Tutto quello che non sappiamo sulla pornografia in rete raccontato in un saggio fondamentale appena pubblicato in Svezia
È uscito in Svezia un libro dal titolo “Droga visiva – su pornografia in rete, bambini e ragazzi” [“Visuell drog – Om barn, unga och nätporr”, Kalla Kulor Förlag, 2016] che sarebbe veramente utilissimo tradurre in italiano. Le scrittrici sono due centrali termonucleari: Maria Ahlin − giovanissima presidente dell’associazione Freethem contro il trafficking − e Ulrica Stigberg − pastora della Fryhuset, il più importante e vitale centro giovanile di Stoccolma.
Per scrivere questo libro Ahlin e Stigberg hanno scelto di fare un passo indietro rispetto a una prospettiva morale sulla pornografia, preferendo concentrarsi solo sugli effetti del suo consumo a danno della salute di giovani e giovanissimi, sia a livello neuropsichiatrico che fisico e sociale. Hanno intervistato esperti di ogni tipo: professori universitari, neurologi, criminologi, commissari di polizia, sociologi, urologi, psicologi, ricercatori, personaggi televisivi. Ma soprattutto, hanno parlato a lungo con decine di ragazzi e ragazze, che hanno (finalmente) trovato orecchie adulte per esternare le problematiche che né genitori né insegnanti sanno affrontare, e hanno scoperto che nessuno di loro aveva mai avuto la possibilità di parlare con un adulto su questo tema. Il quadro che ne emerge è molto inquietante e con forti ripercussioni sociali.
Quando si parla di pornografia, la maggioranza degli utilizzatori è di sesso maschile, e ne hanno fatto esperienza il 96% degli uomini occidentali. Questo rende spinoso discuterne perché − al contrario di altri consumi che danno dipendenza come droga o gioco d’azzardo, che hanno diffusione meno capillare − la pornografia è uno scheletro presente in quasi ogni armadio. Motivo per cui, nonostante 50 anni di studi, ricerche e soprattutto metastudi sull’argomento, la posizione negazionista e/o acritica nei confronti del porno resta la più comune, e non appena si ventila la possibilità di introdurre delle limitazioni, viene subito invocata una progressista “critica a ogni forma di censura”.
In verità molti adulti sopra i 35-40 anni non hanno idea di quale sia l’offerta in rete, e pensano che il porno consista in simpatici filmati di “porcone” che se la godono allegramente insieme a maschi prestanti. Ma negli ultimi 15 anni la narrazione violenta ha preso il posto di quella del piacere. Statisticamente, questo è ciò che si vede adesso gratuitamente in rete: il novanta percento dei video (9 su 10) contiene almeno un abuso sulla donna; nell’88% dei casi si tratta di un comportamento violento che nel 12% dei casi è una deliberata aggressione fisica; nella metà dei casi sono presenti forti attacchi verbali. In più, la reazione della donna che subisce gli abusi è di norma “neutrale” o “positiva”, quasi mai reattiva o oppositiva.
