I Phronesis sono una delle poche band del new jazz europeo su cui c’è un accordo pressoché assoluto tra i critici musicali di ogni generazione, come si è potuto notare in quasi tutte le classifiche più importanti del 2014. E il loro ultimo lavoro Life to everything è un ulteriore salto in avanti nella pur già consolidata produzione di questo gruppo di cui è leader il magnifico contrabbassista danese Jasper Højby, autore anche di tutti i pezzi dei primi due album, e della maggioranza di quelli del penultimo. In Life to everything invece i ragazzi si sono divisi equamente le composizioni, firmando tre pezzi a testa. Il segreto della band è sicuramente nel grande equilibro musicale e personale di un ensemble dove ciascun elemento spicca talmente tanto da non venire mai sottomesso a un altro, in un eterno gioco di rincorsa giocosa tra i musicisti. È quasi incredibile: sono sempre all’altezza uno dell’altro. Non che in altre band il leader schiacci gli altri, ma Phronesis mette in campo non solo un ottimo pianista come l’inglese Ivo Neame, ma anche il migliore contrabbassista e il migliore batterista (il norvego-svedese Anton Eger) della propria generazione. Phronesis travolge, ha uno stile pulsante e propulsivo, un’energia da rock band che soprattutto dal vivo tocca visceralmente. Proprio perciò questo loro ultimo album è stato registrato dal vivo e non in studio: porta quel sigillo, contagia emotivamente. Non a caso il titolo dell’album è la chiusa di una citazione di Platone riportata in calce sul CD: “La musica dà un’anima all’universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, […] e vita a ogni cosa”. New jazz all’ennesima potenza, innovazione, groove e commistione di ritmi, spesso anche latini, dal flamenco all’afrocubano, passando per il Brasile.
Il primo pezzo “Urban Control” porta la firma di Eger e si parte infatti con una giocoleria della batteria su cui si innesta un reef di piano modernissimo e quasi ballabile, anche grazie alla sua piccola tonalità latina, con momenti in cui tocca un ancheggiare e pestare quasi flamenco, con un magnifico assolo di Højby verso il finale.
Nel secondo –“Phraternal”− Højby passa inizialmente all’archetto e i toni diventano più melanconici, intimi, con Eger alle spazzole, e il piano di Neame (che firma il pezzo) gioca maggiormente sull’improvvisazione, arrampicandosi in salita e discesa sulla tastiera, finendo a togliere qualcosa più che aggiungerla e lavorando molto sulle dissonanze, slegato dal contrabbasso e tornando melodico solo per brevi tratti, con Eger che varia moltissimo il suo stile, fino a inserire persino un’eco flamenca sul finale.
“Behind Bars” è la prima composizione di Højby e inizia con un delizioso assolo che detta la melodia al piano su una a tratti velocissima picchiettatura di Eger, fino a una lunga improvvisazione del pianoforte prima e poi del contrabbasso, con passaggi davvero molto complessi e rapidi. C’è una vaga eco di jazz fusion brasiliana anni ’70 a dare un piacevole sapore vintage a questo pezzo.
“Song for Lost Nomads” si può di nuovo riconoscere come composizione di Neame dal tono inizialmente più riflessivo e intimo, che però sfocia in qualcosa di molto più latino non appena Eger prende a usare le sue cento mani per imprimere una percussività incalzante al pezzo, e Neame sembra arrendersi a quella evidenza.
Attacco struggente per “Wings 2 the Mind”, dove Højby, dopo un esordio morbidissimo di archetto, costruisce un ritmo con la batteria su cui il piano sembra andare in levare e persino in controtempo, creando un innovativo senso di “ritardo” che dà una cifra inconfondibile al pezzo.
Si diverte veramente come un bimbo Eger in “Nine lives” con cambi continui e velocissimi sulla tessitura di Højby (che firma sia questo pezzo che il precedente).
La settima traccia è la meno intimista di quelle composte da Neame, ed è anzi piuttosto nevrotica e incalzante, e prelude in un certo senso agli ultimi due pezzi composti da Eger, dove nel primo (“Herne Hill”) sono tutti splendidamente costretti a correre come pazzi per stare dietro a un Anton scatenato e latino, che solo a metà pezzo si placa per un interludio prima di riprendere una fuga di note e battute da togliere il fiato. Nel secondo e conclusivo pezzo dell’album, “Dr Black”, si comincia con una postura molto classica e quasi pomposa per finire di nuovo a salire di ritmo con un Højby totalmente granitico e Eger che cambia continuamente tempi e stili, producendosi in un fantastico assolo verso il finale, mentre Neame punteggia con veloce eleganza ogni nota.
“Life to Everything”, Edition Records, 2014
- Urban Control
- Phraternal
- Behind Bars
- Song for Lost Nomads
- Wings 2 the Mind
- Nine lives
- Deep Space Dance
- Herne Hill
- Dr Black
Jasper Højby: contrabbasso
Ivo Neame: pianoforte
Anton Eger: batteria