Non ho avuto inizi facili. I miei primi vent’anni sono stati un urlo trattenuto e rappreso, scivolato via nel gorgo della morte di mia madre e di mia nonna. Non ho avuto spazio emotivo per vivere il mio menarca, o la mia sessualità, o la mia bellezza. I successivi venticinque ho cercato di riprendermi da quello spavento, come un gatto sfuggito alle fauci di un cane se ne sta arrampicato sul muro a leccarsi una zampa. E neanche in quegli anni ho potuto vivere le emozioni collegate ai cambiamenti fondamentali del mio corpo − gestazione e maternità − perché ero sterile.
Mi ricordo che fino a poco tempo fa ogni tanto facevo qualche battuta sull’avere le caldane, nei giorni più torridi d’estate, con quel filo di disprezzo impaurito che si prova per un tempo brutto da cui si pensa irrazionalmente di essere esenti.
Le caldane, che cosa assurda, imbarazzante, persino un po’ volgare.
La menopausa, un male solenne come un sepolcro, dove nessuno va volentieri, e di cui si preferisce non dire.
Mi ricordo quando la mia ginecologa me ne parlò qualche anno fa, con lo sguardo serio, dicendomi che lei stessa, quando entrò in menopausa, non ne era affatto pronta. Che tutto il contraccolpo di stanchezza e disturbi connessi lei li aveva vissuti quasi come una punizione, perché nessuna donna l’aveva preparata. E la letteratura l’aveva letta, certo, ma non era la stessa cosa di quella narrazione rassicurante che si può fare da madre a figlia, da sorella a sorella, da amica ad amica, perché la fine della fertilità è un tabù di cui ci si vergogna, donne e uomini.
Non è strano, anzi è puntigliosamente, rigorosamente naturale: l’esemplare di homo sapiens femmina è uno dei pochissimi esseri viventi del pianeta che sopravviva alla propria infertilità. Tutti gli altri sono fertili più o meno finché vivono, homo sapiens maschi compresi, con le debite eccezioni. Rispondono all’esigenza di continuazione della propria specie; anche in questo senso la satiriasi dell’anziano sulla giovane ha una sua ragione biologica, alla quale la pettinatura di evoluzione psicosociale dovrebbe tuttavia dare strumenti di elaborazione.
Ma la donna no. Senza la chimica oltre una certa età smette di poter generare. Eppure non muore, ma resta, in questo momento regalato, tutto suo, unico. Resta senza servire alla sua specie, anzi e nonostante: bocca da sfamare nella scarsezza e nella carestia della tribù stanziale, piede lento nella tribù nomade.
Con le sue mucose ed epidermidi più secche, i seni più appesi, gli occhi meno tersi, la donna resta. Resta, esemplare unico, vittoriosa di un dono, di 24 ore nuove ogni giorno, di 365 giorni ogni anno.
Resta ed è più libera e più saggia di sempre, distaccata senza essere cinica, con il cuore conservato caldo e accogliente, come un fulgido addobbo di Natale dentro la sua ingiallita ma sempre integra carta velina. Libera di usare più tempo per sé, di coltivarsi.
La menopausa è una rieducazione ad avere più pausa. I disturbi o variazioni che accadono nel corpo della donna servono implicitamente a questo: a darsi più attenzione e più tempo. L’epidermide secca chiede più cura del corpo, automassaggio con creme e unguenti − più carezze. L’asciuttezza vaginale ricorda quanto sia importante donare il proprio corpo nella parte più intima solo a chi veramente ci piace, ci merita, sa eccitarci, sa aspettare, sa giocare con noi, sa amarci integralmente. La stanchezza serve a ricordarci di non essere sempre così efficienti, giocoliere, dedicate, stressate, inarrestabili: ci offre del tempo in più per stare ferme, assaporare, sentire, dormire; ed è un bene, perché questo è il periodo in cui homo sapiens è più a rischio di infarto e ictus. La maggiore facilità a prendere peso e l’osteoporosi ci obbligano a dare più attenzione a quello che mangiamo, a prepararci il cibo con più affetto, e a trovare un’attività fisica piacevole che diventi un momento di amore, di pausa e di ricarica per noi. E se ci sono problemi legati all’umore, è perché questo è il tempo giusto per prendersi cura delle ferite del passato; e se il presente è scoraggiante si può, si deve, trovare il coraggio di cambiarlo. La menopausa è il tempo per sé, è la carezza per noi, per quello che è più importante; è la volontà di scegliere.
Amo il mio corpo che cambia, amo sentire queste variazioni. Per la prima volta nella mia vita posso godermi una rivoluzione fisica senza doverla ignorare o rifiutare. La posso accompagnare, invece, lasciarla essere; darle tutto lo spazio di cui ha bisogno per insegnarmi cose nuove e importanti su di me. Non ho vissuto la felicità del menarca, come Anna Frank per il suo; non ho avuto un’amorevole “prima volta”; non ho visto il cuore di un esserino pulsare in un’ecografia; sperimentato la potenza di un parto o l’emozione meditativa di un allattamento; ma queste vampate che si prendono il mio corpo e lo abbracciano di calore mi mettono allegria, mi fanno venire voglia di ridere ed essere felice per essere qui, oggi, a 51 anni, con un corpo sano che sa essere molto preciso nel chiedermi ciò di cui ha necessità. Istruzioni dettagliate per dare maggiore spazio a me e ai miei bisogni, a quello che mi fa stare bene. Con calma, amore e cura; personali. Piùpausa.
Scatto di Cinzia Bolognini, editing Mikael Moiner