Nuova uscita per il mio blog di arte preferito, Bcomeblog!
Stavolta ho scritto di una personale dedicata a un artista intrinseco il cui lavoro mi ha colpita, e che ho intervistato: Carlo Gabriele Tribbioli.
“Reperti per il prossimo milione di anni”: il rituale mortuario si fa performance
Non poteva che essere una mostra personale questa dell’artista romano Carlo Gabriele Tribbioli alla Federica Schiavo Gallery di Roma, aperta fino al 17 novembre 2012 (con sospensione fra il 4 e il 12 novembre per andare a Torino per Artissima). Sarebbe davvero difficile infatti immaginare di abbinare qualcosa a questo intenso lavoro che nel titolo Reperti per il prossimo milione di anni spiega già la sua intenzione/tensione.
Il valore di questa personale non è estetico – ad eccezione di alcune lastre fotografiche di elaborazione analogica dell’autore – quanto piuttosto concettuale, simbolico, rituale, mitopoietico. Carlo Gabriele Tribbioli ha operato una performance documentandola con un video (in esposizione) nella quale ha messo in atto un rito di trapasso e seppellimento che si lega alle tradizioni di epoca latina.
Il luogo che ispira e dove si consuma la performance è il Lago d’Averno, un bacino di origine vulcanica nelle vicinanze di Napoli, considerato anticamente come porta degli Inferi. In questo contesto l’artista ha eseguito e costruito il suo lavoro, che si è concluso con l’atto performativo finale: far giacere il suo corpo come morto su una tavola lignea avvolto in bende di lino per 24 ore, con intorno a lui gli oggetti per l’utilizzo nell’aldilà: ciò che una volta appartenuto servirà ancora. In più altri oggetti rinvenuti intorno al lago, per lo più rifiuti abbandonati come fermagli rotti, pezzi di plastica, oggetti senza valore che l’artista raccoglie e sceglie come un archeologo, quasi un paleontologo che voglia comprenderne i significati e gli usi. Nella prima sala della mostra infatti è disposto su un tavolo tutto il materiale utilizzato in una serie di scomparti e scatole di raccolta che hanno un sapore da museo archeologico in disarmo, ogni pezzo con il suo cartellino da inventario dall’aria grigia, abbandonata. L’artista celebra se stesso dandosi l’importanza di un reperto, in sintesi, e opera un’azione di esorcizzazione della morte prendendo una serie di oggetti relativi al suo fittizio trapasso per conglomerarli in un parallelepipedo di resina trasparente, definito da Tribbioli con l’appellativo “Il Grande Corpo Solido”, che è il punto focale dell’atto conclusivo della sua performance: lo butta nel centro del lago, con l’intento di creare una preservazione repertuale per i futuri archeologi del nostro spazio terreste, tra un milione di anni.
Carlo, raccontaci la genesi di questo lungo lavoro che ti ha impegnato per tre anni.
Il lavoro nasce dalla determinazione a pensare e costruire un oggetto tale da mantenersi, muoversi e significarsi nelle distanze temporali iperboliche immaginarie che il titolo suggerisce. Dunque il tempo, le sue concezioni e il suo problema da un lato – l'oggetto, il suo corpo e il suo proprio dall'altro. Nel mezzo l'agente, la coordinata che individua il contributo d'energie, il quale percepisce improvvisamente come propria la necessità di compiere una tale operazione.
C’è un’esorcizzazione della tua (umana) paura di morte in questo progetto/performance?
No. Non vi è mai stato un tale presupposto o obbiettivo.
Lo spirito così retrò della tua quasi “polverosa” e museale presentazione è una connotazione precisa di stile?
Direi che é la connotazione estetica propria del lavoro, formulato in archivio, pensato in effetti anche come para-museale. Il deperimento di alcuni dei materiali contenuti é accidentale, dovuto alle ahimé talvolta pessime condizioni di conservazione degli stessi fra il 2009, anno di conclusione delle attività, e il 2012, anno nel quale viene mostrato al pubblico.
C’è una sensazione di “consumo” negli oggetti moderni e per lo più inservibili che hai raccolto intorno alle rive del lago e inserito tra il tuo materiale. Una condanna o un tentativo di riscatto estetico della spazzatura in quanto tale?
Quegli oggetti nascono, per me, accolti da una disposizione particolarmente generosa e partecipativa stipulata nei confronti del contesto e dell'occasione nel quali sono stati reperiti: un appuntamento privato fra me e il caso sulle sponde del lago d'Averno. Nonostante la loro natura apparentemente effimera non li ho mai identificati come spazzatura e, conseguentemente, non ho mai voluto farne gli strumenti di un suo riscatto estetico.