“Imprigionato nell’istante simultaneo di decollo e atterraggio” di Paul Wu

Immagine di Jessica Lindgren-Wu

Ho conosciuto Paul lo scorso novembre sull’isola di Gotland, proposto da un produttore come direttore della fotografia per girare una sequenza di un mio film. Mi ha colpito immediatamente come persona interessante, buona e misteriosa.
Lungo la strada abbiamo parlato di tante cose finché a un certo punto, mentre il sole mi abbagliava, ho avuto un’intuizione repentina e gli ho chiesto se scrivesse. Paul è rimasto molto sorpreso ma anche intimidito dalla mia domanda inaspettata, e mi ha risposto con cautela che sì, gli piaceva scrivere, anche se… eccetera.
Ma ormai avevo capito che potevo fidarmi dalla mia intuizione. Gli sono stata un po’ addosso ma nicchiava, finché qualche giorno fa ha pubblicato un post su fb che mi ha folgorata. Poche righe dolenti, con un timbro che mi ha ricordato David Foster Wallace, uno di quegli autori che ogni traduttore sogna di interpretare. E gli ho chiesto il permesso di tradurre il pezzo e pubblicarlo qui. Mi ha dato il suo consenso e lo presento oggi a voi, in italiano e in lingua originale. Buona lettura!

Imprigionato nell’istante simultaneo di decollo e atterraggio
Di Paul Wu

Chiudo gli occhi. La schiena contro un muro arancione inondato di buon mattino dalla luce di un sole spagnolo. Nelle mie orecchie il suono del fluttuare delle onde, ampie abbastanza da lasciare una pausa tra il fragore dell’acqua sull’acqua, e quello dell’acqua sugli scogli. Nel mio cuore c’è un grumo di tristezza che sale alle mie palpebre e le fa gonfiare. La persona che guida la meditazione ripete in un inglese non nativo: “L’amore è l’unica cosa che conti. Trova l’amore. Trova la luce dentro di te.”

Dieci volte più freddo. Combatto con un cumulo di rami su un falò che rifiuta di attecchire. Il sole tramonta. Sono determinato a farlo bruciare. Voglio dimostrare qualcosa a me stesso. Che ho perizia manuale. Che ho abilità. Pesto i rami verso il centro del fuoco, che arde appena. Qualche foglia umida prende, e il mio scarpone viene avvolto da fiamme arancioni.

Dieci volte più caldo. Il sole picchia. C’è tutta la famiglia. Siamo tutti e sei per il nostro primo (è davvero il primo?) giro in bicicletta insieme. Un’escursione proprio come ai bei vecchi / brutti vecchi / semplici vecchi tempi. Partiamo con le mountain bikes, circondati da colline aride, brulle tranne che per i bidoni della raccolta differenziata, arbusti in lotta per la sopravvivenza, cactus, e il nostro inattendibile senso dell’orientamento.

Sono fortunato. Non sono un adolescente pugnalato al cuore. Non sono il passeggero disperato di un barcone che solca acque perigliose. Non sono imprigionato in incomprensibili e imperdonabili condizioni di maltrattamento. Non sto vivendo nell’ultima insopportabile fase planetaria di disuguaglianza, crisi climatica, guerra e ingiustizia. Ho una casa, una famiglia. Sono amato. Sono molto fortunato. E tuttavia. Il buio mi avvolge nonostante l’indulgenza dei miei privilegi.

Fisso onde e montagne che sembrano generate al computer nella loro perfezione – è purtroppo questo il moderno termine di paragone. Vedo i devoti accoliti del surf e invidio la loro libertà apparente. Adesivi con scritto “Ho la tavola da surf, possiamo partire” sono attaccati a una massa di camper e altri veicoli, stipati di qualsiasi oggetto utile per surfare. La semplicità di vivere con solo una valigia, un bucato croccante di sole, un solo strato di vestiti. Il nomade in me grida: “Fatemi viaggiare!”. Due uomini giocano con un drone che sfreccia vicino alla montagna diretto al mare. Le loro compagne bevono birra vicino ai camper parcheggiati. Io so a malapena nuotare. Il surf non è un’opzione. La foschia marina trasforma il sole al tramonto in una nebbiosa palla di nostalgia. Sognando la California, California dreaming. Prendere a prestito dischi da una biblioteca di South London e sognare di essere un Beach Boy, poi un hippy, un rocker, un punk e un new romantic e un uomo rinascimentale e una figura mediatica e poi… Cose del passato. Passate da un pezzo.

