Esther (per Wu Ming Foundation)

Questo più che un racconto compiuto è una sorta di ulteriore epilogo dell’epico “Manituana” di Wu Ming. È stato pubblicato sul sito del libro, al secondo livello (quello riservato a chi ha già letto il romanzo) ma è doveroso chiarire che gli autori – pur avendolo credo apprezzato sotto il profilo narrativo – non erano molto d’accordo con la mia visione/interpretazione : )
La versione rtf è scaricabile qui.

 

ESTHER

Il primo a bagnarsi non fu l’alluce ma il medio, ché era il più lungo.
«I tuoi piedi lasciano impronte da orsa», la prendeva in giro.

Così fu il medio, del piede destro. Aveva scelto che fosse quello ad affondare per primo nella rena fredda del lago. Era Gemello Destro che doveva portare ordine nelle cose.

Da Molly aveva imparato a camminare sottraendo rumore al più immoto dei silenzi; nessuno l’aveva sentita lasciare il villaggio, prima dell’alba. Era giunta alla riva fermandosi sull’ultimo gradino erboso. Con gli occhi chiusi aveva allargato le braccia da lungo i fianchi, rivolgendo le palme verso il centro del lago; il vento le spingeva l’aria nel petto, senza sforzo. Poi aveva appoggiato il piede destro nella rena. Prima il tallone, poi le dita una a una, a cominciare dal mignolo. Dopo un minuto la debole propaggine di un’onda gliel’aveva sfiorato. Il suo corpo aveva reagito con un brivido che dai lombi era salito fino alla nuca, ma sapeva che presto la pelle avrebbe accettato l’acqua come tiepida senza opporre resistenza. Al piede destro aveva quindi accostato il sinistro.

Se i morti fossero davvero morti, se lui non fosse rimasto con lei. Se non le avesse camminato affianco, se non l’avesse aiutata a spostare i sacchi del mais, se non l’avesse guardata mentre rimestava la zuppa sul fuoco, se non avesse dormito tra le sue lenzuola.
Se non le avesse cinto la vita da dietro, al mattino, quando si legava i capelli davanti allo specchio. Se lui fosse andato davvero, il mondo di Esther si sarebbe potuto richiudere in oggi e qui, e nel domani di figli e nipoti e costruire e ripartire e da capo e l’ordine delle cose e la scelta dei semi e il futuro e domani domani domani.

Molly lo sa. La scruta e la legge, senza dire nulla. Ieri sera ha aspettato il silenzio del buio e l’ha trovata seduta per terra, con i gomiti sulle ginocchia e le guance poggiate sui pugni, come una bimbetta imbronciata. Si è seduta con lei, le ha preso le mani, una per volta, stringendo tra pollice e indice ogni sua falange. Prima di lasciargliele, le ha accarezzato con il dorso le palme.
– È quello che devi fare.

La sottogonna presa a Londra le stava ancora – si era stupita indossandola, un’ora prima. Era bastato non tirare troppo il laccio che le era ricaduta morbida intorno alla vita. Era pulita. Sopra aveva infilato una gonna di lana ruvida. Il tessuto all’inizio avrebbe resistito al bagnato ma poi avrebbe perduto, facendosi pesante come pietra. Dalla vita in giù sarebbe stata macigno, mentre le sue braccia coperte da una camicia di mussola sarebbero salite lievi e sottili nell’acqua, come rami di betulla, e il sole avrebbe giocato con quelle trasparenze.