Ho pubblicato il mio primo racconto per unonove. Ce l’avevo lì da un po’, mi mancava un po’ il coraggio, ma poi ho deciso che mi piaceva, ha credo una sua forza sgradevole che mi piace molto, che mi assomiglia molto. Sgradevole, ma affidabile. Per questo ecco a voi “Membrana memoria di pesce“, ladies & gents.
Membrana memoria di pesce
Che tu non dovevi vedermeli i piedi, altrimenti non riuscivo a godere. Come se qualsiasi sfacciataggine sessuale fosse concessa purché tu non scoprissi la radice del mio più profondo piacere, guardando le mie estremità. Lì si annidava e si annida il mio segreto, un segreto che io stessa non conosco. Ma niente piedi, altrimenti non riesco a venire.
Cosa c’è in quelle dita: forme cilindriche coperte di pelle e unghiute, un po’ prensili, dinoccolate, col collo che si inarca naturale come fatto per andare sulle punte. Cosa raccontano se li guardi durante il mio piacere, cosa puoi rubarmi per sempre, solo vedendolo?
Ho pelle che sale troppo alta tra il secondo e il terzo dito del piede destro, qualche millimetro di membrana come un vago ricordo di essere stata natante, milioni di anni fa. Quella membrana che fossi una spoglia senza testa dopo un disastro aereo farebbe dire a mia sorella “è lei, questo è il suo piede destro, lo vede? Aveva le dita palmate, mia sorella”. Il segreto della mia identità. È questo il mio mistero?
È questo che non devo svelare? Questo che non dovevi vedere altrimenti non riuscivo a godere?
Avevo coperto i piedi sotto il lenzuolo, e avevo goduto tra le tue braccia, attraverso le tue mani. I tuoi piedi che guardavo per la prima volta, come per la prima volta vedevo te. Qualcosa notato di sfuggita mi era parso anomalo. Ma ero venuta e basta, poi, con le mie estremità nascoste sotto il lenzuolo, quella notte di frustate di mare grasso e prodigo.
La mattina avevo guardato i tuoi piedi nudi sul pavimento, ricordando quella percezione di anomalia rimossa: avevo visto la tua unghia del sinistro troppo lunga. Unghia dall’aria maligna e lunghissima, di colore malato e malevolo. Spiegazioni ti avevo chiesto ma tu “l’ho tagliata male”. Bugia numero mille.
Così eravamo in due a custodire un mistero. Dei miei, dicevi, non volevi sapere. Le mie vergognose fantasie, dicevi, mai mai mai non dirmele mai. Ma dopo alcuni giorni invece mi chiedevi di svelartele, quando il tuo desiderio di me si affievoliva e volevi altro carbone da gettare nella bocca della caldaia per stantuffare la locomotiva del tuo piacere, il tuo desiderio compulsivo di sesso unico antagonista al tuo terrore di morte. Ma non te le dicevo, schermente.
Forse due amanti sfacciati come noi avrebbero potuto svelarsi i loro più intimi segreti, mostrare i piedi nel piacere.
La mia quasi invisibile membrana memoria di pesce che mi fa tornare a galla anche dopo un distruttore come te. Batto i piedi e torno su, trovo aria e respiro, per quanto tu mi abbia agguantata per una caviglia e trascinata giù fino alla melma del tuo fondale. Torno a galla quasi affogata, ma solo quasi. Qualche giorno di respiro affannato e doloroso poi sono io, ancora.
E la tua unghia. Il mistero della tua unghia malata e mortale, malvagia, tiranna e egoista. Sospetto che quei due centimetri torti e artigliosi ti servano a provare dolore. Un cilicio podalico che usi per espiare la tua colpa, quella di aver scelto di ammalarti, irresponsabile e fragile. La tua unghia ti tormenta un po’ e quel dolore lo offri al tuo Dio veterotestamentario che esige punizione, che non dispensa perdoni. Pensi possa alleviare il tuo odio per te stesso. E invece è talmente abbondante che tracima da te e sommerge anche chiunque ti stia intorno, chiunque ti ami. Solo odio nasce dall’unghia del tuo piede. Solo mistero dalla membrana del mio. Qualcun altro meriterà di guardarlo, nel picco segreto del mio piacere.
[Foto Monica Mazzitelli, foto editing Ivan Arillotta]