Sono consapevole che questo post che ho appena pubblicato su "La poesia e lo spirito" non piacerà molto. Tuttavia, l'ho scritto perché è ciò che sento oggi, domani e per sempre, e volevo scriverlo da tempo.
Penso a uno qualunque dei terroristi che si è fatto saltare ieri sera a Parigi. Penso alla sua sorpresa (forse non grandissima) nel non trovare le 72 vergini ma solo altre anime non più sofferenti – quelle delle persone che aveva appena ucciso con il suo gesto. Anime non più sofferenti tutte, anche la sua, dopo quel dolore acuto e straziante di aver ammazzato, odiato e poi ammazzato, altre persone. Penso al suo momento di rimorso, a quel taglio molto più forte dell’esplosione che lo ha dilaniato, a quello strappo finalmente del vero, del velo.
Penso alla sua nascita, alla sua infanzia, ai genitori o ai loro surrogati che non lo hanno saputo accogliere e amare, che lo hanno ignorato e disprezzato, trattato con brutalità, picchiato, punito. Offrendogli solo una scuola di odio per se stesso.
E su questo odio di sé è stato così semplice costruire altro odio, per se stesso e per gli altri, e trovare una ragione “santa” e legittima a questo buco nero di angoscia: una religione, un motivo, una causa, un anestetico, un oblio. Qualcosa per riscattarsi dall’odio si sé, ma anche per trovare un motivo per terminare quella sofferenza con un suicidio – finalmente – che fosse tanto fine del dolore quanto apice di riscatto: finalmente l’amore di tutti, la stima, le preghiere, l’elevazione. Il tardivo Riconoscimento dell’Eroe. Finalmente Santo, finalmente Degno.
E penso ai suoi genitori o a chi altro si è occupato di lui da infante a bambino e poi ragazzo. Persone senza esperienza di vero Amore, persone vuote di sentimento e senso perché vittime anche loro di uguali genitori, figli a loro volta di sola violenza, di freddo, di crudeltà. E così i loro genitori, e i genitori dei genitori, in una catena di pietre gelate. Penso a cotanta serie di anelli di brutalità psichica e fisica concentrata in queste persone così disperate, tenute insieme da una potente droga di religiosità istituzionale.
E alla loro sorpresa dopo il grande strappo, di trovarlo alla fine davvero quell’Amore mancato, senza Dei vendicatori con bianche barbe seduti su scranni dorati con in mano un Libro. Solo Energia di amore che fluttua dentro e fuori, in un tutto unico. Trovare quello stato di benessere, di accettazione, e di perdono. Trovarlo insieme a quelli che aveva appena ammazzato. Da quelli. Riceverlo da loro.
E darlo, a sua volta, a quelle persone che sono state spesso indifferenti. Che hanno vissuto in un mondo di benessere con la convinzione segreta che gli fosse dovuto, che il dolore, la guerra, la fame, lo stupro, il malessere, la violenza, l’angoscia e la crudeltà del resto del mondo non avesse a che fare con loro. Che il loro diritto a una vita confortevole fosse un diritto francese inalienabile, come lo avessero guadagnato punto e basta. Per essere nati lì invece che in uno slum di Nairobi.
Hanno perdonato non solo l’un l’altro, ma anche se stessi. Si sono detti che hanno fatto ciò che hanno potuto, anche se avrebbero potuto fare meglio. Decisamente meglio. Che il Male da adulti si sceglie.
E che sarebbe stato bello aver saputo prima che c’era questa possibilità di perdonarsi e quindi amarsi, e attraverso questa accettazione e amore di sé, potersi finalmente aprire al mondo, a tirare giù dal “cielo” quella benedizione e viverla già qui, già oggi, su questa terra, dentro ai nostri corpi imprecisi, ai nostri sentimenti chiusi e inesatti.
Cambiare di senso alla parola “abbandono”: non più un lasciare, buttare via, ignorare, esporre al dolore, non trattare con attenzione e cura; ma “abbandono” nel senso di potersi appoggiare con fiducia, certi di essere protetti, accolti, amati. Come la radice dalla parola “Islam”, che significa “porsi in uno stato di sicurezza”, derivata a sua volta a salām, che vuol dire “pace”.