Thank you for not smoking

Questo sito sta per cambiare; tra un po’ (forse per il primo giorno di primavera) sarà pronta la nuova piattaforma. Non cambierà nulla della grafica ma sarà organizzato meglio per contenuti, più facile da navigare, con qualcosa in meno e qualcosa in più: ad esempio, una sottocategoria dedicata a corpo-mente-anima dove voglio occasionalmente inserire post sullo stare bene con se stessi, a tutti i livelli.
Lo inauguro oggi a proposito di un argomento importante: il fumo.
Vent’anni fa quasi esatti smisi di fumare passando da quaranta sigarette al giorno a zero, così, senza sforzo. Stavo leggendo un romanzo di Marianne Fredriksson dove la protagonista si confronta con una se stessa adolescente, e la sua analista le dice “Lascia che riposi in pace”. Qualcosa fece click, senza preavviso: spensi la sigaretta che stavo fumando, alle 11 del mattino, svuotai e lavai tutti i portacenere, e per anni non ci pensai più. Smettere non mi era costato nessuno sforzo fisico, nessuna sensazione di astinenza, nessun senso di vuoto o mancanza di gestualità connesse. Nessuno. Eppure fino a 10 minuti prima di leggere quella frase, avrei creduto impossibile per me riuscirci, per quanto fumare fosse la primaria causa di angoscia, ansia, frustrazione, senso di colpa, senso di inadeguatezza, vergogna, imbarazzo. Ero stata così felice di aver smesso che per anni ne avevo evocato il ricordo per sentirne la forza.
Molti anni dopo nei momenti di difficoltà emotiva ho ripreso e rismesso di fumare un altro paio di volte, senza mai arrivare ai livelli di prima, anzi, fumando sempre pochissimo, ma sempre incastrata nel meccanismo, sempre con una sensazione di angoscia e vergogna per il fumare, stemperata solo nei momenti in cui condividevo una sigaretta con amici fumatori.
Ho due attimi preferiti nella giornata: il risveglio e l’addormentamento. Quando posso li faccio durare per ore, mi piace stare sola con me stessa, in ascolto del mio corpo-mente-anima. Sono i momenti in cui mi carico di reiki, medito su di me, e mi faccio anche delle dichiarazioni d’amore. Ultimamente mi era diventato sempre più difficile farle senza sentire il fastidio imbarazzato della vocina che diceva “sì, ma se ti ami tanto, perché fumi che ti fa male alla salute e ti angoscia?”. La mia risposta era che lo sapevo, e che avrei interrotto presto.
Qualche giorno fa un mio collega che voleva da tempo smettere senza successo mi ha detto che ci era riuscito, leggendo il libro di un certo Allen Carr “È facile smettere di fumare se sai come farlo”. Il giorno dopo averlo saputo, per S. Valentino, mi sono fatta il regalo di smettere anche io. Pure questa volta è stato facilissimo, nessun problema di nessun tipo, ma mi era rimasta la sensazione che, come in passato, avrei potuto ricominciare alla prima forte tensione. Allora ho deciso di leggere anche io il libro, per vedere se poteva darmi qualche stimolo utile per non ricominciare mai più.
L’ho trovato un libro interessantissimo perché spiega il meccanismo del fumo perfettamente, senza moralismi, colpevolizzazioni, giudizi. Ne ho parlato in giro scoprendo che molta gente lo conosce e sa di persone che hanno smesso leggendolo, e non mi stupisce perché svela la cosa essenziale del fumare: che è una tossicodipendenza. Non nel senso del permanere del desiderio della sostanza nell’organismo, perché la nicotina (come ho sperimentato di persona ogni volta che ho smesso senza problemi) ha una fase di calo del bisogno brevissima, e pur passando da 40 sigarette a zero non ho MAI sentito una fase di crisi di astinenza. Ma tossicodipendenza nel senso che la nicotina ha un bisogno di se stessa molto potente e autoalimentante: non immettere nicotina nell’organismo crea un senso di panico che è molto difficile da tenere a bada. Ho scritto “panico” anche se sarebbe più corretto usare parole come “disagio” o “bisogno”, ma sono eufemismi: chiunque fumi sa che non importa se dopo dieci minuti da quando l’ha spenta o tre giorni, ma quando si vuole fumare e non si può, la sensazione di fondo è proprio di panico. Come se se ne potesse morire. Poi la addomestichiamo, questa sensazione, ce la indoriamo, ma è quella.
Quello che il libro svela è che questo processo è un processo interno della tossicodipendenza dalla nicotina che dà sollievo a se stesso. E fin qui, nulla che un fumatore non capisca anche da sé, in fondo. Il grande salto però si fa comprendendo che il senso di sollievo che si ha fumando non è perché la sigaretta dia un reale sostegno psichico, ma perché siccome fumare allenta la sensazione di panico da mancanza di nicotina, la nostra psiche ha introiettato quel tipo di sensazione (fumo = calma) e quindi pensiamo che fumare serva per rilassarci! Fumiamo con lo stesso inconscio principio con cui prendiamo qualcosa per un mal di testa: assumiamo una sostanza, il sintomo passa, e quindi associamo il farmaco alla soluzione del problema, quindi ogni volta che avremo quel sintomo lo prenderemo. Ma per il fumo non è così: fumare non allenta la tensione in generale, ma siccome dà una risposta di calma al panico che autoproduce, pensiamo ci serva in generale a stare meno tesi. Ma non è vero, anzi, nella maggior parte di noi, fumare genera invece quelle sensazioni che descrivevo prima, anche se ci vergogniamo ad ammetterlo persino con noi stessi a volte (angoscia, ansia, frustrazione, senso di colpa, senso di inadeguatezza, vergogna, imbarazzo). E smettere di fumare, al contrario, ci dà un senso di libertà, di vita, di amore per noi stessi.
Nella maggior parte di noi, certo, non in tutti. Questo manca un po’ nel libro, ma si comprende perché: ci sono persone che non vogliono vivere, che portano dentro un desiderio di annullamento di se stessi che vince sull’istinto di conservazione della propria vita, persone che non sono state amate abbastanza (fosse anche poco e male) da mantenere la capsula di sopravvivenza integra, purtroppo. Non si suicidano, magari, ma macerano dentro un desiderio di annichilimento che gli fa pensare di “meritare” la morte, e fumare è uno di questi modi in filigrana, intermedi, sottili. Fumare assolve bene a questo compito, la morte è quasi un premio. Per questo stesso motivo la pena di morte fa aumentare gli omicidi dove è applicata, secondo me: molte persone che non sanno amarsi e si odiano, cercano qualcuno/qualcosa che le uccida. Uno dei motivi per cui spesso chi commette una strage subito dopo si ammazza: non c’è differenza, in fondo, è solo dove si indirizza il proprio odio che cambia.
Per queste persone la consapevolezza dei contenuti di questo libro non servirà a nulla, purtroppo. Ma per gli altri, i fortunati (non è bravura, ma la fortuna di essere cresciuti nel posto giusto), forse le riflessioni di questo libro potranno davvero dare una chiave di libertà, autostima e felicità grandissime.

La foto è uno scatto della Nuova Zelanda, una bimba maori che per me esprime il senso di libertà e felicità assolute.