Il primo contatto con la pornografia è ormai molto precoce (prima dei dieci anni) e spesso involontario; in molti casi avviene a seguito di una ricerca in rete dal computer o dal cellulare/tablet. Ma la prima ricerca attiva di porno in rete avviene intorno ai dodici anni. Esatto: dodici anni. Il cervello di un ragazzino (come tutti ben sanno a proposito di alcolici e stupefacenti), è un organo molto fragile e lontano dall’essere consolidato e strutturato. La potenza del sistema del rilascio delle dopamine è al suo azimut e funziona così: quando qualcosa di molto impattante emotivamente (in positivo o in negativo) ci colpisce, il cervello cerca un sistema per “ristabilire l’equilibrio”, e la modalità è quella di abbassare il livello della reazione, inibendo la risposta emotiva a un dato stimolo. In sostanza, per proteggerci dalle emozioni forti il nostro encefalo ci rende meno reattivi, ovvero ci fa assuefare a un certo stimolo. In questo senso, si finisce per provare indifferenza o noia nei confronti di qualcosa che inizialmente ci emozionava. Traslato sullo stimolo di eccitazione legato alla visione di materiale pornografico, l’accesso ai video in rete è talmente semplice e facile che chiunque finisce per guardare una grande quantità di filmati, e se all’inizio qualsiasi cosa stimola l’eccitazione fino a portare all’orgasmo, ben presto per ricevere lo stesso livello di rilascio di dopamine il cervello ha bisogno di salire di un gradino raggiungendo qualcosa di più eccitante. Il nostro cervello adulto − ma ancor più il cervello di un adolescente − ha come turbo dell’eccitazione la trasgressione. Trasgredire ci eccita, ahinoi, e più forte è il tabù che infrangiamo e più grande è il piacere che proviamo, attraverso il rilascio di dopamine. Gli studi condotti negli ultimi anni concordano tutti nel sottolineare come potersi procacciare porno in modo così semplice ha portato gli utenti a essere in primis molti ma molti di più rispetto a qualche manciata di anni fa, in secundis al fatto che il livello di trasgressività del materiale è aumento esponenzialmente. Dal soft porn e dal porno allegro si è passati molto velocemente ad alzare il tiro, realizzando quello che oggi definiamo gonzo porn: video girati molto più “dal vero” dove gli aspetti di finzione sono molto inferiori, a favore di scene più reali/autentiche, vicine al concetto di snuff movie.
Come conferma Lars Olsson, Professore in Neuroscienze del prestigioso Karolinska Institutet di Stoccolma, perché si scateni un’eccitazione sufficiente a raggiungere erezione e orgasmo bisogna ogni volta andare un passo oltre, infrangere una nuova proibizione. E il cervello degli adolescenti è predisposto al rilascio dopaminico soprattutto in presenza di “novità” e di “trasgressione”. Tutti gli uomini con problematiche relative alla dipendenza dalla pornografia hanno raccontato un percorso partito dal sesso spinto che è andato poi per le successive fasi di sesso violento/umiliante, sesso con animali, stupro, stupro ai danni persone con handicap mentale e/o fisico, stupro di minori, di bambini sempre più piccoli, incesto passivo (guardato, spesso prima con video di animazione – un classico sono i Simpson – e poi con video di esseri umani in carne e ossa) per finire nei casi più gravi con l’incesto attivo, perpetrato sui propri familiari.
Caratteristica del consumo compulsivo della pornografia è infatti che nei casi più critici (in costante aumento) alla fine non basti più la visione di un film, ma diventi imperioso il bisogno di vivere l’esperienza di persona. A questo proposito, tanto gruppi di ricercatori universitari quanto le forze di polizia fanno presente che il numero di giovani che acquistano sesso è in crescita esponenziale, e che ogni qualvolta vengono studiati i dispositivi elettronici dei colpevoli di violenze sessuali, si trovino in loro possesso materiale pornografico che propone le stesse scene. La commissaria di polizia per i crimini sull’infanzia Nina Rung afferma infatti che i colpevoli di stupro indicano la pornografia come loro fonte di ispirazione. Il dato interessante è che non c’è nessun aumento della “pedofilia” in senso stretto (che è una psicopatologia con diagnosi ben definita) ma l’aumento dell’abuso su bambini nasce al giorno d’oggi come conseguenza di questa iperaccessibilità di materiale pornografico gratuito in rete.
Il cervello anestetizza le emozioni e i sentimenti, rendendo gli esseri umani più indifferenti e impermeabili all’empatia, e nel caso specifico del porno, porta alla traslazione dall’atto visto mille volte in un filmato all’abuso perpetrato su una donna o su un minore. In questo senso sono allarmanti le cifre di assalti, violenze, abusi sessuali che ragazze giovanissime subiscono sempre più spesso in luoghi pubblici come concerti, bar, discoteche, mezzi pubblici, spiagge, spesso nell’indifferenza persino della propria rete amicale, che fa anzi spesso parte dell’abuso, o attivamente o filmandolo con un cellulare.
