Si è da poco conclusa la nuova edizione del Nordic Film Festival di Roma, manifestazione organizzata dalle cinque nazioni scandinave (Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia e Islanda) per accorciare le ormai comunque brevi distanze tra Italia e Nord Europa. Una vera manna per cinefili raffinati, che anche per quest’anno hanno affollato la Casa del Cinema di Roma spesso non riuscendo a guadagnare uno dei posti di ingresso, peraltro sempre gratuiti – in questo senso, varrebbe forse la pensa di ripensare alla struttura del festival, cercando di distribuirlo su più sale. Il merito del tutto esaurito è da attribuire a una produzione filmica molto varia, di grandissima qualità, e ben ragionata e articolata dalle rappresentanze delle nazioni ospitanti. Curatissima la selezione: si può andare a una proiezione senza avere neanche idea di quale sia il film in programma.
Tra le cose più interessanti di quest’anno due pellicole sulla carta opposte “Us” del regista Mani Maserrat (svedese di adozione, ma di origine iraniana), e “Easy Money – Snabba Cash III” diretto dal premiatissimo Jens Jonsson. Opposte perché la prima è una storia quasi tutta di interni, di relazione, bergmaniana con un tocco vontrieriano, mentre la seconda è un action movie di quelli che ti resta l’acido lattico nel polpaccio, quando ti alzi. E allora, cosa hanno in comune? Un tocco di verità, uno sguardo potente sul femminile, quello che si annida nel maschile, quello che l’uomo, in qualche modo, disprezza ma invidia alla donna, la necessità di rubare, usare, sfruttare, ma anche amare ciò che la donna in modo apparentemente fragile contiene. Ma tutto è giocato sulla violabilità del femminile: quanto si può osare senza distruggere? Quanto male può una donna assorbire prima di dire basta? E quale modo può esistere per fermarla, se non quello impotente del sopruso? Il lucchetto che lega le due pellicole è Jens Jonsson, sceneggiatore dalla prima, e regista di classe della seconda, che è basata su un romanzo noir di Jens Lapidus, il terzo di una trilogia. C’è così tanta densità in questo regista, vincitore di molti premi importanti con corti e lunghi nonostante non abbia ancora compiuto 40 anni, che ogni scena è pastosa, epica.
Nel caso di “Us”, è ovvio, il merito va molto attribuito al regista Mani Maserrat che ha saputo dirigere magnificamente gli attori e rendere con inquadrature ben ragionate un senso di soffocamento, di assenza di spazio, di tensione e violenza sempre a un passo dall’esplodere, scoperchiarsi senza ritegno. Una storia difficile da raccontare, piena di intelligenza e insidie, che ha travolto il regista come un’ossessione, tanto da impegnarsi casa pur di finire di girare il film, sostenuto anche da attori e maestranze, anche loro pronti a lavorare gratis pur di completarlo. È stata la storia di questa disperata passione che ha incuriosito finalmente la co-produttrice Sandra Harms (che ha presentato il film al festival di Roma), facendole scegliere di prenderlo sotto le proprie ali. E alla fine i numeri del botteghino hanno dato a tutti ragione: risultati strabilianti, soprattutto per un film di questo genere, che ha generato un dibattito serrato e conflittuale, come spesso accade alle pellicole di Von Trier: amate, o odiate.
Infatti la storia è quella di un amore tra una donna fragile e un uomo nevroticamente possessivo, che finisce per diventare una sopraffazione, con momenti a tratti di abuso psichico e più raramente fisico. Gli spettatori si sono divisi: nella civilissima Svezia per alcuni si è trattato di una storia insultante nei confronti della donna (per come siamo abituati noi in questo paese ginecida –termine che io utilizzo al posto di “femminicida”–, fa quasi sorridere), mentre altri, per motivazioni opposte (ma identiche ragioni) hanno trovato che la donna ne uscisse vincente e più forte, come ha spiegato in sala la produttrice, raccontando come l’oggetto del contendere delle opposte fazioni fosse proprio lo stereotipo di genere. Sta di fatto che, vista con un occhio mediterraneo, la storia narrata è certamente forte, ma mantiene comunque una rocciosa stabilità di certi ruoli che da noi sono ancora la quotidianità, ma che in Svezia non sarebbero tollerati, né da uomini né da donne. In effetti, non stupisce che il regista, pur naturalizzato svedese, provenendo da una cultura come quella iraniana dove gli stereotipi di ruolo sono diversi, abbia avuto la perfetta sensibilità di comprendere e soprattutto rappresentare con fustigante chiarezza certe dinamiche.