In mezzo a oscurità, depressione, ansia, avversione per il conflitto, insicurezza, odio di sé, mancanza di senso, inutilità, disperazione, futilità nichilista. A che serve? Perché andare avanti? Ci sono così tante controversie, così tanti conflitti, così tante cose sbagliate nel mondo. Sono utile a qualcosa? Che differenza faccio? Tutto ciò che ho davanti sono decrepitezza e malattia. Cosa c’è da sperare quando tutto sembra già passato? Andrà mai tutto bene di nuovo?

Faccio yoga mattutino e ricordo la prima volta che ho provato questi movimenti, usando un libro di Yoga della Penguin come istruttore. Prima in una stanza giallo smagliante su cui era dipinto un arcobaleno, e poi in una stanza mansardata su cui erano dipinte nuvole e un cielo azzurro. Mia madre mi ha viziato. Mi ha assecondato in tutto. E l’ho lasciata in quella stessa casa, a un paese e due confini di distanza.

Guardo il cielo. Blu. Monocromatico. Il mare freme in lontananza. La meditazione continua e piango per tutto ciò che è stato e avrebbe potuto essere, per tutte le aspettative disattese e tutte le promesse dimenticate. Ci sono dolore e lutto e un senso di sperdutezza che sa di acqua salata.
Le onde si infrangono. Siamo tutti insieme: mia moglie e i miei quattro figli. Corriamo verso un mare calmo su una spiaggia di inconcepibile bellezza. Sento le risate della mia famiglia. I miei figli sono esaltati nel sentirsi in balia della natura. Abbracciano quel momento, che li ricambia. Mia moglie ride mentre un’onda fa diventare dreadlocks le ciocche dei suoi capelli, trasformandola momentaneamente in una creatura marina–fricchettona–dea acquatica. Rivela il suo sé autentico: una forza della natura. Mi sintonizzo sulla sua risata. Voglio conservare questo momento per sempre. Congelarlo e preservarlo. Il sole comincia a tramontare. Abbiamo un’ora di cammino per tornare indietro, lungo tortuose strade di montagna.

Spingo due mountain bikes su per una collina. Fa caldo e la sabbia scivola sotto i miei piedi e sotto le gomme della bicicletta. Sto lasciando andare le lacrime della meditazione. Sto rinunciando al falò. Mi chiedo perché le persone facciano escursioni impegnative mentre io riesco solo a cercare di non inciampare sugli ostacoli del sentiero. Mi chiedo perché voglio sempre scappare. Mi chiedo perché ci sia così tanta tristezza. Così tanta depressione. Mi chiedo dove potrei mai nascondermi. Mi vergogno a essere così incentrato su me stesso. Sento di aver fallito come genitore, nel lavoro, come figlio, come adulto. Le tasse incombono. Il falò sfrigola umido e il fumo si alza funereo. Cosa sono successo e fallimento? Come tardigradi di un falso groviglio quantistico, tutto esiste tanto simultaneamente quanto non. È tutta una questione di fede. E rotazione. Anche la ragione è fallace.

Vedo mio figlio maggiore scomparire dietro alla cresta della collina che sto salendo. Quando arrivo all’apice vedo che c’è un’altra collina oltre questa e scoppio a ridere. Mia moglie mi cammina accanto col nostro figlio più piccolo, lo incoraggia a continuare il cammino. Spingo le due biciclette verso la cima della collina successiva, sperando che arrivi un’inevitabile discesa, dall’altro lato. Quale altra opzione c’è? Sento le risate della mia famiglia all’interno del mio cuore mentre le lacrime gocciano sulla mia guancia e il dolore si scioglie. “Trova la luce dentro di te. Aggrappati a quella luce. Aggrappati a quell’amore. L’amore è l’unica cosa che conti.”

Paul Wu è nato a Glasgow, in Scozia, la città dove sua madre (cino-malese) e suo padre (cino-mauriziano) si sono incontrati da studenti. Ha iniziato a prendere lezioni di danza classica all’età di 18 anni e dopo una carriera decennale come ballerino professionista si è riqualificato come giornalista. Ha lavorato come produttore televisivo e regista principalmente per la BBC realizzando centinaia di film per ONG e enti di beneficenza, viaggiando molto e lavorando con alcune delle persone più vulnerabili del mondo. Ha scritto poesie, racconti e articoli. Vive sull’isola di Gotland, in Svezia, con sua moglie e i suoi figli.

 

Entangled in the simultaneous moments of take-off and landing
By Paul Wu

I close my eyes. My back is against an orange wall bathed in early morning Spanish sunshine. In my ears there is the sound of the surge of waves, large enough to have to wait in-between the crashes of seawater on seawater, seawater on rocks. In my heart is a lump of sorrow which rises to my eyelids and makes them swell. The person leading the meditation repeats in accented English: “Love is all that matters. Find the love. Find the light within you.”

