Et voilà, anche in vacanza un pezzo scritto al volo dalla California a proposito dei seggi elettorali visti ieri…. per l’Unità online
Un seggio senza segreti
I miei amici sono Democrats convinti e vogliono andare a votare presto, prima ancora di fare colazione.
“Occhei” dico io “vi accompagno che sono curiosa di vedere come sono fatti i vostri seggi”.
“Si vota in una scuola, qui nel nostro distretto.”
“In che senso ‘nel nostro distretto’, dove altro votate se no?”
“Beh un po’ ovunque, a volte affittano dei locali…”
“Quindi le scuole non chiudono?”
“Ma scherzi?”
Nei miei occhi italiani ci sono i disegni dei bimbi appesi alle pareti, i banchi impilati in fondo alla classe, la lavagna contro il muro, e non riesco a immaginarmi la scena. Che infatti è tutta diversa: la scuola funzione regolarmente, è solo stato allestito un seggio nei locali della biblioteca, dove alcuni bambini peraltro vengono comunque a prendere volumi in prestito. Ci sono delle bandiere stelle e strisce all’ingresso, ma sono quelle dell’istituto. Solo un cartello giallo per strada informa in inglese, spagnolo, filippino e vietnamita, che il seggio è all’interno della scuola, e un altro cartello ci dice dove una volta nel cortile. Mi guardo intorno alla ricerca delle forze dell’ordine, quei ragazzotti con la faccia seria e compunta che ci sono all’ingresso dei nostri seggi elettorali, a guardarti come stessero sorvegliando proprio te, sì, te che entri tenendo in mano la carta di identità a panino sulla scheda elettorale. Qui non si vede lo straccio di una divisa. “In altri seggi a volte la polizia c’è, ma si cerca di evitare, potrebbe avere un effetto intimidatorio”.
A questo seggio invece ci sono solo tre persone: un presidente e due attempate signore che controllano le liste. Il presidente si comporta come il cameriere del ristorante della sera prima “Come stai oggi? Hai visto che giornata magnifica? Piena estate eh?” manco dovesse venderti qualcosa. È lo stile americano, ancor più californiano, quella finta confidenza come fossimo amiconi. “Se hai bisogno di aiuto siamo qui apposta eh?”. In effetti le scritte sui pannelli informativi sono sempre nelle quattro lingue del cartello che ho visto fuori e dicono in ciascun idioma che se hai bisogno di aiuto per capire meglio come votare, loro sono a disposizione per dare supporto anche linguistico. Come fossero dispiaciuti perché il libretto per votare che hanno mandato a casa è solo in inglese. Lì ci sono spiegate le varie cose su cui votare, i candidati, i referendum: 50 pagine dove si illustra chi è chi, si presentano le leggi, si possono mettere le croci sui vari nomi in modo da far prima a compilare la scheda nel segreto della cabina elettorale.
Solo che il segreto della cabina elettorale non c’è: ci sono invece otto postazioni di appoggio per scrivere, come quelle degli istituti bancari, messe in fila e attaccate una all’altra, a cui gli elettori si appoggiano per compilare la scheda, di spalle al banco per la registrazione che è solo a tre metri di distanza: non ci vorrebbe niente a leggere quello che scrivono, a controllare cosa fanno. Anzi i miei amici parlano continuamente tra loro, si passano il libretto di informazioni, lo discutono, entrano l’uno nello spazio cabina dell’altro così, confrontando le schede.
Sì perché il mio amico il suo libretto l’ha lasciato a casa, ma lo fanno votare lo stesso, basta che dia l’indirizzo e un documento. C’è scritto così, è la legge: a nessuno può essere rifiutato di votare se maggiorenne e in possesso di un documento, ovunque si trovi. Perché l’importante è facilitare il voto. Tutto ruota intorno a questo: che la gente esprima la sua preferenza. Che sia il più semplice possibile, che si voti settimane prima per corrispondenza o di persona nelle postazioni per gli “early voting”, purchessia.
Chissà da noi che succederebbe, se votare fosse una faccenda così poco ortodossa. Forse ci terremmo un presidente a vita…