, sul palco a fine spettacolo, spiega che era in cerca del partner giusto per far cantare finalmente –e intonatamente– le sue campane, e che Costanzo ha accettato e superato la sfida, creando melodie e suoni giusti per ottenere armonia dal metallo. Ed è con le campane che comincia il concerto, per poi ingrandirsi a prendere toni sempre più ampi anche grazie all’elettronica gestita da Max Fuschetto, ma il concerto non punta solo al crescendo, come spesso avviene per le performances di percussioni, ma alla variazione di temi, ritmi, strumenti, esecuzione, e ovviamente alla bravura dei musicisti tra cui spiccano soprattutto uno strabiliante Antonio Armanetti, premiato giovanissimo con il Premio delle Arti per le percussioni, Roberto Napoletano, e il batterista Oreste Sbarra, che in modo sanguigno e deliziosamente mediterraneo, ha chiesto a fine concerto, dal palco, la mano della sua fidanzata, trasformando ciò che restava dell’elegante Sala Studio in una festa di paese.

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Searching for Jupiter, il nuovo album di Magnus Öström: la bellezza che resta dopo l’Esbjörn Svensson Trio

Inauguro con questo pezzo la mia collaborazione con il magnifico sito Jazzitalia, per il quale mi occuperò prevalentemente della musica che preferisco in assoluto, il modern jazz scandinavo. Non potevo  che cominciare con quello che per è uno dei dischi più belli della storia del jazz… godetevelo!


C’era una volta l’Esbjörn Svensson Trio, una band che aveva bruciato tappe e sbriciolato distanza tra jazz e rock/pop, inventando una terza via dove l’eleganza rauca e sporca dell’una si fondeva senza punti di sutura nella potenza ruvida o nella giocosità lieve dell’altra; un luogo musicale nuovo che aveva e ha raccolto come un paziente rastrello fans eterogenei, dai puristi del bop agli amanti del post rock, con le dita dei musicisti del trio, Esbjörn Svensson al piano, Magnus Öström alla batteria e Dan Berglund al contrabbasso, a carezzare qualsiasi suono, dal più melodico al più dissonante, senza cesure tonali o di ispirazione. Una band che come nessuna altra aveva bucato il diaframma del proprio confine europeo per essere acclamata in tutto il mondo come la migliore formazione jazz del momento.

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Tonbruket e Ane Brun, energica raffinatezza scandinava all’Auditorium di Roma, 24 novembre 2013

Sold out domenica scorsa all’Auditorium Parco della Musica di Roma l’unica data italiana della norvegese Ane Brun con il quartetto svedese Tonbruket, la ventiduesima di un lungo tour europeo che li ha portati in tutte le città più importanti d’Europa.

 Amata da Peter Gabriel, che l’ha voluta al suo fianco sia in studio che live – così come da Ani Di Franco – Ane Brun è una star assoluta in Scandinavia. In dieci anni ha composto e pubblicato ben sei album in studio, realizzato due live, e suonato decine di concerti ovunque. Per il tour del 2013 ha scelto di essere supportata da una delle formazioni jazz più importanti della scena scandinava (e quindi, europea): Tonbruket, un quartetto nato per volontà di Dan Berglund, contrabbassista del trio jazz più premiato degli anni duemila per l’innovazione del jazz contemporaneo, l’Esbjörn Svensson Trio (E.S.T.).

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Luca Aquino in concerto alla Casa del Jazz

Luca Aquino in concerto alla Casa del Jazz, Roma, 9 novembre 2013

A volte la cifra del piacere di un concerto è proprio nell’atmosfera morbida, intima e vicina che i musicisti riescono a creare con il pubblico, come fosse la magia di una suonata improvvisata in una baita montana un istante prima che qualcuno dica “buonanotte”, mentre poi invece si resta in piedi a fare musica fino a mattina. E sai che quello che hai vissuto era per pochi, e irripetibile. La performance di Luca Aquino alla Casa del Jazz ha assomigliato a questo: c’era un pubblico ammirato, ma non solo ammirante; c’era un partecipare a qualcosa di personale e gioioso. Il tutto in verità ben lontano da qualsiasi possibile idea di casereccio: la musica è stirata in ogni direzione, come l’album da cui è tratta, aQustico, uscito per la Tùk Music di Paolo Fresu. Da raffinata a animale, da freettosa a standard, da spernacchiata a dolcissima, una galoppata in molti generi dove infatti emerge più la varietà che una stretta originalità compositiva delle melodie, che spesso rispettano criteri di piacevolezza più che di innovazione, facendo brillare maggiormente esecuzione e interpretazione.

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Primo novembre

Ho scritto un post per i miei amici e conoscenti di facebook, riferito a quanto mi accingo a fare oggi, primo novembre 2013. Si tratta di qualcosa di molto personale, che non avrei mai creduto adatto a un luogo "pubblico" come questo mio sito personale.

