Polaroid congelate: le foto estreme di Thron Ullberg

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Cosa distingue un artista della fotografia da un semplice fotografo? Nell’epoca della banalizzazione e overdose fotografica dovrebbe essere difficile trovare il confine, eppure non lo è. Perché una foto ha smalto, anima, originalità, ribaltamento, o non ce l’ha; alla faccia di filtri, ritagli e altri contorsionismi post produttivi. E quella dello svedese Thron Ullberg − in questi giorni con una personale dal titolo “Vilsen” (“Perso”) alla Elf Galleri di Göteborg − è quasi più arte che fotografia.

Ullberg è da anni considerato il migliore ritrattista nazionale, avendo dato un volto (quasi sempre in bianco e nero) a tutti i più importanti personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo di Svezia, soprattutto dalle pagine della rivista “Impuls”. Ritratti sorprendenti, totalmente narrativi, iconici e surrealisti eppure spesso informali, dove il lavoro manuale sul negativo si tocca con mano: Ullberg lavora raramente in digitale, la sua fotografia è analogica e di preferenza utilizza una Linhof Technika a grande formato su cui carica pellicole Polaroid, fuori produzione dalla casa e quindi acquistabili solo da privati che decidono di disfarsi delle proprie vecchie scorte. Ullberg ne va a caccia, e le custodisce gelosamente nel congelatore, accettando anzi accogliendo con gioia l’elemento “usura”, l’elemento “tempo” della materia, facendone un punto di forza espressiva. Proprio in questa personale “Vilsen” è prepotente lo spazio lasciato alla slavatura irregolare della pellicola, al viraggio impastato dell’ingiallimento dei colori, l’opacità lattea del bianco.

La molla creativa di Ullberg è la rottura di un confine, una lotta contro ciò che vorrebbe restare celato. I suoi ritratti svelano e, se il soggetto sa diventare complice, snudano con una liberatoria perdita di vergogna. ullberg-01E dopo anni di ritratti, una parte del suo lavoro nata quasi per caso il 10 aprile 1996 ha preso sempre più piede, fino a diventare il suo vero e forse più importante laboratorio artistico di frattura del quotidiano. Comincia quel giorno con un autoscatto dove osa chiedere a se stesso una posa che difficilmente potrebbe proporre a qualcuno dei suoi soggetti; e continua anno dopo anno, sempre il 10 aprile, a darsi un appuntamento creativo estremo, a sfidarsi: ogni volta l’immagine è più complessa, eccessiva, pericolosa, ardita. Non solo perché spesso gli autoscatti sono dei nudi, ma perché le condizioni dello scatto finiscono per essere al limite del proibitivo: temperature vicine allo zero, salti da quattro metri di altezza, corpo appeso a corde sul ramo di un albero, o tenuto attaccato con i punti di una graffatrice, o sdraiato su ghiaccio sottile.

ullberg-02C’è una sfida alla morte in queste immagini libere di Ullberg, qualcosa che forse attiene all’origine della sua fotografia: la morte di suo padre, scomparso per un incidente quando lui aveva 7 anni. Qualche anno dopo la sua morte, Thron ritrova alcune foto scattate dal genitore e si attacca a queste immagini come prosecuzione di un dialogo, di una conoscenza interrotta, facendo diventare la fotografia una professione. Istantanee come anello di contatto a dispetto della recisione fisica, luogo di superamento della fine. E tanto gli autoscatti del 10 aprile quanto quelli in esposizione alla Galleri Elf, dove Ullberg ritrae un modello alter-ego, vogliono forse raccontare anche questa angoscia di morte e il suo implicito scavalcamento attraverso il superamento di un limite sempre più estremo, in una forma narcisistica eppure così autentica da diventare potentemente Arte.