Quando andai in Mozambico per girare il documentario “Dignity” non sapevo bene cosa avrei trovato, avevo solo un’idea abbastanza vaga sul luogo, su come avrei potuto fare le riprese, su come avrei potuto comporre la narrazione, ancora così vergine e solo intuita. Ma sapevo che tutto sarebbe stato legato alle ragazze, e mi sentivo totalmente libera da pensieri, pre-giudizi, indicazioni a loro proposito. Ero una tabula rasa, curiosa e piena di amore per le loro sofferenze e le loro storie, che volevo solo accogliere.
Non avere idea di come avrei montato tutto il girato mi generava un certo margine di preoccupazione, ma mi istillava anche un grande senso di libertà e desiderio di lasciare che fossero le ragazze a guidarmi. Dopo alcune sessioni con la mia insostituibile montatrice Cinzia Bolognini, e anche qualche consiglio da parte del registra Guido Chiesa e di sua moglie nonché partner professionale, la sceneggiatrice Nicoletta Micheli (che lascia sempre un segno in ciò che faccio, persino quando non lo sa) mi fu invece velocemente chiaro cosa avrei raccontato e come, e soprattutto quel finale dove una delle ragazze, Lúcia (che noi chiamiamo affettuosamente Lucinha) afferma di non volere niente di complicato nel suo futuro, ma solo “una vita normale”.
Questa frase con la quale ho scelto di chiudere il documentario mi ha scavato il cuore, e mi sono sempre chiesta se e come avrebbe ottenuto la sua “vita normale”. La mia felicità immensa di oggi è che Lùcia sia entrata a far parte del nostro nuovo progetto “Dignity People” e che la sua grandissima creatività avesse bisogno di un pochino di sostegno per ottenere i mezzi necessari a praticare la sua infinità manualità, perché sono riuscita a darle questo piccolo sostegno economico che le consente di partire. Lúcia è una moltiplicatrice di doni, e ogni tanto tornerò a farvi vedere le bellissime cose che crea!