Ha vinto Draghi, che è un uomo perbene.
La risata di Franti non l’ha seppellito perché Franti non si è visto. Nonostante fosse 299.500 persone, si sono viste solo le restanti 500, gli ubriachi molesti che hanno rovinato la festa. I pochi teppisti erano visibili: fischiati, insultati, presi di mira da tutti gli altri, ma quelli in uniforme non li hanno fermati. Hanno aspettato che la situazione degenerasse per aggredire in massa: cariche, lacrimogeni, camionette eccetera, il solito copione di quando si vuol far fallire una spinta.
Ero lì, fino alla prima carica. Li ho visti.
All’inizio, alla partenza del corteo, ho notato solo i poliziotti e carabinieri in borghese. Sono così facili da individuare, un esercizio la cui simplicitudine è pari a quella de “Il corvo parlante” della Settimana Enigmistica. Riflettevo sul perché lo fosse; avevo enucleato appunti per un metodo che condividevo con gli amici: “Le scarpe, guardate le scarpe! Anche quelli più mimetizzati si riconoscono dalle scarpe” o dal logo “Attenzione, si tradiscono dalla maglietta che anche se è sdrucita ha il marchio Nike”. Ma poi ieri all’improvviso dopo anni di manifestazioni mi è stato totalmente chiaro da cosa si riconoscono gli infiltrati: hanno la faccia brutta. Che sia scocciata, annoiata o cattiva, hanno una faccia diversa dagli altri, emanano un’altra frequenza energetica. Ed è così palese, come buchi neri nel cielo stellato.
Ma ieri non c’erano solo infiltrati. C’erano anche i “compagni che sbagliano”, c’erano i teppisti professionisti, gli ultras-de-tutto borderline e probabilmente anche gli anarco-fascisti. Sono arrivati più tardi, hanno aspettato strategicamente che il corteo fosse tutto distribuito da piazza Repubblica a Piazza S. Giovanni e poi hanno agito.
Sono serviti a criminalizzare mediaticamente una bellissima folla carezzevole e colorata, una massa impressionante di gente che esprimeva consapevolezza e dissenso, che prendeva posizione.
Riflettevo su questo: sono le masse carezzevoli e colorate che “cambiano lo stato delle cose presenti” o le lotte dure e testosteroniche? L’amore per i più deboli asserito e assertivo, o l’odio che spacca?
I diritti e il progresso sociale come li abbiamo ottenuti, col pacifismo o con lo scontro?
Io credo con lo scontro ma penso che adesso sia diverso. Credo che queste manifestazioni, pacifiche o violente, non cambino nulla dell’asse globale del mondo. Che l’eco debolissima dello sparo del lacrimogeno non possa sovrastare il brusio dell’aria condizionata di un ufficio agli ultimi piani di un palazzo asiatico dove se decide quanti ettari di terra fertile si debbano comprare in Etiopia; che non faccia alzare il sopracciglio di chi ragiona su oleodotti in paesi che finiscono per -stan di cui non conosciamo neanche la collocazione sul mappamondo; o faccia accarezzare la barba di uno sceicco quando ha finito di stabilire quanto greggio vada estratto quel giorno, per controllarne il prezzo mondiale.
Le notizie politiche che davvero ci servono le potremmo trovare incartate dentro alle notizie noiose e troppo lunghe dei quotidiani di economia (non quelli italiani, comunque) se avessimo davvero la forza e costanza di leggerli, come faceva Sbancor che ci ha lasciati davvero tanto orfani.
Il resto, di cui non vale neanche la pena di informarsi, sono squallori da piccola politica italiana, polituncoli da strapazzo, grandi e piccoli, che ormai da anni non forniscono una rappresentanza parlamentare alle mie idee politiche. Ideali politici. Anzi, di più: ideologie politiche, evviva le parole che pesano.
Io credo che queste manifestazioni non cambino nulla della direzione profonda nel mondo. Nulla di NULLA. E non ci vado per far finta di crederci, no. Ci vado per due motivi, personali.
Il primo è un motivo politico: non è possibile non andare. Non dire chi sei, non dire che sei contro, non essere incluso nel conteggio di chi vede l’orrore, non dire no, non cantare, saltare e persino urlare, perché l’ignavia e l’indifferenza sono il Male, un male che ti risucchia e ti ammazza e toglie speranza agli altri, ci rende manichini vuoti e spenti, ci polverizza e ci nullifica tutti.
Il secondo è personale: vado perché ho bisogno di sentire questa rete, questa appartenenza, questo mondo. Ho bisogno di non sentirmi aliena e sola, sconfortata, impaurita, preoccupata per il mio futuro (ma anche per il presente), e di quello delle persone che conosco –o che non conosco– e che amo.
Questo ho capito ieri: non è la politica parlamentare ad avere bisogno di me e della mia protesta, visto che i governi hanno ruoli molto marginali, dettaglistici. Si limitano per lo più a eseguire gli ordini di Lord Darth Finance Vader, che li mette in pratica in buona parte attraverso il braccio elegante, paternalistico, condiscendente delle grandi banche e delle loro istituzioni, come la Banca Centrale Europea.
So the winner is Mr. Draghi.
Io continuo a cercare di ridere come Franti perché non saprei fare altrimenti, ma so di non essere convincente.