Tuttavia, non solo la quantità sorprendente di apprezzamenti e commenti che ho ricevuto mi ha fatto pensare di postarlo qui, ma soprattutto la qualità di ciò che mi è stato manifestato mi ha fatto pensare che potesse avere un suo valore più ampio. La cosa che mi ha più colpito è stato il sentimento di amore universale che quanto ho espresso ha saputo generale, non solo ciascuno per sé, ma ciascuno per l'altro. Ho pensato che fosse una cosa rara e bella, che meritasse un suo spazio qui.

PRIMO NOVEMBRE

Poco dopo Canale, quello spiazzo erboso sulla sinistra, dove c’è un’edicola della Madonna, col tettuccio spiovente di legno. È lì che ci siamo fermati, la mattina del 25 agosto 1981, per fare inversione di marcia e tornare a casa. Avevamo dimenticato di prendere il tuo vestito blu, quello acrilico coi fiorellini, che prediligevi. Avevamo quasi inchiodato sulla provinciale, imprecando per la dimenticanza, quasi fosse grave fare tardi all’appuntamento con il niente all’ospedale di Belluno dove eri da poco morta, mamma.
Avevo subito pensato che non fosse il vestito giusto per una bara, avrei voluto che fosse di un tessuto in grado di decomporsi con te, sbriciolarsi in nulla assieme al tuo viso, la tua pelle, le tue ossa. Non qualcosa che anche dopo mille anni sarebbe rimasto integro, persino nei suoi colori invisibili nel buio della bara. Ed è stato un sollievo, adesso che ti ho fatta cremare, sapere che quel vestito non ti è sopravvissuto, che è cenere con te, nella piccola urna dove ci sono i tuoi resti.
Sto venendo a prenderti mamma.

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Il nuovo romanzo di Paola Ronco: La luce che illumina il mondo

Oppure, piuttosto, quella che non ci riesce: né il mondo, né i suoi abitanti. Perché il cielo è coperto da nuvole di pioggia instancabile, pioggia che diventa fango e sembra anzi colare già in questa forma vischiosa e inarginabile, maligna, priva di speranze.
Un set abbastanza filmico per questa ucronia di Paola Ronco, alla sua seconda prova su carta dopo il suo romanzo di esordio, “Corpi estranei” uscito con Perdisa, che avevo recensito nel 2009; per "La luce che illumina il mondo" l'editore è Indiana, e troviamo una Ronco più cupa e no-future, con un respiro e uno sguardo ampi su un mondo che conosciamo fin troppo bene. Un’Italia squallida e penosa, di cui non ci vengono risparmiati i particolari, dove ogni parte fa il suo gioco, a tratti disumanizzandosi.

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Sorrentino omaggia Fellini, ma spreca bellezza

Su questo blog non parlo quasi mai di cose che non ho apprezzato. Sono sensitiva e naif, penso sia meglio non immettere negatività nel cosmo, e la critica scatena energie da evitare: per me queste righe sono un piacere gratuito di condivisione con voi, non un mestiere. Ma farò un’eccezione per La grande bellezza di Paolo Sorrentino per due motivi principali: il primo è che alcuni lettori di Tu, quore mi hanno esplicitamente richiesto di scriverla (e alé!); il secondo è perché Sorrentino ha un grandissimo talento, che da solo merita menzione e attenzione. Se fossi la sua zia acida, gli direi di smettere di scrivere i soggetti delle storie che gira, e di cercare piuttosto belle sceneggiature scritte da altri. E l’altra cosa che gli direi, se fossi il suo zio arrogante, sarebbe di cercare di fare meno il fenomeno con la cinepresa, ché ogni inquadratura la gira arzigogolata per far vedere che è bravo e ha le idee, ma così diventa come quei bambini che giocano da soli ma si girano a guardare la mamma per farsi dire che son bravi: se lo spettacolo di marionette è fatto bene, non ti accorgi mai delle mani che muovono i fili. Non sempre la spettacolarità fa cinema, secondo me.

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Dal Film Festival di Setubal

Un festival molto ambizioso per una cittadina così sonnacchiosa.. ma i film erano interessanti.. ne ho scritto per L'Unità. Enjoy.

Bielorussia: finire in cella per aver fatto un film

Si svolge in questi giorni a Setùbal –carina e sonnacchiosa cittadina vicino Lisbona– un festival ambizioso, Festroia, che è arrivato al traguardo della sua ventinovesima edizione. Internazionale ma una vocazione molto europea, presenta una selezione indipendente e accurata di film scelti con curiosità e apertura, con una ricerca di valore artistico non solo nell’immagine ma anche nei contenuti emotivi. Non a caso ritroviamo sia Mika Kaurismäki, con il suo Road North, che soprattutto lo splendido Into the white, del regista norvegese Petter Næss (che abbiamo intervistato qui), uno dei più probabili e meritevoli vincitori della selezione ufficiale di questo festival, presentati entrambi allo scorso Nordic Film Fest di Roma.

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