Ma torniamo ai ragazzini: cosa succede a un dodicenne che per ragioni molto biologicamente ovvie e naturali ha desiderio di masturbarsi per scaricare le proprie tempeste ormonali? Che guarda questi filmati di gonzo porn. Cosa vede? Uomini iperdotati dal punto di vista genitale, con erezioni di lunghissima durata, e spesso anche corpi muscolosi e vigorosi, che maltrattano, violentano, aggrediscono e picchiano ragazze che sono tuttavia nella maggior parte dei casi disponibili a questo tipo di trattamento, e che anzi spesso lo gradiscono, senza essere mai parte attiva di una ricerca del proprio piacere, ma unicamente rappresentate come oggetto di produzione di un orgasmo da parte dell’uomo/uomini presenti nella scena. Fino a quando non si passa a video dove le ragazze sono invece platealmente sofferenti, terrorizzate, in stato di shock eccetera, man mano che sale il bisogno di uno stimolo ulteriore. Gail Dines, professoressa del Wheelock College di Boston, in una conferenza (non citata in questo saggio) fa notare come questo dodicenne spettatore che non può che raggiungere un orgasmo al vedere queste scene, perché ha gli ormoni che esplodono, finisce per convincersi che tutto questo gli piaccia. Dato che il sistema limbico del cervello fissa le immagini e le interiorizza/memorizza in modo molto più viscerale se le introietta durante un orgasmo, la dipendenza rispetto al bisogno dello sfogo sessuale si associa più strettamente a quella della violenza, spiega Jenny Sonesson, esperta di abusi su minori a livello istituzionale. La conseguenza è un senso di vergogna, rimorso, paura, odio di sé, ansia, insonnia.
Nei casi di ragazzi che sviluppino una vera e propria patologia di dipendenza dalla pornografia (le cifre più conservative parlano del 10% dei minori) i sintomi sono più allarmanti sia dal punto di vista fisiologico che sociale. I soggetti soffrono infatti di una serie di patologie: depressione, abulia, impotenza sessuale, sintomatologie da dipendenza, anaffettività, dissociazione emotiva, obesità, difficoltà a entrare in intimità, mancanza di autostima, aggressività. Uno studio condotto dall’Istituto Max Planck di Berlino ha evidenziato che tra i forti consumatori di pornografia si registra una diminuzione della zona cerebrale dello striato, sede di meccanismi emotivi di ricompensa e motivazione legati al rilascio dopaminico. Inoltre, uno studio istituzionale condotto dai ricercatori svedesi Svedin e Åkerman su un vasto campione di ragazzi adolescenti, ha rivelato che a un alto consumo di porno sono associati esercizio di abusi sessuali, consumo eccessivo di alcolici e di droga, acquisto di prestazioni sessuali e manifestazione di squilibri psichici.
In termini sociali le conseguenze culturali sono molteplici e ben visibili ovunque: c’è una minore empatia nei confronti delle vittime di aggressioni sessuali, un rafforzarsi di una visione della donna come provocatrice e quindi meritevole di stupro, un incremento degli stupri di gruppo, un’aspettativa di prestazioni sessuali più frequenti e/o più spinte da parte delle proprie partner, la pretesa che qualsiasi tipo di contatto fisico culmini in un rapporto sessuale.
E le ragazze? Cosa dicono della pornografia le coetanee di questi giovani consumatori? La percentuale di loro che ha visto qualche volta un video è del 54%, ma solo un terzo ha poi continuato. Molte di loro spiegano di aver guardato per sentirsi alla pari con i ragazzi, per sentirsi “confermate”, e che di solito la richiesta parte dai loro partner; molte di loro smettono una volta finita la relazione. Il 12% delle intervistate afferma che avrebbe interesse a guardare più pornografia, se fosse orientata al piacere femminile e non esclusivamente pensata per soddisfare i bisogni di un pubblico maschile, conclude Magdalena Mattebo, ricercatrice dell’università di Uppsala.
