Recensione di “Di morire libera” su La Stampa

Un magnifico elzeviro di Letizia Tortello sulle pagine culturali de La Stampa, del 01-02-2020

Michelina Di Cesare la “briganta femminista”

“Non cercatemi nelle foto scattate con il vestito paesano, con il fucile in mano e il revolver, io non sono quella”. Michelina Di Cesare è la donna “della foto morta ammazzata, con lo zigomo sporco della terra su cui mi hanno trascinata, con le pallottole sparate sulla schiena che non vedete, quella a cui hanno sputato in faccia” nuda, spogliata con il seno di fuori per venire irrisa mentre veniva ammazzata da ladra e criminale, una donna incinta. “Sono quella che non voleva una vita sottomessa. La mia vita l’ho scelta e l’ho vissuta, mi andava bene di morire, ma di morire libera.”

È un diario appassionato, pieno di orgoglio, fierezza e coraggio, quello che Monica Mazzitelli ha dedicato alla vita di una delle donne simbolo della resistenza del Sud contro l’Italia unita. Di morire libera (pp. 264, €14) è la storia di Michelina Di Cesare, una “briganta” che combatté con i compagni ex soldati clandestini dell’esercito borbonico fin dopo il 1860, quando era chiaro che Francesco II di Borbone non sarebbe più tornato sul trono di Napoli e loro erano diventati criminali ai margini della società. In un libro femminista e anarchico, edito da Lorusso Editore, la parabola di questa donna simbolo della rivolta dei briganti contro la monarchia sabauda diventa anche un canto alle gesta di una ribelle verso la società maschilista e patriarcale.

Nata poverissima a Caspoli, frazione di Mignano Monte Lungo, nella provincia di “Terra di Lavoro” (oggi Caserta), restò vedova a 22 anni, ma si innamorò di Francesco Guerra e si unì presto alla causa del banditismo armato postunitario. Combatté con i pantaloni e il coltello al pari di quei “partigiani ardenti”, costretti a vivere di piccoli reati e furti di bestiame, giustiziati nel 1968, fedeli alla causa meridionale e alla terra che era loro appartenuta, e che volevano tramandare ai loro figli. Combatté fino al “tradimento” del cugino Giovanni, che vendette la banda dei 21 per la promessa di un impiego da guardiacaccia. Arriveranno i soldati del generale Pallavicini, di notte, e faranno strage dei banditi di Francesco Guerra. Michelina lo sapeva, ma non si piegò. Ai Savoia e neppure a suo padre, quando la picchiava per farla desistere dall’imparare a leggere, “ché tanto non ti serve, che non ti metta in testa di diventare più di me”. Tra riferimenti storici e lirismo, il racconto di Mazzitelli fa appello agli spiriti liberi.