Una recensione per il quotidiano Off.
Rtf qui.
L’intensissimo romanzo della Fazzi, passato un po’ inosservato in Italia, pubblicato da Gallimard
A volte anche l’editoria sforna piccoli miracoli, quando ci sono occhi svegli e ricettori intelligenti e spregiudicati. Sono rarissimi ma per fortuna ci sono, a ricordarci che a volte si sopravvive senza santi in paradiso. È il caso di Giulia Fazzi, giovane scrittrice carpigiana “scoperta” dal gruppo de iQuindici (i lettori volontari costola del collettivo Wu Ming), edita in Italia dall’editore romano Gaffi, il cui romanzo “Ferita di Guerra” è stato appena pubblicato dal prestigioso editore francese Gallimard con il titolo “Blessures de guerre”. Questo è un onore concesso a pochi – a “poche” ancor meno – che dà speranza al magma dei giovani scrittori italiani spesso ingiustamente invisibili.
Ma questo romanzo in effetti meritava davvero una sorte migliore: è la storia molto intensa e attuale di una giovane operaia che continua a fare le sue rivendicazioni senza piegare la testa, indifferente al mobbing e alle mille pressioni che subisce, tanto che alla fine subirà l’estrema ratio della pressione: lo stupro da parte del padrone. Una storia che si regge su un parossismo raro ma non infrequente, che assurge ad atto simbolico di una molestia – quella sessuale – che è invece largamente diffusa nei luoghi di lavoro. Il cammino di recupero dallo shock di questo trauma tesse con grande emotività lo sviluppo della narrazione, con una prosa che resta però sempre precisa ed asciutta.
Pensi che sia questo il motivo per cui è piaciuto così tanto a un colosso editoriale come Gallimard? Quali sono i suoi punti di forza?
Sì, credo che questo aspetto della scrittura sia molto piaciuto. In “Ferita di guerra” non ci sono preziosismi, non c’è una ricerca formale, la lingua e la narrazione seguono il percorso emotivo ed esistenziale della protagonista, le poche luci e le sue tante ombre. A Gallimard credo sia piaciuto anche il fatto che quella che ho scritto non è una storia intimista e ombelicale ma potenzialmente universale, che parla di lavoro, di potere, di conflitti di classe e di genere. E descrive una giovane donna lontana dagli stereotipi. La forza di “Ferita di guerra” è in Lisa, la protagonista, è nella sua voce che emerge con la potenza devastante di un trauma che non può essere taciuto a lungo.
Come è successo che il tuo romanzo sia stato selezionato?
Sono stata contatta da Vincent Raynaud, l’editor di Gallimard per la narrativa italiana, che l’anno scorso ha letto il romanzo del tutto casualmente, scaricandolo dal sito de iQuindici dove è disponibile per il download. “Ferita di guerra”, infatti, è pubblicato con la clausola del copyleft. Vincent lo ha poi proposto al comitato editoriale che ha deciso di pubblicarlo. Senza il copyleft, tutto questo avrebbe avuto tempi molto più lunghi.
“Nemo propheta in patria sua” è uno di quei proverbi che ha retto davvero bene la sfida del tempo. Come mai un romanzo di questo valore può passare inosservato?
È molto difficile riuscire a farsi notare in un mercato così inflazionato. In Italia, come sappiamo, si scrive tanto e si legge poco e i romanzi scadono più in fretta di una bottiglia di latte. I grandi editori monopolizzano la distribuzione e la promozione sulla stampa, per un piccolo editore è difficile trovare uno spazio. Poi, certo, bisogna lavorare bene, avere i contatti giusti, inventarsi strategie. Spero che la Francia sia l’inizio di una seconda vita per “Ferita di guerra”. Chissà, se saranno i francesi a fare di “Ferita di guerra” un successo, può darsi che pubblico e critica italiani gli dedicheranno più attenzione.