Ho scritto un post per i miei amici e conoscenti di facebook, riferito a quanto mi accingo a fare oggi, primo novembre 2013. Si tratta di qualcosa di molto personale, che non avrei mai creduto adatto a un luogo "pubblico" come questo mio sito personale.
Tuttavia, non solo la quantità sorprendente di apprezzamenti e commenti che ho ricevuto mi ha fatto pensare di postarlo qui, ma soprattutto la qualità di ciò che mi è stato manifestato mi ha fatto pensare che potesse avere un suo valore più ampio. La cosa che mi ha più colpito è stato il sentimento di amore universale che quanto ho espresso ha saputo generale, non solo ciascuno per sé, ma ciascuno per l'altro. Ho pensato che fosse una cosa rara e bella, che meritasse un suo spazio qui.
PRIMO NOVEMBRE
Poco dopo Canale, quello spiazzo erboso sulla sinistra, dove c’è un’edicola della Madonna, col tettuccio spiovente di legno. È lì che ci siamo fermati, la mattina del 25 agosto 1981, per fare inversione di marcia e tornare a casa. Avevamo dimenticato di prendere il tuo vestito blu, quello acrilico coi fiorellini, che prediligevi. Avevamo quasi inchiodato sulla provinciale, imprecando per la dimenticanza, quasi fosse grave fare tardi all’appuntamento con il niente all’ospedale di Belluno dove eri da poco morta, mamma.
Avevo subito pensato che non fosse il vestito giusto per una bara, avrei voluto che fosse di un tessuto in grado di decomporsi con te, sbriciolarsi in nulla assieme al tuo viso, la tua pelle, le tue ossa. Non qualcosa che anche dopo mille anni sarebbe rimasto integro, persino nei suoi colori invisibili nel buio della bara. Ed è stato un sollievo, adesso che ti ho fatta cremare, sapere che quel vestito non ti è sopravvissuto, che è cenere con te, nella piccola urna dove ci sono i tuoi resti.
Sto venendo a prenderti mamma.
Domattina, primo novembre, andrò nella casa di Roma in cui sono cresciuta a prelevare l’urna di mio padre. Ha voluto essere cremato per poter stare accanto a mia madre, in un’idea di eternità, nel piccolo cimitero di montagna, vicino al torrente, sotto lo sguardo delle Dolomiti Agordine. Salirò da sola su un treno a Roma Tiburtina e nessun passeggero saprà che nel piccolo trolley nero che porto con me c’è l’urna di mio padre. Microscopici fiocchi di cenere che sono stati lembi della pelle della sua fronte, quella che ho accarezzato così tante volte gli ultimi mesi prima della sua morte, per addolcire la sua fatica di sofferenza ospedaliera. Quelle carezze che lui ha accettato docile e grato, come un bambino finalmente rassegnato, sospirante.
Arriverò alla stazione di Mestre e troverò la mia Amica Andreina, che si fa 300 chilometri di strada per venirmi a prendere e stare con me, come il più affettuoso dei mariti. Caricheremo papà in macchina, e andremo a prendere la mamma all’agenzia delle pompe funebri che si è occupata in questi giorni della sua cremazione. Sceglierò la lapide per il loculo, il carattere della scritta, dirò le date; e poi caricherò anche la mamma in macchina, e li porterò entrambi nella nostra casa di montagna, quella che hanno progettato e fatto costruire insieme mentre io, feto nel ventre di mia madre, sviluppavo ossa, polmoni, cuore, occhi, cervello, e le dita con cui ora scrivo. Staranno lì per tre notti, da soli, nel posto che hanno entrambi amato più di ogni altro luogo sulla terra. Entrambi dall’ospedale non sognavano che quello: poter tornare nella loro magnifica casa.
E lunedì mattina porterò le urne al cimitero, per l’inumazione nel loculo che ho acquistato, e tutto sarà compiuto. E tutto scorrerà come il torrente accanto, che dopo alcuni chilometri finisce nel Piave, che termina nell’Adriatico; e il vapore del mare si farà pioggia e poi neve per le montagne che ne tratterranno le acque per alimentarne ancora lo stesso torrente: la medesima molecola d’acqua farà lo stesso percorso; come tutte le volte che io sono passata per Mestre, per andare a casa.