Una nuova recensione del concerto dei Massimo Volume, uscita con grande ritardo su Slowcult per problemi al sito… Eccola qui!
Massimo Volume: ricominciare da uno
Roma, 29 aprile 2010, INIT
Non sono pochi quelli che considerano i Massimo Volume un tassello essenziale della storia del rock italiano: un gruppo fondativo. Difficile dargli torto, avendo riascoltato tutta la loro musica dal ’93 al ’99. Infatti quando la band si è ricomposta nel 2008 dopo sei anni di altri progetti (sia musicali che letterari), i fan hanno esultato. E non si è di certo trattato di un’operazione “commerciale” – per quanto il termine nel panorama indie rock suoni pletorico – nonostante il gruppo abbia fatto uscire il suo primo live l’anno scorso (Bologna Nov. 2008), ma di una evidente necessità di esprimere nuovi contenuti.
Suonare dal vivo quindi con la formazione di base – Egle Sommacal alla chitarra, Mimì Clementi a basso e voce e Vittoria Burattini alla batteria – e in più la chitarra del talentuosissimo Stefano Pilia. Non per puri concerti amarcord però, ma anche (forse soprattutto) per ritrovare affiatamento e provare pezzi nuovi: la band è tornata in studio a registrare proprio in questi giorni.
Il gruppo “bolognese” (per adozione geografica) ha appunto deciso di mettere in cantiere una serie di brani nuovi: i concerti di questi ultimi mesi (ben due a Roma) stanno facendo da test con il pubblico. E i fan, si sa, proprio perché affezionati al passato, possono anche essere molto duri con le “innovazioni”. Ma certamente non in questo caso e non qui all’INIT dove il pubblico ha dato una risposta molto calda proprio ai lavori in cantiere – concentrati soprattutto nella prima parte – che sono stati sei, cioè quasi la metà del concerto. Pezzi ruggenti, solidi, densamente rock, potenti, e con una grinta e emotività che davvero non fa rimpiangere nulla del loro celebrato passato. Anzi la scelta di suonare molti brani del loro primissimo album del ’93 (Stanze) invece che pescare di più dai successivi crea una continuità stilistica forte con le sonorità attuali della band.
Ci dice Vittoria Burattini nel backstage che la scelta di suonare pezzi di quell’album è legata al fatto che provandoli si sono resi conto che c’era un’energia rock, una durezza che in effetti è quella che ora funziona, quella che il pubblico “chiede”. Ha ragione Vittoria, la sua grinta così timida e insieme sfacciata trascina per i capelli un pubblico ipnotizzato dalle chitarre di Egle Sommacal e Stefano Pilia. In effetti avendo sentito suonare Egle in ben tre formazioni diverse negli ultimi mesi (del suo progetto con il quartetto di fiati potete leggere qui), una delle quali ancora insieme a Stefano Pilia (nello spettacolo Razza Partigiana eseguito con Wu Ming), è incredibile riscontrare una capacità così camaleontica di questo musicista, che rivela una versatilità strumentistica (oltre che melodica) assoluta. Stefano poi a mio avviso è uno dei migliori chitarristi sperimentali post-rock in circolazione (sempre che sia possibile chiudere questo ragazzo in un genere), con collaborazioni importanti alle spalle: tenetelo d’occhio.
Che dire poi di Mimì Clementi? Basso struggente, voce magnetica, testi sempre più densi, elaborati, potenti, e certamente non basta un primo ascolto per sentirne tutte le sfaccettature. Ma si percepisce una maturità più calda: la temperatura si è alzata. La platea lo ascolta come un profeta ma anche come un cantastorie sentito in pochi, seduti attorno a un fuoco notturno. Aspettare l’uscita del prossimo disco sarà un virtuoso esercizio di pazienza.
Di Monica Mazzitelli