Sono veramente perplessa e dispiaciuta dal tipo di prese di posizione sulla questione “burkini” che ho letto sulle bacheche di Facebook di gloriose femministe, compagne, amiche. Al di là del goffo editto francese (che mi pare più manipolatorio e dettato da un desiderio di ridicola “vendetta”, che non da un progetto politico), è piuttosto inquietante per me sentire impugnato un valore di “libertà” per la questione, come se questa libertà esistesse, ma soprattutto come se l’argomento non facesse parte di diritti costituzionali sui quali non è legittimo a mio avviso accettare alcun compromesso. Il rispetto delle culture non può eliminare quei valori morali, etici e politici che sono il frutto di 200 anni di cammino illuministico e oltre 100 anni di lotte femministe.
Tollerare che a una donna sia imposto dalla propria convenzione sociale (che lei la possa “accettare” o meno è un’altra questione: la verità è che non ha possibilità di scelta pena l’esclusione dal suo gruppo di appartenenza) una copertura che non protegge la sua libertà, ma tutela unicamente il timore del suo Patriarca (chiunque sia: marito, fratello, padre, nonno, capo della comunità) di perderne, foss’anche per una mera fantasia sessuale, il suo esclusivo possesso e sottomissione. Di questo si tratta.
L’integrazione culturale non si fa con gli editti, certo, ma passa al contrario con il fornire a tutte le donne strumenti tali da renderle consapevoli e quindi libere di scegliere, ma accettare l’oscuramento del corpo in nome della “libertà” è qualcosa di molto osceno. Come restare immoti di fronte a neonazisti che ingiurino ebrei, o fascisti che invochino 10, 100, 1000 stragi delle Fosse Ardeatine. o mafiosi che rivendichino la gestione illegale dei propri affari. Non c’è alcuna differenza morale, etica, politica, costituzionale nell’aberrare e sanzionare rivendicazioni di questo tipo rispetto a quella che c’è nel farsi complici di una sottomissione, umiliazione, coercizione, calpestio e abuso dell’integrità di una donna che – si pensi bene! – va nascosta non per “contenere” se stessa, ma per ciò che la sua contemplazione può generare in un altro, al quale si toglie ogni responsabilità personale. La donna colpevole perché possibile oggetto di desiderio. La punizione della donna per ciò che forse suscita. La punizione della donna come generatrice per ipsa natura di desiderio, concupiscenza, bisogno di sottomissione, vagheggio di stupro. Che – attenzione – non è in lei, ma nell’altro, che è nel suo diritto di concupiscenza perché “provocato” dalla forma femminile. Nessuna responsabilità per l’incontinenza maschile. E nessuna possibilità per la donna di rifiutarla, semplicemente, se non le è gradita. Come se attivato un meccanismo di copulazione, la donna dovesse esserne necessariamente parte complice – anzi di più: provocatrice. Un argomento che potremmo associare come metafora all’uomo diventato diabetico che vince la causa contro il pasticcere che lo ha provocato esponendo le sue torte in vetrina.
Per me parlare di “libertà” in questo contesto è una bestemmia contro la donna, una reiterazione della cultura dello stupro, una connivenza omertosa. Un conto sarebbe criticare il provvedimento francese all’interno di un discorso complesso sugli strumenti di cambiamento culturale; altro questo finto appello alla libertà, che trovo davvero crudele, irridente e beffardo.
E ritengo anche che non aiuti affatto un “avvicinamento” alla cultura islamica, che non ha davvero bisogno di tutelare queste (ricordiamolo sempre) minoranze ultraortodosse che non sono rappresentative dell’Islam. Lo dico per l’esperienza che ho di amiche musulmane con cui sono stata al sole: loro in bikini, io con ariosi pantaloni e maglietta, ché non amo mettermi in costume.