Tampone

Qui bisogna spiegare una cosa: di mio, non mi sarebbe mai venuto in mente di scrivere un racconto sul tampone uretrale ;o) Il motivo per cui l’ho fatto è stato che mi era arrivata notizia che gli ottimi Michele Governatori e Paolo Papotti volevano mettere su un’antologia su questo argomento (!), quindi ho deciso di provare e mi è uscito questo racconto ienesco e maschilista. La raccolta poi non si è fatta più ma il racconto è stato pubblicato sull’ormai defunto (purtroppo) sito di letteratura FaM l’11 gennaio 2005, e poi anche sul numero 8 del grande Toilet. Questo racconto è veramente antipaticissimo, ma mi piace sempre un sacco.

La versione rtf è scaricabile qui.

 

TAMPONE

So esattamente il momento in cui è iniziato tutto. Quella mattina che facevo pipì al bagno con  la porta aperta, come al solito. Guido è entrato e mi ha guardato velocemente ma dalla testa ai piedi, notando a mezza coscia le due cunette di carne ai lati della mia mutanda lilla, quella con l’elastico troppo stretto. So che le iridi non si allargano, ma giurerei che quelle di Guido quella mattina l’hanno fatto, come se quel corpo ormai un po’ troppo rotondo seduto per un’innocua pipì non fosse stato quello di sua moglie (che aveva visto pisciare almeno migliaia di volte, stavamo insieme dal liceo), ma quello di una donna sconosciuta sorpresa per errore-orrore nel bagno di un autogrill.
– Scusa!
– Vabbè, sto solo facendo pipì, chiudimi la porta và.
Mi è sceso un imbarazzo senza ancoraggio al reale ma concreto quanto quelle iridi larghe, e quindi mi è arrivato un venticello di spavento. Mi sono guardata le cosce, ho tolto le mutande e invece di buttarle con la roba sporca le ho tirate nel cestino. La bilancia mi fa “59 chili” e io mi ricordo quando 56 mi procuravano inquietudine e senso di colpa alimentare. Mi ficco sotto la doccia.
Esco, vado in cucina e lo trovo seduto con in mano un biscotto che si gratta la guancia. Tasto il terreno simulando uno sbadiglio di distensione. Abbocca subito risbadigliandomi. Bravo. Incidente concluso.

Poi un sabato, mentre parliamo di come festeggiare i suoi trent’anni, a un certo punto mi fa:
– A proposito, oggi pomeriggio vado a giocare a tennis con Luca.
– Ma và?
– Sì sai, mi ha chiamato, dice che è una vita che non giochiamo e in effetti è vero, saranno tre anni. Mi inizio a appesantire, e poi non lo vedo mai Luca, col fatto che è single non ci sono tante occasioni. Per la verità, sono io che l’ho chiamato.
– Boh! Io le vedo in continuazione le mie amiche single, non mi sembra tanto difficile. Invece di restare a casa a guardare la TV potresti organizzarti qualche uscita di maschietti in contemporanea con le mie uscite di femminucce, no?
– Sì, e poi mi inizio a appesantire.
– L’hai già detto.
– Lo ridico.
– Vuoi dire che anche io mi inizio a appesantire?
– Madonna Cristina quanto sei permalosa! Anzi, non sei permalosa, sei egocentrica.
– Ah grazie, ci voleva per iniziare bene il week-end. Allora la vuoi fare o no questa cazzo di festa di compleanno?

