Online su Slowcult la mia TERZA recensione di Altai…

… ma non è ancora finita!! La quarta sta per uscire sulla rivista Loop.

Intanto questa, per Slowcult, il mio portale di cultura preferito (del resto delle persone che per il feed usano come richiamo “feedati” per me sono dei geni!), in compagnia della magica Monica Viola recensita dalla grande Gaia Conventi: sun is shining!

Il nuovo romanzo di Wu Ming è davvero diverso da tutti i precedenti, con una tonalità molto più intima e calda, profonda: innestandosi nel solco tracciato dall’ultimo lavoro solista (“Stella del Mattino” di Wu Ming 4) ne ha preso lo stile dolente e malinconico, per portare alla luce personaggi decisamente più sfaccettati, tormentati, alla ricerca di se stessi. Mai ombelicale, ma decisamente più denso sul piano introspettivo, in Altai non è la storia a filtrare i personaggi, ma sono i personaggi che la filtrano, la umanizzano, ce la fanno toccare con mano, sentire l’odore sporco della guerra, del massacro, della violenza. Il senso sovrumano dell’inutilità di qualsiasi progetto che non nasca per costruire qualcosa di nuovo ma per distruggere, occupare, eradicare. È la visione maschile del mondo che dialoga con quella femminile, e si chiede quale bellezza potrà salvarsi oltre la distruzione della Storia. E l’unica bellezza è quella dello sperare che la vita continui e si propaghi nel futuro con maggiore saggezza, che passi il testimone delle storie.
La storia di Altai si svolge qualche anno dopo la conclusione del loro primo romanzo e best seller “Q”, pubblicato dieci anni fa con un nome diverso (il collettivo al tempo usava lo pseudonimo di “Luther Blissett”) e ne ripercorre le atmosfere storiche. La scena si trasferisce però stavolta nell’Impero Ottomano alla vigilia della battaglia di Lepanto, dove i turchi subiscono la loro prima grande sconfitta: sarà l’inizio del loro tramonto a favore della sempre più potente Serenissima. Il protagonista è un nuovo personaggio che, come avveniva in “Q”, cambia nome e identità per ragioni di sopravvivenza ma anche di scelta: Emanuele De Zante, ebreo figlio di un ricco gentile veneziano, e agente segreto della Serenissima, è costretto a fuggire dalla sua città e rifugiarsi a Costantinopoli, dove riprende il suo nome d’infanzia: Manuel Cardoso. Lì è accolto dall’arcinemico di Venezia, l’ebreo Giuseppe Nasi, al quale finirà per dare supporto nel tentativo di costruzione di un regno per gli ebrei transfughi nel mondo.
All’interno di questa narrazione sono centrali i temi dei legami tra persone, con tutta la loro complessità: i legami di amicizia, di amore, di odio, di famiglia. Sembra che la Storia non sia fatta poi alla fine solo da macromeccanismi fatali così come si può percepire dai manuali, ma che sia composta anche dalle personalità, grandi o sconosciute, che concorrono a comporne l’affresco sulla base delle loro precipue vite, esperienze, sentimenti, dolori, rancori.
Come sempre, Wu Ming racconta la Storia a partire dalle storie, un piena ottica “New Italian Epic”, il saggio di Wu Ming 1 che ha diviso la critica letteraria italiana nell’ultimo anno, tracciando una tassonomia della produzione di narrativa a partire dalla sua capacità di raccontare il nostro mondo.