Ma che abbiano consumato o meno pornografia, le ragazze sanno molto bene che esiste e ne riportano una serie di problemi tra cui: richieste di prestazioni sessuali a cui non si sentono pronte o interessate (la più frequente il sesso anale); difficoltà nel rifiutare per timore di essere giudicate come “noiose” e venire lasciate dai propri partner; senso di inadeguatezza e imbarazzo per il loro corpo che viene giudicato su base di standard irraggiungibili con richieste estetiche precise anche in merito all’aspetto dei genitali (peli, aspetto delle grandi labbra); sentire aspettativa nel dover soddisfare desideri sessuali continui e immediati senza possibilità di essere pronte anche solo a livello di lubrificazione vaginale o anale, con conseguenze fisiche dolorose di lunga durata, oltre che emotive; pretese non solo di soddisfacimento sessuale del partner ma anche del proprio, con conseguenti simulazioni orgasmiche per porre fine a rapporti dolorosi; umiliazione del sentirsi continuamente tradite dal partner che si eccita guardando altre donne; avere spesso la sensazione che sia stato “impossibile” dire di no al sesso perché troppo pressate e con il ricatto morale di venire giudicate non abbastanza “fighe” se non disponibili, rendendosi conto solo successivamente di aver tollerato quello che era in realtà un abuso sessuale dato che non avevano dato il loro pieno consenso. Si dà colpa alla pubblicità di mercificare il corpo delle donne alimentando aspettative irrealistiche sul loro aspetto fisico, non comprendendo che spesso è dal porno che arriva l’imposizione di uno standard irrealistico (sia per donne e che per uomini), non dalla pubblicità.
Tutto nero? Per fortuna no. Più di uno dei ragazzi intervistati ammette che è difficile guardare il porno senza porsi la questione di chi siano queste “attrici”, e che anche se lo fanno “per scelta”, si portano dietro qualche trauma infantile che le rende così fragili, affermano Thomas e Amir. E che molto spesso si capisce che le ragazze sono lì solo per bisogno o perché costrette, e per quanto fingano, gli si legge negli occhi che provano angoscia, disgusto e paura, e allora è impossibile eccitarsi. Per masturbarsi con la pornografia, dice ad esempio Alex “bisogna reprimere il pensiero che le ragazze siano persone reali, altrimenti non si riesce a guardare”; e a proposito degli attori maschili aggiunge “Vogliono dominare per compensare la propria scarsa autostima”.
Tobias è molto amaro: “Il porno ha distrutto parti di me. Me ne accorgo quando sono stanco, e il mio cervello va subito lì. Ho imparato cose che non avrei mai voluto sapere, ma che non riesco a eliminare dalla testa”. Robin sostiene che se ci fosse un filtro per impedire ai minorenni di consumare pornografia “si potrebbe salvare un’intera generazione. Dobbiamo problematizzare la pornografia senza farci passare per dei repressori della sessualità”. Per concludere, l’importante considerazione di Tobias: “Come possiamo pensare di sradicare sessismo e stupri senza sradicare la pornografia?”. Una bella domanda retorica, oltre che politica. Speriamo che la Svezia riesca a essere, anche su questo forte tema politico, un passo avanti rispetto alle altre nazioni.
In ultimo, c’è un aspetto su cui tutti sono unanimemente concordi, giovani e adulti: che in mancanza di altro il porno viene usato come una sorta di corso di educazione sessuale dai ragazzini, e che non hanno nessuno con cui parlare di ciò che vedono e subiscono. E il consiglio che ciascuno dà è: parlate, senza colpevolizzare o fare la morale, ché i giovani sono vittime di questo tritacarne, architettato per vendere materiale hard core a futuri possessori di carta di credito.