Si è appena conclusa la quarta edizione del Nordic Film Fest della capitale -appuntamento sempre più imperdibile e seguitissimo dal pubblico romano- organizzato e presentato da Antonio Flamini di Itale20 con la consueta sensibilità, intelligenza e perizia di ogni anno, insieme alle 5 ambasciate nordiche (Danimarca Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) e il Circolo Scandinavo, curato dall'ottimo Ingo Arnason, islandese. Tantissime pellicole per un totale di cinquanta ore di proiezioni: sarebbe stato impossibile vederle tutte in un lasso di tre giorni, ma sono riuscita a godere di ben sei ottimi lungometraggi.
Il tema della rassegna di quest’anno era virato sull’asse “noir/crime”, ma si trattava di poco più di uno spunto. In verità quasi tutti i film, anche se lontani dal genere, sprigionavano una tensione psicologica ed emotiva fortissime, e spesso ci si trovava coi muscoli tesi alla fine del film.
A parte Gentlemen dello svedese Mikael Marcimain, che ha forse risentito troppo di una scorciatura (da una miniserie di sei ore è stato estratto un film di 142 minuti a corrente alternata e senza una solidità di partitura, pur bello per estetica e recitazione), gli altri cinque hanno donato emozioni intense, e molti occhi lucidi, facendo sciogliere il pubblico in convinti applausi.
Il più struggente e sommesso I Lossens Time (“L’ora della lince”) del danese Søren Kragh-Jacobsen (regista dall’esordio del Dogma 95, conosciuto per la pellicola Mifune), la storia di un incontro tra una donna-parroco e un traumatizzatissimo giovane, carcerato per un crimine orribile, e vittima di un’infanzia agghiacciante. Un incontro che pur nel suo sviluppo tragico porta entrambi i protagonisti a una catarsi e soluzione delle proprie vite, con sgomenta delicatezza.
Restiamo ai primi aderenti al Dogma 95 con il regista Kristian Levring, che ha presentato un godibile film di genere, The salvation, un western con una fotografia rimarchevole, prodiga di obiettivi cortissimi e voli su crane, per inquadrature spettacolari e sceniche, aiutata da una magnifica correzione colore. La “solita” ottima prova del superbo Mads Mikkelsen affiancato da una potente Eva Green ha reso le sequenze di azione vigorose, fino al culmine dello showdown.
Grande tensione anche per due film che portano la firma dello stesso regista, il norvegese Erik Skjoldbjærg, che ha confezionato due pellicole di grande tensione drammatica. La prima in ordine cronologico è Nokas, scritta dallo sceneggiatore Christopher Grøndahl, e ispirata fedelmente al più grave fatto di cronaca nera avvenuto in Norvegia prima della tragedia di Utøya, una rapina alla Nokas Cash Handling, società di distribuzione dei contanti per l’intero sistema bancario norvegese.
Una pellicola che ha il sapore di un docufilm grazie al buon lavoro di scrittura, tiratissima non solo per la soggettiva di molte scene, ma anche per la tensione psicologica che nasce anche dall’aver scelto il punto di vista di ciascun personaggio piuttosto che narrare tenendo conto di un’univoca prospettiva. L’altro film del regista norvegese è Pionér (“Pionere”), un thriller ricco di tensione psichica con momenti di geniale claustrofobia, e personaggi ben scolpiti.
Stockholm stories è un delizioso film tragicomico della regista svedese Karin Fahlén, che sa raccontare con profondità lieve la solitudine e la difficoltà di comunicare, l’incapacità di relazionarsi su un piano affettivo. Un tema molto nordico, e realistico, che può sembrare quasi eccessivo per chi non è familiare con la cultura scandinava, ma perfettamente riconoscibile per chi, come me, la vive da oltre vent’anni.