L’epilogo di “Una lunga storia quasi d’amore” su La poesia e lo spirito

Dopo l’incontro con Sami ho scritto l’epilogo del racconto uscito una settimana fa su “La poesia e lo spirito”. Si chiama “Il cerchio che si chiude su una lunga storia quasi d’amore” e credo farà piacere leggerlo a tutti quelli che si sono appassionati della prima puntata ;o)

IL CERCHIO CHE SI CHIUDE SU UNA LUNGA STORIA QUASI D’AMORE

L’unico senso che posso trovare al non-amore da parte dell’uomo con la brucola è che se avessimo avuto una relazione, non avrei potuto concludere la mia lunga storia quasi d’amore con Sami.

Non sarei potuta andare a prenderlo mercoledì sera in albergo, il quindiciluglioduemilanove, a via Cavour. Arrivare lì dopo un passaggio fugace alla Libreria Flexi a prendere una bottiglia freschissima di Anarkos Rosé, con Gualtiero che ha appena finito di leggere il mio racconto e mi dice “non puoi bere con Sami in un bicchiere di plastica” e mi da due calici in vetro con la base rossa, eleganti e minuti, che temo di spezzare solo col tremore delle mie mani.

Riconosco Sami mentre scende le scale dell’albergo e lui riconosce me, lo facciamo di istinto, non di fisionomia. Sono passati 19 anni ma lui è sorprendentemente più bello, più uomo, più sensuale; con quegli sguardi un po’ obliqui e i sorrisi in bilico tra dolcezza e malizia. Facciamo finta sia tutto normale, mentre andiamo verso il motorino. Parliamo della gita a Pompei, del traffico di Roma, come se davvero non avesse nessuna importanza l’argomento ma solo il suono delle nostre voci e il sentire le sue mani sui miei fianchi mentre imbocco la via Nomentana, per la prima volta senza parlare a un ospite della simbologia della decorazione michelangiolesca di Porta Pia.

Lo sto portando a Villa Torlonia. Oltre all’Anarkos e i calici di Gualtiero ho salatini speciali e un plaid che stendiamo sul prato. Una piccola zattera sulla distesa erbosa dove ci accoccoliamo come bambini in gita, mentre le parole diventano man mano meno sciocche e le risate con cui condiamo le frasi scendono più in basso della gola, ispessendosi. Ci guardiamo intensamente ma col pudore di non darlo a vedere: siamo curiosi delle nostre rispettive anatomie, componiamo un corpo da un ammasso di parole scritte o dette che per 19 anni sono state la nostra unica sostanza. Prendono la forma delle sue mani, che forse non avevo mai veramente guardato, dei suoi occhi con quel taglio nordico, e ancora i suoi magnifici lunghi capelli castani. Chissà cosa sta guardando lui di me.

Non so più che ore sono, è un tramonto liquido e lentissimo, non ho nessun desiderio fisico di mangiare o bere, non ho bisogno di niente, vorrei solo continuare a essere; ma i custodi della villa ci annunciano la chiusura, è ora di andare a cena. Io e Sami per la prima volta al ristorante ci godiamo un banchetto allegro e affettuoso, saltabecchiamo tra mille argomenti fino al conto. “Dove vuoi andare adesso?” gli chiedo. Mi prende una mano e guardandomi negli occhi mi dice “Sai cosa? Mi piacerebbe andare a ballare con te”. È un’idea piena di energia, accattivante e sensuale, ma difficile da mettere in pratica. Perché vogliamo anche andare a casa da me: ho una sorpresa per lui. Le sue lettere di 19 anni fa, le sue bellissime lettere che gli porgo mentre siamo seduti sul bordo del letto di camera mia. È sorpreso, le guarda incredulo, come avessi fatto un gioco di prestigio. Lo invito a rileggerle, mi ringrazia con un filo di imbarazzo e un sorriso, poi si tuffa nelle sue parole. “È incredibile” commenta alla fine. Gli sorrido e gli chiedo se ha per caso voglia di rileggermi quella spedita da San Francisco, la mia preferita. Certo che lo vuole. È un’emozione enorme sentire quelle parole dalla sua gola, ogni tanto non riesco a trattenermi dal pronunciare insieme a lui alcune frasi che conosco a memoria.

Alla fine della lettura ci guardiamo negli occhi. Mi dice che non ha mai scritto delle lettere come queste, a nessuna. Che non ha mai provato così velocemente sentimenti tanto intensi, per nessuna. Che è orgoglioso di ciò che ha scritto, di quello che ha provato; che sente ancora quel bagliore. Appoggia i gomiti indietro e mi guarda dritta negli occhi, è serio, velato. La stessa frase di alcuni anni fa: “perché non hai scelto me Monica, perché hai bruciato la nostra occasione?”. Potrei dirgli che non ero pronta, che non ero in grado, ma non ho voglia di inciampare nelle mie parole e dico solo che non lo so. Lo raggiungo, mi sdraio accanto a lui, lo abbraccio. Da lì in poi, qualsiasi cosa sia avvenuta prima, c’è solo l’inevitabilità di una valanga che slitta sul fianco latteo di una montagna e non può, davvero non potrebbe in nessun modo fermarsi. Ci sono baci che sanno di adrenalina e miele, ci sono mani che non possono trovare pace, parole che tentano una diretta impossibile delle emozioni; c’è uno stare dentro che è il grido di un finalmente, totalmente, per la prima e quasi certamente anche l’ultima volta. Un amore breve e vorace perché è già ora di riportare Sami in albergo, da quella moglie e quei figli a cui cerco di non pensare; anche se so – con sollievo – che questo minuscolo amore non li potrà scalfire.
Invece che appagamento fisico sul mio scooter che sfreccia sulla via Nomentana va in onda una coda di abbracci sensuali e baci pieni di lingua; facciamo finta di starci tuffando nella notte invece che chiuderla. Sami mi dice “perché non andiamo a Copenhagen?” come se avessimo possibilità aperte. È solo per scherzo e lo sappiamo, ma ci racconta di noi, del nostro potenziale di gioco e d’amore.

Fermo lo scooter prima della curva di via Cavour. Voglio salutarlo senza paura degli sguardi di qualcuno dalle finestre. È una buona idea che ci consente un ultimo abbraccio e un lungo bacio da cui emergiamo con un “I love you” – “I love you, too”, poi lui si incammina verso l’hotel. Resto un po’ a guardare la sua schiena, accendo lo scooter e decido di fare conversione cento metri più avanti, per vederlo ancora un istante. Appena sente il suono del motore si gira di scatto con la speranza che sia io, mi sorride con gratitudine. Pensavo a un saluto con la mano, a un ultimo sguardo, ma lui scende dal marciapiede e mi viene incontro. Davanti all’ingresso dell’albergo il nostro ultimo bacio, sfacciato e imprudente, poi sparisce nelle porte girevoli.

Oggi la mia mail, poi la sua. Mi scrive che sarà sempre mio in così tanti modi.
Ma anche nessuno, penso, perché quello che doveva si è compiuto.
Perché abbiamo toccato con mano come “istinti e sentimenti possano essere reali dopo così tanti anni”, mi scrive. I pezzi si sono ricongiunti e tutto quello che c’era è ricomposto, quello che ci avevamo messo dentro. Il cerchio quindi è chiuso, resta un sentimento unico.

Ma il mio vero amore non è lì. Attende che torni l’uomo della brugola, quello con cui posso costruire meraviglie, se smette di temermi e capisce quanta dolcezza può trovare nel mio abbraccio.

Vieni da me, ti prego. Ti aspetto.