Il miglior corto del 2013 si chiama Genesi…

… e lo ha girato Donatella Altieri.

Ecco il mio pezzo che racconta la sua meritatissima vittoria al Bif&st di Bari, ieri sera!

“Genesi” il cortometraggio di Donatella Altieri vincitore al Bif&st di Bari

Per la prima volta il più prestigioso festival di cortometraggi d’Italia, il ConCorto, organizzato sin dal 1992 dall’organizzazione romana di Arcipelago, è fuggito dalla capitale per approdare nel calde e accoglienti braccia del Bif&st di Bari, manifestazione sempre più importante del panorama nazionale. Felice Laudadio, direttore del festival barese, ha colto il polemico e accorato grido di dolore lanciato lo scorso giugno da Stefano Martina, direttore di Arcipelago, che lamentava una carenza drammatica di fondi e un’impossibilità a continuare a realizzare la manifestazione a Roma dove tra il Ministero dei Beni Culturali, il Comune Roma e la Regione Lazio, non c’era mai verso di sapere se e quanti fondi sarebbero stati stanziati per il festival, nonostante la sua rilevanza anche internazionale.

Arcipelago si è dunque trasferito a Bari, dove quest’anno la presidenza è di Ettore Scola, per continuare a portare il messaggio di innovazione che a partire dal 2002 è stato definito con il neologismo di filmoide, a voler indicare che i cortometraggi, per loro natura libera da vincoli commerciali e per l’agilità che li contraddistingue, possono essere un terreno di continua evoluzione e sperimentazione, un metissage che contenga nuovi linguaggi, storicamente dal digitale alle web series, dal mashup all’animazione. Bari ha salvato Roma, quindi, e oggi Arcipelago può continuare a pensare solo a se stesso e alle proprie idee creative, a partire da una forma geograficamente e temporalmente liquida che porterà presto Stefano Martina in Cina, per un nuovo tour filmico a partire da Beijing.

Tornando però ai contenuti dell’edizione 2013 del ConCorto che si è appena conclusa con una partecipata premiazione al Teatro Petruzzelli, abbiamo raggiunto Martina per farci raccontare qualcosa sul film vincitore del Premio Michelangelo Antonioni di questa 20esima edizione, Genesi, di Donatella Altieri.

 

Stefano, perché hai selezionato questo film?

Devo dire che la cosa che mi ha più colpito è stato l’attore bambino, Claudio Salvato, per la sua grande capacità espressiva che pur essendo “professionale” nell’interpretazione, resta comunque fresco, spontaneo e schietto come la terra pugliese che ci ospita e su cui è stato girato questo cortometraggio. Poi chiaramente l’immenso Roberto Herliztka (non presente alla premiazione perché in scena a teatro con la sua piéce Ex-Amleto, NdR).
Ma oltre agli attori direi la grande dimensione filmica che narra, con una bellissima fotografia, la doppia chiave dell’elaborazione del lutto, anche in senso antropologico, mostrandone pure la differenza nelle classi sociali, quella padronale e quella contadina. In questo senso,
Genesi è pur nella sua brevità un film assolutamente completo e ricco di significati, e pieno di poesia.

Ci tengo a sottolineare che quest’anno la giuria presieduta dal regista Daniele Vicari è stata composta da 27 spettatori (e non di addetti ai lavori) che non hanno avuto nessuna difficoltà nell’individuare in Genesi la pellicola vincitrice, e nello scegliere per la menzione speciale il cortometraggio Rumore Bianco di Alessandro Corsio, la storia di un commovente commiato di una ragazza, l’ottima Claudia Vismara, al suo fidanzato in stato di coma vigile.

Abbiamo raggiunto anche la vincitrice, Donatella Altieri, per farci raccontare qualcosa sul suo emozionante lavoro.
Donatella, un cortometraggio che ha davvero tutto il sapore e il respiro del grande cinema. Per essere una quasi-opera prima, si resta senza parole. Ci racconti la genesi di Genesi?
Genesi nasce da una piccolissima suggestione, una fiaba della tradizione orale (Regina Lenticchia) che racconta il dolore di una mamma per la perdita di una figlia. Quando me l'hanno raccontata l'emozione è nata dal ritrovarsi dinanzi a un dolore urlato, mostrato senza ritegno, senza limiti. La mamma di Regina Lenticchia piange e si dispera, urla senza freni. Ma la meraviglia più grande del racconto nasceva dallo scoprire che tutto intorno a lei chiedeva di partecipare al dolore: la natura si anima e le parla, le chiede il perché del suo pianto e poi comincia a piangere con lei… e allora la "porta batte la porta, la ciminiera trema e l'albero si spoglia delle suo foglie…". Oggi siamo sempre più abituati a pensare che il silenzio sia la forma più alta di civiltà di fronte a grandi dolori. Per questa fiaba non è così. Questa è stata la piccolissima suggestione da cui Genesi ha mosso i suoi primi passi per arrivare a raccontare il dolore silenzioso di un uomo (o forse sarebbe più giusto dire il suo silenzio doloroso!) che decide di intraprendere un percorso che lo porterà dalla solitudine e dal silenzio all'incontro con un bambino, al pianto e alla trasformazione di quel pianto in discorso (come direbbe De Martino). Fino quasi a vincere il suo dolore. 

Come ti sei trovata a dirigere un grande attore come Roberto Herliztka?
Spesso si pensa che dirigere un grande attore sia qualcosa di terribilmente difficile. Posso dire che non è così. Un grande attore riesce a dare un contributo prezioso al tuo lavoro di regista, lo potenzia, lo rende unico e nuovo e meraviglioso ai tuoi stessi occhi. Avevo immaginato e visualizzato per mesi le scene del mio film ma, lavorando con Roberto, quelle scene davanti ai miei occhi sono state ragione continua di grande incanto.

Questo lavoro è legato in modo potente alla cultura della tradizione orale, all’espressività meridionale, al legame cultuale e mitico con la morte, pur celebrando la Vita. Quali sono gli aspetti che senti più fecondi?
Von Gennep ricorda che nella tradizione contadina “…si avvertiva il lauro del giardino della morte del suo padrone, sussurrandogli l’annuncio e scuotendolo leggermente per impedirgli di seccare dal dolore”. Davanti alla morte, gesti e parole di cura e di presenza erano destinate alla natura per esorcizzare il rischio di morte per chi rimaneva. Oggi invece l’uomo vive utilizzando la natura come oggetto, non vivo, non palpitante, non portatore di diritti. Nessuna cura, nessun abbraccio, nessuna tenerezza. E la natura, violata e violentata, ha cominciato a morire. Mentre la natura muore, l’uomo solo e disorientato nega la morte, la considera un tabù minaccioso e insostenibile, non cerca più i gesti e le parole del lutto, le uniche capaci di far morire la morte. Mi piace pensare che forse ci sarà un tempo in cui in un abbraccio l’uomo e la natura si sussurreranno ancora le parole della cura e della complicità e insieme, naturalmente, ritroveranno i sentieri e le parole della vita anche dopo aver incontrato la morte. Qualsiasi morte. E sarà una nuova Genesi.

E adesso? :o)
E adesso voglio utilizzare tutta l'energia che questo premio così prezioso mi ha donato per continuare a lavorare. Sto lavorando a tre progetti di documentario che spero di produrre nei prossimi mesi e sto scrivendo una nuova sceneggiatura che parla di fragilità. Prendo questa energia e la metto tutta in questi progetti per farli decollare nel modo più giusto. 

L'Unità