Non senza un pizzico di emozione posto la mia prima recensione di un concerto a cui sono stata inviata con tanto di pass fotografico, felice che si tratti dei grandissimi Giardini di Mirò.
Evviva Slowcult!!! Sul sito anche alcune foto..
Heavy shoegazing – I Giardini di Mirò al Circolo degli Artisti, 9 gennaio 2010
Quanta potenza, tinte scure e fatica struggente in questo ennesimo concerto romano dei Giardini di Mirò. Difficile poter spiegare l’equilibrio sonoro di una band che seppur felicemente, autonomamente e originalmente insediata nel post-rock, dal vivo suona qualcosa di così vicino alle durezze del metal, se non pensando ai Sonic Youth, che però visti recentemente dal vivo ci sono parsi un po’ autoreferenziali e freddi. Qui no, non c’è uno scalino altezzoso tra “io faccio questo e se non ti piace ciao”, ma un tentativo emotivo, anche se nascosto sotto una timidezza shoegazing, di toccare nervi e comunicare di pancia. E infatti è amore e attenzione tra il pubblico romano e i GDM, affettuosità. Ripagata da un concerto di due ore piene con una sola piccola pausa tra la prima parte – la sonorizzazione de “Il fuoco”, film muto di Pastrone del 1915 – e la successiva tradizionale sequenza di brani.
“Il fuoco” convince: ci sono momenti in cui le sottolineature della band sono talmente eleganti e sintoniche che quasi paradossalmente spariscono rispetto alle immagini, riuscendo a compenetrarle in modo perfetto, denso. Di questo concerto abbiamo già detto nella recensione di Dark Rider qui, alla quale vogliamo solo aggiungere una menzione speciale per il crash suonato con l’archetto di violino da Emanuele Reverberi, con una potenza evocativa inarrivabile da un effetto sonoro sintetizzato.
Poi i brani dei primi tre album della band, che curiosamente ne sceglie ben tre da Rise and Fall of Academic Drifting, il loro primo lavoro (Pet life saver, Trompsø is ok e A new start) e solo uno ciascuno dei due successivi: Cold perfection da Dividing Opinions e Connect the machine da Punk… Not Diet! per il bis.
Mentre nel penultimo album (Dividing Opinions) la band pareva aver asciugato certe atmosfere un po’ glitch per scivolare nelle suggestioni ipnotiche dei migliori Slowdive, la più importante band showgazing del pianeta, gli ultimi Blonde Redhead – ma felicemente privi di Kazu Makino – e Whipping Boy, i ben tre pezzi nuovi (ancora senza titolo) provati col ricettivo pubblico romano lasciano presupporre un quinto album ancora diverso per la band di Cavriago. Forse più cupo e noise, sulla scia tonale della sonorizzazione de “Il fuoco”, il loro quarto lavoro. A sostenere questo stile chitarre e basso ben pestati e effettati spesso contro l’amplificatore, e fili d’argento di tromba e violino che duettano con tastiere equilibrate. Il frontman Jukka Reverberi fa un po’ di tutto, rubando persino il basso a Mirko Venturelli e raddoppiando la batteria di Francesco Donadello, che dal canto suo è davvero abile nel passare da momenti vibratissimi ad altri totalmente scarni e essenziali.