Ten times colder. I fight with a pile of branches on a bonfire that refuses to burn. The sun goes down. I am determined to make the bonfire burn. I want to prove to myself something. That I can be practical. That I can. I stamp the branches down towards the weakly burning core of the fire. Some damp leaves catch and my boot is engulfed in orange flames.

Ten times warmer. The sun beats down. Our family is together. All six of us on our first (can it really be our first?) bicycle ride all together. An excursion just like the good old, bad old, plain old days. We head off on mountain bikes, surrounded by arid hills, barren except for recycling bins, struggling shrubs, cacti and our misplaced sense of direction.

I am lucky. I am not a teenager stabbed in the heart. I am not on a boat desperately crossing treacherous waters. I am not trapped in incomprehensible, inexcusable abuse. I am not at the painful end of inequality, climate crisis, war, injustice. I have a home, a family. I am loved. I am so very lucky. And yet. The darkness comes despite the indulgence of privilege.

I stare at waves and mountains that seem computer-generated in their perfection. That is sadly the new frame of reference. I see the pious surf acolytes and envy their apparent freedom. “Have board, will travel” labels a variety of camper vans and vehicles stuffed with all that is needed. The simplicity of living out of a suitcase, of having the sun crisp dry laundry, of needing less than one layer of clothes. The nomad in me screams: “Let me journey!” Two men play with a drone which whizzes around the mountain towards the sea. Their partners drink beer by the parked camper vans. I can barely swim. Surfing is not an option. Sea mist turns the setting sun into a hazy ball of nostalgia. California dreaming. Borrowing records from a library in South London and dreaming of being a Beach Boy, then a hippy, then a rocker, then a punk and a new romantic and a renaissance man and media figure and then… Things from the past. Long gone.

In the darkness, the depression, the anxiety, the aversion for conflict, the self-doubt, self-hate, the purposelessness, uselessness, despairing, nihilistic pointlessness. What is the point? Why go on? There is so much arguing, so much conflict, so much wrong in the world. What do I contribute to anything? What difference do I make? All that lies ahead is decrepitude and disease. What is there to look forward to when all seems behind you? Are things ever going to be good again?

I do morning yoga and remember the first time I tried these movements – using a Penguin book of Yoga as my guide. First in a bright yellow room painted with a rainbow and then in an attic room painted with a blue sky and clouds. My mother spoiled me. Indulged me. And I have left her in the same house a country and two borders away.

I look at the sky. Blue. Solid. The rush of the sea in the distance. The meditation continues and I cry tears for everything that was and could have been, for all the expectations unfulfilled and all the promises forgotten. There is grief and sorrow and a lost-ness that tastes like salt water.
The waves crash. We are all together: my wife and my four sons. Running into the muted sea on a beach of unimagined beauty. I hear the laughter of my family. My children excitedly embrace being tossed around by nature. They embrace the moment and it embraces them back. My wife laughs as a wave makes dreadlocks of her hair and turns her momentarily into a seacreature-hippychick-watergoddess. Her true self is revealed: a force of nature. I tune into the laughter. I want to keep this moment forever. Freeze it and preserve it. The sun begins to go down. There is an hour’s journey back along winding mountain roads.

I am pushing two mountain bikes up a hill. It is hot and the sand slips underneath my feet and the bicycle tyres. I am releasing the tears in the meditation. I am giving up on the bonfire. I am wondering why people hike when all I can focus on is not tripping on obstacles on the path. I wonder why I want to run away all the time. I wonder why there is so much sadness. So much depression. I wonder where I could possibly run away to? I feel ashamed of being so self-focused. I feel I have failed as a parent, in my career, as a son, as an adult. Taxes loom. The bonfire sputters damply and smoke rises like a funeral. What is success and failure? Like tardigrades in a fake quantum entanglement, everything exists simultaneously and not. It is all about faith. And spin. Even reasoning is fallible.

I see my eldest son disappear over the brow of the hill I am climbing. When I get to the apex I see that there is another hill beyond this one and I burst into laughter. My wife walks behind with my youngest son encouraging him to keep walking. I push the two bicycles up the next hill towards the top, hoping for the inevitable downhill journey on the other side. Because what other option is there? I hear the laughter of my family in my heart as the tears drip down my cheek and the sorrow releases away. “Find the light inside of you. Hold on to that light. Hold on to that love. Love is all that matters.”

Paul Wu was born in Glasgow, Scotland where his Malaysian Chinese mother and Mauritian Chinese father met as students. He began taking ballet classes at the age of 18 and after a decade-long career as a professional dancer he retrained as a journalist. He has worked as a television producer-director primarily for the BBC and has made hundreds of films for NGOs and charities, travelling extensively and working with some of the world’s most vulnerable people. He has written poetry, short stories and articles. He lives in Gotland, Sweden, with his wife and sons.

La poesia e lo spirito