Il piano era questo: avendo letto il romanzo già in bozza, avrei dato una veloce occhiata al pdf di stampa, tanto per rinfrescarmi i passaggi di trama e i nomi dei personaggi. Ma leggere a video non mi garba, quindi ho ripreso la stampa della bozza, con la scusa che avrei fatto prima a sfogliarla. Così, sfogliarla, mi ero ripromessa. Alla quarta pagina ho capito non sarei riuscita, ché ogni riga bastarda era come la torta di Lewis Carroll su cui era scritto “leggimi”.
«Io non sono Veronelli, ma ogni volta che mi mostra orgoglioso una delle sue bottiglie da 6 euro, di case vinicole dai nomi finto araldici, mi viene da ridere, e anche una certa tenerezza. Quando lo assaggiamo – e puntualmente si rivela un vino mediocre che non vale la metà della pur bassa cifra che è stato pagato – io mi spertico in lodi al bouquet e all’equilibrio della struttura e pacche sulle spalle, sapendo di farlo contento. Di modo che alla fine, oltre a essermi dimostrato ipocrita, presuntuoso e superbo, posso dire di essere stato anche paternalista e falso. Si preannuncia un buon sabato.»
Verrebbe da chiedergli pietà a Pispisa, già dopo le prima pagine; di smetterla con tutta questa verità da reality: le meschinità, le bugie, le piccinerie, l'infedeltà, i tradimenti. Siamo davvero questi, senza punto interrogativo. E odiamo così tanto, e siamo così inetti, a braccia conserte davanti a noi stessi, schiavi delle nostre paure di perdere certezze, controllo, posizione. Anche se ci crediamo, e forse siamo, più intelligenti e brillanti della media. Pispisa si diverte così, a scoperchiare sepolcri. Per fortuna, in effetti.
E questo specchio ci conferma che non abbiamo passato neanche stavolta la prova costume. Il noi è generico, parte da un puntino relativamente piccolo, Messina, e si allarga come girare la rotella del mouse su google maps. E Walter Chiari (il protagonista che ha un nome popolare ma non populista – e contiene dunque la sua inconfessabile ambizione) si espande, suo malgrado, scivola in mondi più grandi e concentrici, trascinato da una forza di errore inerte, schnitzleriana, alla fine quasi troppo meschino per avere persino colpa del suo abisso; suo il delitto, e il castigo.
Come ogni scrittore vero, Pispisa muove dall’istinto la parola, il ruotare della frase; ma non se ne compiace perché – nel suo modo obliquo e sornione – sta sempre lavorando ragnoso alla sua trama. Il solito scacchista: muove le pedine impercettibilmente, gioca le sue carte come un baro, punta un occhio di bue sul cilindro per distrarti dalla manica e i guanti bianchi. Come un film di Nolan: solo alla seconda visione inciampi in tutti gli indizi lasciati cadere per caso, che avevi trovato decorativi.
E in questa realtà piccola di vestiti firmati, outlet, corna e provincia, spuntano la Massoneria e la Pax Americana, quasi assurdi, eppure inevitabili come movimenti tettonici. E puntualmente caschiamo nel finale ribaltato.
Ma Voi non siete qui fa un pochino più male del solito perché c’è desolazione in questa Sicilia senza nerbo e forse anche senza “fortuna”, e in questa narrazione – che pur non essendo autobiografica muove da alcune esperienze dell’autore – si sente in filigrana anche un po’ la tristezza di Pispisa per l’amico del cuore, Marco Saitta, che è “costretto” da anni a un dorato esilio parigino pur di poter lavorare ai livelli di ricerca che la sua competenza e intelligenza richiedono: proprio in questi giorni un suo lavoro rivoluzionario sulla teoria del genesi dell’universo conquista le pagine di giornali e riviste in tutto il mondo. Neanche lui è lì.
Guglielmo, tocca a te: hai punti di vista sui miei punti di vista? 🙂
Eh, Marco è un grande. Pensa che siamo stati compagni di banco dalla primina alla maturità. Poi lui ha fatto fisica e lì mi son dovuto arrendere 🙂
Il mio punto di vista? Io sono l'autore e dunque non conto più visto che il libro è uscito, conta solo il vostro. Ma cosa vuoi che ti dica, hai scritto una rece così positiva che anche se non fossi d'accordo, starei zitto. Devo dire che mi piace quella cosa che hai detto sulla parola mossa dall'istinto e del lavoro che c'è per evitare di cadere da lì nel compiacimento. È un lavoro che credo davvero di aver fatto. Sto rileggendo le mie vecchie cose proprio in questo periodo, per fare un po’ il punto e capire se a distanza di anni valgono e vale la pena per me continuare, e questo asciugare, rastremare la frase, fino a ometterla se è il caso, mi balza all'occhio e mi convince. Non potrei scrivere più come tre libri fa.
Seguo la scrittura da talmente tanti anni che mi permetto il lusso di dirti che sono d’accordo con te, a rischio di suonare condiscendente. Credo che la tua maggiore asciuttezza abbia dato un guadagno alla scrittura, anche se spero che tu non ti asciughi troppo: certe frasi sono belle da sgranocchiare! Ma veniamo a te “essere umano”, o meglio messinese: qui hai deciso di muoverti quasi in pantofole, restando nella tua città. È stata la storia che te l’ha imposto, o hai voluto consapevolmente toglierti qualche sassolino dalla scarpa? Parli quasi solo malino di Messina, che pure ha una sua eleganza belle epoque… perché?
Nessun sassolino. Dovevo per esigenze contrattuali (e poi mi sono accorto che volevo anche) scrivere più velocemente del solito e così ho scelto un’ambientazione che conoscevo a menadito, evitandomi così la fase della documentazione visto che avrei parlato di cose che conoscevo già. La città certo non ne esce benissimo ma non per una reale acrimonia verso Messina. Ho solo cercato di rendere il punto di vista di un abitante medio di una realtà periferica. Un abitante che nasconde (anche a se stesso) nelle riflessioni infastidite rivolte al suo luogo d’origine il disgusto che in realtà prova per se stesso. Messina, come immagino ogni periferia dell'Impero (e probabilmente anche il centro dell'Impero, seppur con differenti approcci) è piena di persone che si lamentano in continuazione dell’habitat circostante senza rendersi conto che loro ne fanno parte e ne sono artefici prima ancora che vittime.
Una risposta inaspettata e ficcante, bisogna dire! Chiudo con una domanda che pare rituale ma in realtà sento molto: che hai in pentola? Il progetto Kai Zen sbadiglia dopo la prima uscita per Mondadori, o si muoverà qualcosa?
Al momento non ho altro in pentola a livello individuale. Con i Kai Zen dopo Mondadori abbiamo pubblicato Delta Blues, una cover di Cuore di tenebra, per edizioni ambiente e un romanzo inedito è in giro per editori da un po’. Noi siamo vivi e vegeti, è il mondo dell'editoria a sbadigliare 🙂
“Voi non siete qui” di Guglielmo Pispisa, Il Saggiatore, pagg. 202. € 16.00