Ho deciso di recensire questo cd nonostante sia uscito due anni e mezzo fa perché è una musica che mi ha folgorata, emozionata, vivificata, e il rapporto di stima e amicizia che ho intessuto con il suo autore mi sta portando su nuove strade espressive. Ascoltatelo.
Popular games di Max Fuschetto
Recensire un album uscito nel 2009 è un’eccezione, di solito ci si concentra sulle novità, ma in questo caso tralasciare il primo lavoro di Max Fuschetto sarebbe stato proprio un delitto. Soprattutto perché questo raffinatissimo album è davvero “popular” nel suo essere immediatamente piacevole e catturante dal primo ascolto, ma allo stesso tempo con una tale complessità di suoni, armonie, melodie, percussioni, arrangiamenti, campionamenti, linee ritmiche, partiture, strumenti, echi, suggestioni e generi, che si potrebbe ascoltare praticamente all’infinito continuando ogni volta a sentire sonorità diverse, allusioni, in un gioco di specchi sonori.
C’è davvero (di) tutto in questo piccolo capolavoro che pur mantenendo una sua riconoscibile identità italiana su molti aspetti, ha un respiro totalmente internazionale. Sfugge quindi alle definizioni, e soprattutto alle categorie: meglio forse dare qualche suggestione. Se avessi un negozio di dischi credo lo posizionerei non lontano da Vollenweider, e non distante dalla World, accanto alla ECM, ma prenderei anche un filo sottilissimo e lo congiungerei pure con i Beatles, in salsa hard bop, con accenni di contemporanea.
Troppa roba? Impossibile accorgersene, in verità: il suono finale è liquido, sciolto, sincero, con una raffinatezza sublime che si percepisce quasi in filigrana.
Max Fuschetto, polistrumentista, compone ogni singola partitura dei suoi brani, scrivendo la linea di tutti gli strumenti (molti suonati personalmente), senza lasciare a nessuno di essi una posizione dominante a vincolare e rendere troppo riconoscibili i suoi suoni e il suo stile, come accade ad esempio a Vollenweider con l’arpa. In Popular Games ci sono decine di strumenti e molta elettronica: oboe flauto clarinetti trombone sax, violoncello contrabbasso violini chitarre, ma ovviamente anche pianoforte (spesso suonato dal concertista Girolamo De Simone) e voci, tra tutte quella di Antonella Pelilli, splendida interprete di due brani cantati in arbëresh, un dialetto che origina dall’albanese e che ancora si parla in alcune piccole enclave dell’Italia meridionale.
Comincerei proprio da qui: Max, l’utilizzo di questa lingua è anche un modo per non sentirti troppo legato all’italiano?
L’ arbëresh è una lingua di cui ancora oggi non conosco che qualche parola ma proprio per questo mi affascina. Porta con se mistero, come provenisse da una diversa dimensione di cui intravedo solo vagamente le forme. È un po’ come guardare la realtà attraverso un vetro opaco. Il contenuto dei testi, nella traduzione che ne fa Antonella Pelilli, si avvicina a quei temi che possono ritrovarsi in tutte le espressioni poetiche classiche delle diverse culture del mondo e che sono presenti in una forma più attuale e personale anche nelle liriche che Antonella realizza per le melodie che le propongo. I temi dell’amore, della spiritualità, del gioco vengono declinati con metafore uniche e originali. E poi c’è il suono di una lingua che ha risonanze lontane. L’arbëresh ha radici balcaniche ma conserva, nell’intonazione e nell’inflessione melodica, anche movenze arabe.
Una delle cose incredibili della tua musica è che in ogni angolo ci si imbatte in una partitura filmica: è una strada che ti piacerebbe seguire?
In effetti molti brani del disco nascono da immagini che poi ho cercato di trasformare in linee sonore. Un esempio è Fase Rem, il quinto brano dell’album, in cui il rapido movimento delle palpebre chiuse che caratterizza la fase del sogno (Rapid Eye Movement) diventa un movimento incessante di patterns che attraversa tutto il brano.
Il brano mi era stato chiesto per una rassegna il cui tema era il sogno, Doppio Sogno si chiamava. Mi sono svegliato una mattina con un’idea ma quando mi sono messo a sperimentare sul mio sequencer altro materiale ha cominciato a interessarmi. Sottoponendo i motivi che registravo a trasformazioni di velocità ed intonazione piano piano la rete che caratterizza Fase Rem è venuta a definirsi e con essa un’altra immagine, quella definitiva e che ha dato il nome al brano. Il resto è stato facile.
Chi ascolta Fase Rem senza sapere tutto questo penserà e immaginerà ovviamente altre cose. Ma quello che a me interessa è che un’immagine mi abbia aiutato a costruire un pezzo di musica che ha una sua distinta personalità.
Avendo questa inclinazione è naturale che scrivere musica per immagini sarebbe un ulteriore stimolo per scrivere musica diversa.
In che modo componi di solito la tua musica? Che peso hanno i tuoi musicisti?
Compongo musica con modalità differenti consapevole che ogni mezzo compositivo conduce a risultati differenti. Anche il semplice pensare musica dà per esempio una libertà di connessioni che può risultare utile. Mi viene in mente uno dei lavori successivi a Popular Games, Nuragas, un brano realizzato con 22 campanacci e otto esecutori.
In questo caso ho proceduto disegnando su fogli bianchi le linee dei diversi gruppi di sonagli con colori differenti individuando così entrate, slittamenti, sovrapposizioni e quant’altro e poi sostituendo alle linee motivi musicali.
La musica vive di idee e di scambi di esperienze. I miei amici musicisti mi hanno insegnato molto e quindi grazie alla loro presenza credo che la mia musica sia migliore di quanto sarebbe senza il loro apporto. Voglio ricordare solo qualche nome di quelli che hanno partecipato all’avventura di Popular Games: Pasquale Capobianco alle chitarre, Girolamo De Simone al pianoforte, Franco Mauriello e Pericle Odierna ai clarinetti, Antonella Pelilli, Daniela Polito e Irvin Vairetti alle voci.
Quando uscirà il tuo prossimo lavoro? Sarà simile a “Popular games”?
Ho molti lavori in cantiere ma sulla scia di Popular Games sto realizzando un disco che prende solo alcune delle sue direzioni. Sarà infatti dedicato alla collaborazione con la cantante Antonella Pelilli.
Siamo partiti dalla reinterpretazione di alcune ballate arbëresh per costruire un percorso che brano dopo brano accolga contributi linguistici e musicali provenienti da altre culture musicali per realizzare una sintesi poetica e sonora che ci auguriamo possa regalarci le stesse soddisfazioni e lo stesso apprezzamento dei “divertimenti popolari ” di Popular Games.