Hemtrevlig (uscito su Accattone)

Sono arrivata alla storica rivista “Accattone – Cronache romane” dell’immane Lanfranco Caminiti in zona Cesarini, pochi mesi prima che chiudesse. L'idea della rivista era quella di prendere delle notizie dai lanci di agenzia (di solito fatti curiosi) e scriverci intorno delle storie. Sono stata felicissima di far parte di questo progetto e di uscire con tre pezzi, e di questo devo davvero ringraziare Lanfra che mi ha dato fiducia da zero. Ecco il primo.
La versione rtf è scaricabile qui.

 

HEMTREVLIG

Da «la Repubblica» web: VENERDÌ 6 FEBBRAIO – Morto in un camion – Uno straniero, di 33 anni, è stato trovato morto dentro un camion nel parcheggio antistante i magazzini dell'Ikea, alla Romanina. L'uomo dovrebbe essere morto per cause naturali perché il cadavere non presenta segni di violenza, ma la polizia sta aspettando i risultati dell'autopsia per chiarire le cause del decesso.

 

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Si era fermato all’autogrill di Fiano per bersi il settimo caffè. Doveva arrivare a Napoli, ma aveva sbagliato e invece di andare dritto sulla bretella aveva preso a destra verso Roma. Le otto. Ancora due ore e mezza e poi c'era. Aveva sbagliato l’uscita, cacchio. Sentiva quel dolore al petto, quasi fosse una tristezza. Ma era proprio un dolore fisico. Alla cassa aveva pagato con Euro di tre paesi diversi. A volte non si rendeva conto se stava andando da nord a sud o viceversa, allora chiudeva gli occhi e li strizzava per fare uscire l’immagine della cartina, ripetendo ad alta voce il nome della città di partenza e quella di arrivo. L’immagine finalmente compariva e gli tornava la sensazione di stare andando o in discesa (verso sud) o in salita (verso nord), come un trenino fatto scivolare avanti e indietro su un binario. Poi quel panino con la salsa tartara. Gli aveva chiuso lo stomaco e gliel’aveva sigillato con la fiamma ossidrica. Poi il caffè aveva finito di bruciare tutto.
Debolezza. Il dolore al petto aumentava, non si capiva dove finiva lo stomaco e dove iniziava il torace. Nausea. Sono solo stanco, ora mi passa. Basta con questi turni da otto giorni.
Trentatré anni, un terzo dei quali visti dall’alto di un TIR. Vecchio di camion. Che fatica le scale per tornare su dai bagni, che fatica arrampicarsi sul sedile. Musica. Ci vuole musica e passa il dolore. Riparte. Piazzola. Fermo. Scende, vomita il panino con salsa tartara macchiato di caffè. Risale, verso Roma. Controlla il cellulare, è carico e funziona. Chissà perché questa paura sottile adesso.
Napoli, Napoli, Napoli…. Dov’è l’uscita per Napoli?
Adesso sente dei dolori alla spalla, a sinistra. Attenzione a prendere la direzione di Napoli. Le tangenziali sono tutte identiche a parte le scritte, come le stazioni dei treni. Un brusio unico quando stai viaggiando e schiaffoni di vento quando sei fermo in corsia d’emergenza e le macchine ti passano a un millimetro, mentre stai appoggiato al guard-rail e vomiti ancora.

Hemtrevlig in svedese è un aggettivo che si può tradurre con “piacevole” e “accogliente”, fino a “intimo”. È composto da “hem”, casa, e “trevlig”, piacevole.
È la casa che dovrebbe significare il piacevole oppure il piacere sta nel trovarsi a casa? Queste abitazioni dell’IKEA, questi mobili solidi e rassicuranti, economici ma cool. Il catalogo fa pensare a case vissute con un gradevole disordine, oggetti buttati un po’ in giro e usati davvero, non messi lì per la foto. Senza patinature da brochure. Sono furbi. Una certezza ti occupa il cervello, arredandolo: ma questa potrebbe essere casa mia! Non quella col caminetto che non avrò mai, ma il mio schifo di appartamento di 36 metri quadri con lo sciacquone rotto e il muro che si sfoglia. C’è qualcosa di impiccione in questi cataloghi che mostrano scarpe da ginnastica sporche e fuori posto, bambini spettinati e cani scodinzolanti. I nomi degli oggetti sembrano esotici, così scandinavi, pensi, chissà che vogliono dire. E invece a volte l’oggetto è una cornice e il suo nome è appunto “cornice”, solo che chi cacchio lo parla lo svedese, oltre a quegli otto milioni di abitanti? IKEA ha creato un mondo di riferimento col suo linguaggio universale, l’ha inventato a partire da un supermercato del mobile monta-da-te. Così internazionale, ma così piccolo-svedese. Furbissimi. Ti dicono: noi sì che ci capiamo di arredamento, passiamo rintanati nei nostri appartamenti almeno sei mesi all’anno,  sappiamo tutto di quello che è buono e razionale per la casa, lo spreco di un metro quadro ci irrita, se una cosa non è funzionale ci fa schifo. Fidati. A poco prezzo una razio-casa accogliente e indolore. Se deve essere fatto che sia fatto bene. Così gli svedesi. Tutto molto razionale, anche la creatività.
Sentirsi a casa, stare comodi. È hemtrevlig. I divani sono per rincantucciarsi, lasciarsi andare al tepore. Lasciarsi andare. Andare, abbandonarsi. Casapiacevole, hemtrevlig.