Tennis tutti i sabati. Io mi iscrivo in piscina. Siamo a giugno, la sua festa di compleanno la passa incazzato. Alle 11 e mezza accende la TV e Marco fa “Oh, se diamo fastidio ce ne andiamo!” e Guido stiracchia un sorriso, ma non spegne. Siamo 10 coppie, tutte senza figli. Non capisco perché se ne vanno una alla volta invece di andarsene quanto meno a gruppi. Da mezzanotte e mezzo alle due non faccio che stare in piedi sulla porta a salutare persone che pur non avendo avuto un cazzo da dire fino a quel momento esplodono all’ultimo istante con aneddoti che manco mia zia (già detti il giorno prima al telefono, mentre stavo guardando la fine del film) per il solo piacere di tenermi lontana dal divano, il bicchiere di vino che va scaldandosi e le patatine fritte. E Guido ancora lì seduto, la TV sempre accesa a volume azzerato. Fa finta di non guardarla anzi, fa finta di fare finta di non guardarla. In pratica non la guarda ma ne è assorbito. Marco non si è dato retta ed è l’ultimo ad andarsene. Lo fa per poter sparlare di tutti quelli che lo hanno preceduto. Provo con uno sbadiglio slogamandibola ma so già che non funzionerà. Dice “Allora ciao!” solo quando Guido spegne all’improvviso la TV.
– Metto un po’ in ordine io, vai intanto a letto se vuoi.
– Non farti tutta la cucina da sola, facciamo insieme domani mattina!
È che vorrei trovarlo che dorme. Entrare piano piano nel letto come un serpente freddo e silenzioso, per evitare che si svegli. Non ho voglia di scopare la scopata del compleanno. In realtà mi sa che non va a nessuno dei due, quindi l’iniziativa tocca a me. Di fare piano in modo che lui possa fare finta che non l’ho svegliato, e che peccato ieri ti aspettavo a letto ma sei arrivata dopo un secolo e alla fine mi sono addormentato.

Sotto l’ombrellone mi facevo il mio Bartezzaghi e c’ho messo un paio di secondi a capire che mi stava dicendo qualcosa.
– Capito? Quindi sono quindici anni esatti da quando ci conosciamo.
– Non ti sentivo, scusa. Che conosciamo chi?
– Io e Luca, Andrea, Francesco, Luigi e gli altri, la mitica quarta C.
– “La mitica quarta C”? Madonna, parli come un film di Muccino, ma che sei in crisi esistenziale?
– Cazzo significa! Sto dicendo solo che a settembre sono quindici anni che ci conosciamo, è bello no? Ho vissuto metà della mia vita conoscendoli.
– Bene! – e ripiglio in mano il Bartezzaghi.
– Per cui sto organizzando un week-endino.
– Che week-endino? Non sapevo niente di ‘sta cosa.
– Te la sto dicendo adesso, non è che sto facendo chissà che alle tue spalle, ho solo mandato qualche sms. Sto fissando per la terza settimana di settembre, l’Oktoberfest.
– Ah.
Non ho ripreso in silenzio a fare il Bartezzaghi per sdegno o ostentazione, è che non sapevo cosa dire. “Vai pure” sembrava l’autorizzazione della mamma, “Sono contenta per te” non era vero. Potevo dire solo “ah”, un “ah” atono come i miei sentimenti di quel momento.

Guido lamentava dei pruriti di cui non ricordava l’inizio. “Penso da quando ho ricominciato a giocare a tennis con Luca, le docce, gli spogliatoi”. Boh, mi sembrava improbabile che lui strisciasse il pisello sulle mattonelle della doccia o lo appoggiasse per sbaglio sulle panche dello spogliatoio, manco c’avesse avuto la ceppa di John Holmes. “È il caldo, Guido, anche a me vengono queste irritazioni con il caldo. Ora vedrai che con l’acqua di mare passano.” Non erano passate, perché faceva troppo caldo. Per questo non si scopava, faceva troppo caldo, e per questo Guido non riusciva a dormire, e restava la sera seduto sul terrazzo con gin & tonic e cubetti sciolti a fare le ore piccole. Da solo. Nel silenzio della notte arrivava ogni tanto fino al mio letto il ticchettio dei tasti del cellulare, con il soffocato brusio del vibro. È il caldo. Anche andare al bagno sempre chiudendo la porta.

