Altra doverosa recensione del film di Aureliano Amadei per slowcult.. enjoy!!
Giusto il tempo di 20 sigarette per non morire a Nassirya
Una pellicola decisamente interessante quella di Aureliano Amadei, filmmaker, scrittore e attore qui al suo esordio da regista di un lungometraggio con un film che racconta la sua storia personale: quella di uno sbarbatello simpatico e anarchico che il caso ha voluto far trovare a Nassirya proprio nel giorno dell’attentato alla base italiana in Irak. Un destino miracoloso quello di sopravvivere a una strage e avere poi la fortuna di raccontarla, nonostante una caviglia spappolata; chi crede al destino, in effetti, può pensare che il suo compito fosse questo: raccontarcela. Raccontare di un ragazzo senza divisa che si è dichiarato gay per non fare la naia, finito a piangere la morte di ragazzi in mimetica che non è più riuscito a disprezzare. Senza sentimentalismi, senza retorica e senza cambiare le sue idee, l’esperienza di Aureliano gli fornisce una chiave solo umana di lettura del mondo, ed è da questa che nasce la spinta del film, la sua forza. Si ride e si piange, ma il coinvolgimento resta pulito, antiretorico, autentico.
E questo si rispecchia nel modo in cui l’ha girato: la percezione vitale di una camera a spalla necessaria e mai manieristica, una sensazione da pianosequenza ortogonale alla visione del protagonista sul mondo durante i momenti drammatici dell’attentato, la misura precisa del dolore per un bambino iracheno morto appoggiato contro la sua spalla. C’è molta morte, sangue, dolore e schifo in questo film, ma mai fuori dalle righe, con un Vinicio Marchioni estremamente credibile nei panni del protagonista e una Carolina Crescentini molto naturale nella recitazione.
Ed ecco la storia di “20 Sigarette”: Aureliano Amadei nel 2003, a 28 anni, viene invitato da un regista amico di famiglia (Stefano Rolla, poi morto nella strage) a girare un film in Iraq. Nonostante sia un giovane antimilitarista anarchico, decide di cogliere l’occasione; ma il suo viaggio dura giusto il tempo di un pacchetto di sigarette prima di finire in una lunga degenza ospedaliera che lo lascia zoppo e un po’ sordo, ed emotivamente stordito. La scrittura di un lungo e intenso memoir insieme al talentuoso scrittore e sceneggiatore Francesco Trento, co-autore anche di soggetto e sceneggiatura di questo film, diventa libro con Einaudi Stile Libero “Venti sigarette a Nassirya”, e da questo volume il passo al film è stato relativamente breve, consegnandoci un’opera prima realmente pregevole, tanto da strappare al pubblico il più lungo applauso di questa edizione del festival del cinema di Venezia, e da vincere quasi tutto il vincibile della sezione Controcampo Italiano
Recensione di Monica Mazzitelli