Una narrazione per Lpels (ora anche su unonove), a cui tengo molto. Questa è vita.
Istantanee sbagliate
Questo gioco che faccio ogni tanto: penso che vorrei vedere una Polaroid di me, scattata qualche anno dopo. Una foto del futuro presa magari di corsa, sfocata, con le figure piccole ma riconoscibili, che mi sveli chi sarò diventata, con chi starò, in che luogo.
Così ogni tanto ci inciampo in queste immagini, in quelle illusorie, beffarde. Come quella del mio ultimo compleanno ad agosto, a Stoccolma: la bimba dai capelli rossi in braccio, tenuta come figlia, amata come figlia. L’avessi vista sedici anni fa quell’immagine, poco dopo il mio matrimonio, ne sarei stata felice. Mi sarei detta che bella donna che sei diventata, con il tuo marito svedese. Siete a Stoccolma, chissà se ci abitate o se siete lì solo in vacanza, ma questa è di certo la tua bambina, così uguale a lui; a te non assomiglia, ma non importa: guarda quanto è carina, guarda con che felicità la tieni in braccio, come una Madonna col bambino. E invece tuo marito è un ex, e questa figlia non è la vostra, ma la felicità di qualcun’altra; anche se la tieni in braccio e con amore, anche se lei ti vuole bene.
Quell’altra foto, vista domenica scorsa all’Ikea. Sorridevi misurando scrivanie con il metro di carta, ti grattavi una tempia leggendo se il lavaggio fosse a secco o in lavatrice. Accanto a te, con la lista degli articoli e la matitina di legno, l’uomo che hai amato più di chiunque altro, quello per cui hai saputo rivoluzionare tutto anche scoccati i quarant’anni. Per lui sei fuggita dalla villa su due piani arredata con intenzione eterna, e mentre uscivi ti grandinavano addosso pietre fredde di colpa. Quella foto sì: a vederla cinque anni prima ti saresti sentita sicura di ciò che confermava perché lui era diverso da tutti, il migliore, quello che ti faceva sentire libera, finalmente, senza confini. Solo che quell’assenza di limite si era trasformata nell’inesistenza di progetti, di noi, di figli. E la foto di voi due insieme all’Ikea domenica scorsa eri tu che lo aiutavi a comprare delle cose per il suo nuovo appartamento, dopo che oltre all’amore era finito anche il tempo della vostra convivenza da fratellini affettuosi: il momento di stare ognuno per conto suo era sceso come un manto, la festa finita.
E la foto di oggi di te alla stazione, alla testata di un treno. Aspetti qualcuno che sei felice di vedere, però chissà perché hai anche una valigia in mano. Lo vedi arrivare bellissimo, col suo passo elegante, la sua testa svetta sulle altre. È proprio splendido con il suo sorriso ingenuo e quel cappotto che il vostro amore estivo non ha mai conosciuto. Ed è quasi commosso a rivederti, la felicità gli esplode sul viso. Te l’avessero mostrata ad agosto questa foto avresti pensato: che bello.. lo scatto è di febbraio, e sono io che lo vengo a prendere in stazione: allora poi sarà diventato mio, l’avrò avuto, avrà lasciato quell’altra, per me. Quanta gioia in questo scatto, l’avessi visto ad agosto. E invece sei lì per incontrare quell’uomo a cui vorrai per sempre bene perché dopo aver chiuso per due mesi la vostra relazione siete tornati da poco a essere amici. E nel frattempo ne hai conosciuto un altro, che ti fa sentire emozioni forti e spaventose; che non può darsi fino in fondo. Per questo hai una valigia in mano, in stazione. Perché dovevi partire e invece sei restata a casa: ti ha detto di non andare, tre ore prima del tuo treno. E le cose che avevi preparato ti sono rimaste impigliate tra le dita, piegate con inutile cura, scelte ciascuna tra cento.
La sabbia che ti scorre tra le mani, e l’unica certezza di ogni immagine è che ci sei tu, e che sei migliore. Non più felice, ma migliore.
[Lo scatto è mio]