Torna dall’Oktoberfest una mattina presto. Doveva farmi uno squillo per dirmi l’orario di arrivo esatto e invece mi suona direttamente il citofono e lo aspetto sulla porta. Apre l’ascensore con scuse non richieste.
– Luca ha detto che voleva prendere l’autobus come facevamo al ritorno dalle gite scolastiche. Che cazzata, però hanno detto tutti di sì e mi scocciava fare quello che….
– … che c’ha la moglie che lo va a prendere?
– Perché pensi subito male? Possibile che non posso farmi un week-end con gli amici?
– Penso male che? Ma che c’hai la coda di paglia? Ti ho mai fatto pesare che te ne andavi per il week-end? Non ti ho neanche mai telefonato!
– Ci mancava solo, dopo che ti mandavo 3 sms al giorno!
– E che te l’ho chiesto io? Figurati che io mi sentivo messa nella parte della moglie ansiosa, non me l’hai mai mandati 3 sms al giorno!
– La prossima volta non ti mando un rigo e basta!
– Bello! Avete in programma qualche altra rimpatriata scolastica? Non scrivermi niente, vattene bene a fare in culo da solo.
Slam di porta, sparisco a fare la spesa, per due ore. È una puntata che abbiamo replicato parecchie volte ma oggi faccio la sceneggiata con poca convinzione. Torno su, apro la porta e vado in cucina, so che arriverà alle mie spalle e mi darà un bacio sulla nuca. Faccio finta di non sentire che si avvicina, come nei film, dove sono tutti sordi, mi giro piano e lo abbraccio, e finiamo con la scena della scopata rappacificatrice, che ci viene peraltro bene dato che scopare in cucina è piuttosto coreografico, e siccome è scomodissimo la cosa dura al massimo 7-8 minuti (stavolta sono addirittura sei, ho visto scattare le 10.49 sull’orologio del forno mentre mi sollevava piazzandomi sul ripiano), quindi il tutto prende un contorno di “desiderio incontenibile oddio quanto scopiamo bene io e te nonostante sono 11 anni che lo facciamo” e infatti ci sbrighiamo in 6 minutini, così posso finalmente mettere i surgelati in congelatore.
Svuota la borsa del viaggio tirando fuori una serie di oggetti che portano tutti indistintamente la scritta OKTOBERFEST MŰNCHEN. Una parata di cagate dozzinali ma troppo presuntuose per essere ironicamente kitsch. Sembrano ostentare che a Monaco c’è stato veramente. Guido, che non compra neanche le cartoline nei grandi musei perché sono volgari. Mi fa:
– Ho preso anche una carta telefonica tedesca per Dino.
– Non le colleziona da quattro anni!
Volevo suonare scanzonatamente spiritosa e invece mi è uscito sarcastico. Purtroppo la scopata rappacificatrice l’abbiamo già fatta, e Guido ormai non me ne regge più due nello stesso giorno, quindi faccio l’allegra e cambio discorso. È stato il caldo, non ne fa più di una al giorno, anche se adesso non fa più caldo per niente, e sempre una rimane.
Due ipotesi: o ha portato la troia in Baviera, oppure sono rimasti in città e lui è andato stamattina in stazione a prendersi questi souvenirs del cacchio da Luca, che sull’elemento probatorio dell’alibi si è fatto prendere troppo la mano. Non l’avrei mai detto, ma il giorno dopo mentre si fa la doccia finisco a guardargli i numeri chiamati al cellulare. Nulla di preoccupante, a parte un certo Pietro N. di cui non ho mai sentito parlare. Potrebbe essere uno pseudonimo dietro cui si cela una Luana magrissima, coscia lunga e ventre piatto, oppure uno dei suoi cinquanta colleghi di lavoro. Potrei chiamare e sentire se risponde una con la voce miagolante oppure una rude voce maschile, ma tanto resterei col dubbio che sia nel primo caso la moglie della Rude Voce Maschile, che ha preso il telefono perché il marito è in bagno in seduta (ma in realtà si sta facendo una sega allo specchio), o, nel secondo caso, il marito della miagolona Luana.
Quindi lascio lì.

Poi Guido inizia a essere sempre più nervoso. Torna a casa e chiede se è arrivata la posta, tutte le sere. La carta di credito? Ha fatto qualche utilizzo imprudente e ora si tormenta? Quando arriva il rendiconto della carta la apro decisa. Gli dirò che mi sono confusa con la mia, che in realtà è arrivata il giorno prima ma l’ho nascosta nel cassetto. Non c’è niente, nessun alberghetto due stelle di nessuna città. Quando gli do la busta scusandomi mi dice figurati che problema c’è, e gli da appena un’occhiata. È cool sul serio. Avevo sbagliato obiettivo.
Tre giorni dopo ne arriva un’altra, bianca. L’indirizzo è vergato a mano, non è incollata. Apro, felpata. Uno stampato di ospedale. Leggo solo la prima riga sotto l’intestazione. C’è scritto: “Esito di tampone uretrale”.