Luciano Ummarino (bellissima persona) mi ha chiesto un pezzo su Sbancor per Loop Magazine, visto che tra qualche giorno sarà il secondo anniversario della sua scomparsa. L’ho fatto con un grande senso di orgoglio e commozione, e ho sentito che era importante chiedere anche a Marco Lattanzi, suo fratello e mio carissimo amico, di scrivere qualcosa. Ne sono uscite due pagine per il numero di Loop uscito in questi giorni, di cui sono emozionata e felice. Vi pubblico il mio pezzo, insieme a quello di Marco. Credo che stiano bene insieme.
Franco negli occhi
Chi non ha mai visto Franco negli occhi potrebbe pensare che ciò che ha scritto sia un perfetto e incredibile lascito di lucidità adamantina. Il prodotto di una mente superiore e forte, quasi spietata nella sua geometrica costruzione di pensiero e saggezza. Chi non ha mai sentito la sua risata potrebbe immaginarsi un uomo solido e austero dietro quelle frasi così colte e ricche di citazioni a 360° di filosofia, economia, letteratura, storia, poesia; un rigore prussiano inchiodato nella sua colonna vertebrale. A Franco questo avrebbe divertito. Nel suo eterno gioco dell’essere tutte le parti in commedia ci avrebbe surfato sopra senza farsi prendere, facendo uno sberleffo a chi cercava di chiuderlo in una scatola sola.
Sono una persona privilegiata perché con Franco ho passato del tempo privato. Ho visto più volte la sua casa, la sua famiglia, i suoi libri, ciò che stava appoggiato sul suo comodino, i suoi soldatini. E l’ho visto in difficoltà, ho condiviso con il mio compagno di allora, Roberto Vignoli di Information Guerrilla/Nuovi Mondi Media (con il quale ha pubblicato “American nightmare”), un pezzo non semplice della sua vita, da cui l’ho visto ritirarsi su. Sono privilegiata. Lo sono perché ho memoria dei suoi sorrisi e dei suoi sguardi lucidissimi, talvolta difficili da sostenere; lo sono perché molte volte ho alzato la cornetta del telefono e ho sentito due secondi di silenzio prima di udire la sua voce sorniona che diceva “Sono Franco”: il suo modo teatrale e dolcemente egocentrico di entrare in scena, fosse anche solo per una telefonata, solo per gioco.
Quando la realtà globale succede sento pungente la nostalgia del suo occhio sul mondo. Nessuno si offenda, ma di Sbancor non esiste un rimpiazzo e non credo ci sarà mai. Nessuno come lui sapeva non solo spiegare la realtà ma prevedere il futuro, come nel caso della famosa “profezia” che ha anticipato gli eventi dell’11 settembre 2001. Senza la sua capacità di decodifica del mondo, il pianeta è un posto più pericoloso, infido, sbagliato, aggressivo, ma soprattutto incomprensibile. Senza il suo filtro sento il rischio dello sbaraglio. Prima, con lui a leggertelo, avevi la sensazione di poterlo tenere in mano. Cambiarlo forse no, non più: ma conoscerlo sì. Con un pollice toccavi l’Afghanistan e la Cina insieme, il Sudafrica e l’Angola.
E mi manca lo scrittore che avevo il privilegio di editare, leggere in anteprima e consigliare, mi manca il romanzo che non ha finito e che temo gli sia costata la vita. Sì: costata la vita. Andava orgoglioso Franco delle sue dritte, dei contatti presi per parlare di Piazza Fontana e tutto il marcio dell’Italia che ha inondato il paese da lì in poi, nomi che non si potrebbero ripetere, neanche se me li ricordassi. Ma forse si è sentito troppo invulnerabile, e non è stato abbastanza prudente.
Amico, scrittore, anarchico, esperto di economia, uomo elegante e ironico: mi manchi in tutte le tue forme. Mi chiedo se quando ci incontreremo nella grandi praterie la prima cosa che mi farai sarà una battuta ironica, o un placcaggio da rugbista. In entrambi i casi ti beccherai una tirata di orecchie: non si sparisce così Franco, abbiamo troppo bisogno di te.
E ora il pezzo di Marco:
Sbancor, mio fratello
Di Marco Lattanzi
Sbancor è mio fratello. Uso il presente perché mi è impossibile usare altro tempo verbale. L’impossibilità è dettata da due ragioni. La prima, più ovvia, perché il passato lo relegherebbe in uno spazio di nostalgia e di ricordo. Così non è. Continuo ancora un muto dialogo con mio fratello, soprattutto con Sbancor. Perché – questa è la seconda ragione – di Sbancor sapevo poco e poco volevo sapere. Specchio del rapporto con mio fratello Franco, non avevo osato avventurarmi oltre le poche frasi che mi aveva quasi sussurrato in uno dei nostri ultimi incontri, circa il suo pseudonimo e la sua attività. Stranamente avaro di notizie – lui che fin da ragazzi mi raccontava le sue avventure politiche e intellettuali la sera prima di dormire – aveva solo accennato agli articoli e ai libri già scritti e in corso di stesura, ma il tutto lo aveva fatto scivolare leggermente, ritraendosi schivo subito dopo. Non avevo colto questo duplice movimento del suo essere quel giorno, preso a non rimanere, come al solito, troppo affascinato dalla sua personalità e dai suoi complessi percorsi mentali, tentando di difendere così la mia individualità e la mia autonomia.
In questo modo Sbancor l’ho scoperto solo dopo, tuffandomi nella rete e ubriacandomi dei suoi scritti, inseguendo i suoi contatti e i suoi amici, cercando di riappropriarmi di qualcosa che non potevo non conoscere.
In realtà egli era ed è punto di riferimento per moltissimi e moltissimi continuamente me lo dicono.
Per me lo è sempre stato, nel mostrarmi le cose da un altro punto di vista, nel vedere oltre i fatti della storia a noi contemporanei. Nell’essere così saldo e spavaldo verso il mondo, ma nello stesso tempo, fragile, confuso e indifeso nel vivere le contraddizioni e lo spavento del vivere.
Il destino ha voluto che io condividessi quasi esclusivamente il lato oscuro di mio fratello; per questo ora cerco disperatamente l’anarchico sornione, l’amico fedele di molti, che sapeva gustarsi la vita.
Sbancor mi guida in questa ricerca attraverso gli scritti che scopro in continuazione sulla rete e mi racconta di Franco che sa parlare di problemi gravi e complessi, ma con un sorriso interno forte e chiaro frutto della sua umanità e della sua lucidità. E in questi scritti inseguo un filo rosso di significato – questo sì, veramente solo mio, che gelosamente scopro e custodisco dentro di me – fatto di nomi, persone, luoghi e avvenimenti che rimandano alla nostra infanzia e alla nostra adolescenza: vissuto profondo e condiviso. Così il ricordo diviene materia viva e ricca, pulsante di fatti, opinioni, ipotesi e strategie in un contesto vitale che promuove la riflessione, ma anche la voglia di sapere, la rabbia e perfino un nuovo e diverso impegno politico.
Per questo il mio dialogo con Sbancor non cessa. Per questo egli è nel mio presente.
Io so che rivedrò i suoi bellissimi occhi celesti, colmi di giustizia e di speranza.