In breve la narrazione: due insegnanti di scuola superiore si conoscono e si innamorano, ma lentamente Krister, un brillante Gustaf Skarsgård (degnissimo figlio di Stellan) lascia emergere una possessività e bisogno di controllo su Ida, la vibrante Anna Åström , che pur sentendo quasi da subito la pressione ossessiva di questo uomo, inizia a negarla a se stessa e anzi ritorce contro di sé un senso di indegnità, di colpa (in questo senso, ricorda Emily Watson de Le onde del destino). In una scena iniziale lui le dice “Jag kommer att älska ihjäl dig”, che non ha un corrispondente preciso in italiano ma suonerebbe come “ti ammazzerò con il mio amore”, e lentamente questa sensazione di costrizione cresce al punto che lei finisce per non poter più esprimere il suo impulso sessuale nei confronti di Krister, che con i suoi atteggiamenti le impedisce di fatto una libera manifestazione delle sue pulsioni fisiche. Per questo prendono una strada contorta, cercando inconsciamente sfogo in un giovane alunno e in un bisogno di punizione fisica molto umiliante, a cui lei si sottoporrà in un certo senso per potersi liberare per sempre della sua persecuzione, in un modo tanto paradossale quanto efficace.
Nonostante la scenografia e la struttura narrativa siano molto vicine a Bergman, con i lunghi dialoghi di coppia in interno, la sceneggiatura si discosta invece parecchio da quel tipo di modello dove sembra si affrontino due weltanschauung opposte, il Maschile e il Femminile, come fossero ruoli archetipi. In “Us” pare invece che la difficoltà sia intrinseca a questi due precisi essere umani, e che le parti potrebbero essere inverse, con la donna nel ruolo della possessiva controllante: molto più interessante quindi l’interazione psichica tra loro, la storia personale che ciascuno ha alle spalle, quali genitori, quale relazioni, quali ferite e aspettative, e in questo senso la maestria di entrambi gli attori a renderne la più minuscola sfumatura, seppure con estrema asciuttezza. Anche le scene di sesso sono per una volta totalmente realistiche e significative. Bravissima anche la coprotagonista Rebecca Ferguson, che nel film interpreta Linda, l’amica del cuore di Ida, con la quale pare esserci una vibrazione quasi vicina al desiderio fisico.
Completamente diverso il discorso per “Easy Money – Snabba Cash III” diretto da Jens Jonsson. Si tratta del terzo film di una trilogia ispirata ai romanzi di Jens Lapidus, uno scrittore di stampo ellroyano tradotto in tutto il mondo. Storie di mafia svedese, ben studiata dallo scrittore che è anche avvocato, e dettagliatamente descritta e trascritta in una sceneggiatura serrata e potente, ricca di personaggi sfaccettati e intensi, supportati da una recitazione veramente ottima. Non stupisce che sia già in produzione un remake hollywoodiano del primo episodio della serie, come è stato per “Uomini che odiano le donne”. Quello che la pellicola diretta da Jen Jonsson offre, di nuovo, è un’immagine forte del femminile, di solito un po’ troppo stereotipata soprattutto in film di questa matrice. La protagonista femminile invece, interpretata da una solida Malin Buska, pur in alcuni aspetti legnosi del suo copione, riesce a gestire e portare su di sé l’attenzione del pubblico, anche per l’evoluzione che il suo personaggio compie, non tutta “positiva” (questa la bellezza di certo cinema –e letteratura– europei) ma molto profonda e coinvolgente. Segue in parallelo la figura dell’altro protagonista, Jorge Salinas Barrio, interpretato da Matias Varela, pieno di anima e energia forte. Anche lui dalla parte sbagliata ma così pieno di umanità e fragilità.