Formicolio alle mani, la testa dentro una cuffia. Adesso mi passa. Tiriamo giù il finestrino, lo vedi che va molto meglio? Dove sono adesso, dove, ah sì, Roma, il G.R.A. Per Napoli, devo arrivare a Napoli. “Aurelia”? no, Aurelia diomio, va a Nizza l’Aurelia, nord, salire. Io devo scendere, sud. Avanti. Musica, lo vedi che è più facile con una bella canzone? Vento in faccia contro il dolore al petto, respirare più aria. Buffa sensazione di stare andando contromano, come se procedere fosse spingersi contro una forza ostile. Confuso dai cartelli, troppo stanco per capire, impigliato sulle righe tratteggiate della mezzeria. Il piede a spingere da solo sull’acceleratore.
“Ostia”. Dov’è Napoli? Il dolore al petto fuso nello stomaco si fa più intenso, diventa come un pugno ma allo stesso tempo è appuntito. Il G.R.A. è rotondo, dovunque vada mi porterà alla fine verso Napoli. Dovrei uscire. Per il centro, andare in ospedale. Ma non parlo la lingua, non so farmi capire, ho paura a entrare, ho solo bisogno di riposo. Sì, una notte di sonno, sdraiato sul morbido, basta arrivare a Napoli, passa tutto.
“Appia”. Ecco il cartello verde dell’autostrada per Napoli, mancano solo pochi chilometri. È difficile guidare su questa tangenziale, troppe scelte, troppo dolore. L’autostrada è facile, sali sopra e poi dritto, due ore e poi finito.
Non ce la faccio più. Non respiro.
“Anagnina”. IKEA.
Devo fermarmi. IKEA, come quello vicino a casa mia. La mia casa, il mio piccolo giardino che adesso con la neve sembra grande e morto. Aspetto l’estate e compro delle sdraio e poi per il compleanno chiamo tutti gli amici che non vedo mai, voglio che ci siano tutti, anche quelli della scuola, anche i cugini di Cracovia devono venire, compro una torta grandissima e spumante renano, mettiamo un po’ di bella musica che non l’hanno mai sentita, da noi non è arrivata neanche, figurati, mai sentite cose così, meglio del Buddha Bar. Poi Kristof ha quell’impianto di luci stupendo, voglio che si senta casino fino alla statale, che vedano tutti che non è disabitata. Ci abita qualcuno lì dentro, è casa mia, voglio starci un po’ di più, compro anche un divano nuovo più grande, anzi ce ne metto due e cerco di stare a casa ogni sabato, faccio feste, voglio una donna che sta lì così quando torno e apro la porta non c’è tutto quel silenzio e finalmente posso iniziare a mangiare bene, cibi sani, cose calde, niente più alcol, solo qualche birretta, non più questi bruciori di stomaco. Appena torno ci vado subito al capannone dell’IKEA. Il blu e il giallo immensi, tutti quei divani, le poltrone, i letti che si possono provare. Sdraiarsi sarebbe bello. Non respiro. Il parcheggio è vuoto, devo spogliarmi, mi manca l’aria. Adesso il dolore è una spada. Passerà, deve passare, se mi spoglio respiro meglio. Forse ce la faccio a scendere e andarmi a sdraiare dietro, mi basta mezz’ora, mezz’ora di riposo e ce la faccio, riparto per Napoli. Ce la faccio ad aprire il portellone, mi sdraio un attimo, tranquillo, deve fermarsi il dolore, il sudore. La paura.

Quel camion lasciato lì nel parcheggio, bianco. Davanti al mostro blu con la scritta gialla. Piccolo dinosauro albino che ha appoggiato la testa e si è lasciato andare. Hemtrevlig.

Accattone