Il segreto è nel sottile gioco sul filo dell’assurdo: implacabile, scomodo, masochistico. Suspense e mistero – così lontani dal loro impiego furbo e dozzinale – portano a momenti di disagio e desiderio di fuga. Continuiamo tuttavia a leggere, voluttuosamente; costretti e ansiosi di uscire da certe situazioni evocate con tale precisione e tridimensionalità da diventare a tratti insostenibili. Restiamo perché è un mondo che non ci assomiglia e tuttavia riconosciamo, affrontandolo nelle nostre difficoltà oniriche, che qui diventano Letteratura. Dopo “Gli intervistatori”, convince in pieno anche la seconda prova di Fabio Viola, che pure qui riesce a toccare, senza alcun psicologismo, corde profonde dell’inconscio. Va in onda il malessere, l’incapacità di reagire, il senso di impotenza, e simultaneamente il suo opposto: l’iper-reattività senza controllo, l’istinto all’azione immediata che spesso ha più [buon]senso di una diversa strategia.
Maggiormente narrativo rispetto al primo, questo romanzo ci porta all’interno di una storia che inizia alla Brazil, dove il protagonista sembra esserlo suo malgrado: Ennio (un ragazzo italiano benestante e poco facente) parte per il Giappone alla ricerca della sua ex ragazza, Elisa.
Trasferita a Osaka dove lavora come insegnante di italiano presso la Hoshi, una scuola di lingue, smette di dare notizie di sé a parenti e amici. Ennio decide di andarla a cercare di persona. Diventerà pure lui insegnante, entrando in modo lento e confuso nella vita giapponese, filtrata soprattutto attraverso gaijin (cioè forestieri, come lui), che contribuiscono al suo senso di straniamento. Paradossalmente, però, sono proprio le percezioni di distacco, di assenza di parole e reale comunicazione, che sembrano essere le condizioni per il sentimento: l’amore vissuto solo in una dimensione di lontananza, separazione, silenzio.
Il protagonista-narratore ammanta la propria comunicazione con chiunque di una fitta rete di bugie, invenzioni, che però in modo quasi sensitivo non diventano solo intuizione, ma cominciano a creare la realtà, modificano le cose. Seguendo l’intreccio letterario assistiamo una serie di colpi di scena ma attenzione: entrano tutti di soppiatto, come anticlimax, quasi a dimostrare che alla fine non importano i fatti, la “realtà”, ma la percezione che ne ha il protagonista. Ci si chiede cosa conti, alla fine. La risposta è forse il nulla, come una depressione post coitale, perché tutto ciò che si viene a conoscere, il mistero che lentamente si svela, non è più centrale. Quasi una protesta contro la vita, contro il mondo, che resta comunque inconoscibile, inospitale, caotico, senza volitività, indifferente. Anche il sesso è spesso una spinta senza desiderio, piuttosto un fastidio fisiologico che si paga a un prezzo emotivo o pecuniario troppo alto per ciò che dona: illusione. Illusione di appartenenza, di intimità, di controllo, di possesso. Non c’è amore, in queste righe, perché non c’è mai uno spostarsi da un oggetto a un altro, ma un continuo rovesciarsi su se stessi, senza riuscire tuttavia mai a incontrarsi, toccare il proprio intimo. Non c’è emozione ma sensazione, reazioni psichiche compulsive: manca un motore, se non quello del dipanare la realtà, srotolare se stessi dalle proprie menzogne.
Le atmosfere, su tutto: questo romanzo è un grande film di immagini lisce e spesso spiacevoli, molto più vicine a Blade Runner che a Wong Kar-wai; nessuna consolazione, nonostante i colori sgargianti dei neon tentino sempre di sovrastare una città definita come “una distesa grigia”, ma senza colpa.
Sparire è più un nascondersi, camuffarsi al mondo, entrare in un bozzolo invece che uscirne. Tutti i personaggi sembrano incapaci di sapere ciò che realmente vogliono, inconsapevoli di loro stessi, bramosi di brama e insoddisfatti ma incapaci di sedarsi se non con il fingere di vivere in modo grandioso, anestetico. Solo il protagonista riesce alla fine a squarciare questo velo.
E il collante di questo romanzo resta sempre e soprattutto la prosa virile, precisa, larga e potente di Fabio Viola, i suoi dialoghi cinematografici e realistici, i suoi aggettivi perfetti e la sua punteggiatura scultorea, a regalare tutto un mondo.