Avrebbe compiuto cent’anni oggi, mia madre. Se non fosse invece morta di cancro più di 40 anni fa, il 25 agosto 1981.
Se cent’anni vi paiono tanti, sappiate che suo padre è vissuto fino a 99, e che suo fratello (mio zio Robert) è morto una settimana fa. La famiglia di mia madre – prevalentemente tedesca – è molto longeva, soprattutto da parte di padre.
Di quel padre.
La storia di mia madre l’ho dovuta riscrivere molte volte; molte volte ho dovuto ricominciare tutto da capo, non appena qualche nuovo pezzo del puzzle si aggiungeva, portato dai racconti di qualcuno. Lo scenario è cambiato così spesso, in questi 40 anni in cui è stata morta.
Tutti i discorsi muti che le ho fatto, le lacrime che ho pianto d’amore o di odio, la nostalgia o rabbia cieca che ho provato quando ho capito, quando mi sono lasciata la possibilità di comprendere, tutto il male che mi ha inflitto, la sua incapacità di vedere e proteggere.
Dopo anni di angelica santità, l’ho trasformata in un mostro anaffettivo; poi l’ho vista come vittima.
E la verità non sta nel mezzo, ma in ciascuna di queste cose, ciascuna valida e veritiera.
Ha fatto ciò che ha potuto.
Negli ultimi anni, mettendo in fila un indizio dopo l’altro, deduzione dopo deduzione, sono arrivata alla personalissima conclusione che lei abbia subìto da bambina l’abuso più devastante di cui si possa essere vittime.
Capirlo, farlo entrare, ha rivoluzionato la mia visione.
Oggi so questo: che è stata una donna infelice che ha cercato di vivere come ha potuto.
E ora che presto avrò l’età che aveva lei quando è morta, mi sembra pazzesco che abbia vissuto così poco, e così male. E quanta devastazione nella sua scomparsa prematura per me adolescente già traumatizzata, nel 1981. Quanta fatica.
Dormi tranquilla, mamma.