Esercizi sulla madre di Luigi Romolo Carrino, Perdisa Pop
Non è un libro semplice, questo, nel bene e nel male. Non è un libro della sera, o del treno: è un libro che va propriamente letto, anzi imparato a leggere, cosa che si fa dalla ventesima pagina fino all’ultima. La parola in alcuni passaggi è davvero preziosa, incidente, perturbante, auto compiuta. A volte troppo: la parola si gonfia e pretende tutto, anche di non essere capita; altezzosa, distante. E a volte ciò che si narra è iperbolico, sovradrammatico, implausibile, mi ha lasciato una sensazione di eccedenza, di volontà di effetto; anche se non penso che l’autore ne avesse il proposito. La sensazione che ho, invece, è che Carrino volesse provare a guardarsi dentro uno specchio mentre vomitava, piangeva, gridava, ma tutto piano, tutto solo mouse e tastiera, con persino qualche sorriso di bravura che ci sta tutto: la sua penna è compiuta e poetica, raffinata.
Ci vuole un anticoagulante, e tempi morbidi, per compiere il viaggio di questa lettura, che non è per tutti, e non è per qualsiasi giorno. “Esercizi sulla madre” è la storia di un bambino di 38 anni che abbandonato dalla madre una notte di 30 anni prima non ha mai smesso di escrescere intorno a quella fuga senza addio, di cui solo nella conclusione ribalta il finale.
Si logora nei falsi ricordi inventati per far passare quelle ore fino all’alba, creature mostruose con cui gioca a esercitare ogni sentimento, per torturare se stesso e sua madre. Un tentativo di tenere ferma la solitudine che lo rende completamente solo nel mondo.
Urgente e necessario potrebbero essere due aggettivi che definiscono la tua postura nei confronti della scrittura questo romanzo. È così? Perché?
Inevitabile, aggiungerei ๐ Ho scelto, tra i miei due mestieri che so fare, quello della scrittura, di occuparmi della parola scritta. Ho una responsabilità e, pur sapendo che non è che io sia Proust, nel mio piccolo la sento tutta quanta addosso.
La tua risposta parla di un "peso", ed è quello di queste pagine dense e a tratti scontrose. Anche se nessuno scrive davvero per se stesso, quanto ha inciso il tuo stare con te stesso rispetto alla poesia del comunicare?
Sono uno che sta bene da solo. Ma sto bene anche con gli altri. A differenza di quello che scrivo, nella vita sono meno “drammatico” e un po' più “brillante” (una commedia, in pratica). Questa scissione è in verità solo apparente, perché quando scrivo io vivo e la vita è fatta di momenti differenti, a volte “pesanti” e a volte “leggeri”. Stare da solo mi insegna ad arrivare sempre più diretto con la scrittura, migliora la mia comunicazione sulla carta.
Hai scritto cose molto diverse tra loro, fino ad oggi, nonostante l'unità del tuo stile narrativo. Una scelta voluta? Cosa viene adesso?
Sai, non lo so quanto siano diverse. Certo, i neomelodici di “A Neopoli nisciuno è neo” (Laterza) manco a martellate li posso accostare a esercizi, nonostante siano usciti tutti e due nel 2012, a pochi mesi di distanza. Adesso sto lavorando al seguito di Acqua Storta.
Un sequel!
In realtà, sto lavorando al prequel, contemporaneamente. Il prequel si intitola “Era di maggio”.